Medio Oriente
Orgoglio LGBTQ in Medio Oriente
From: fiammetta martegani
To: susan dabbous
Carissima Susan,
come ben sai, l’8 giugno a Tel Aviv era attesa la 20esima edizione del Gay Pride, che ogni anno attira sempre più persone appartenenti alla comunità LGBTQ (e non solo) da ogni parte del mondo.
La fama internazionale del Gay Pride di Tel Aviv è dovuta soprattutto al fatto di essere l’unica città gay-friendly del Medio Oriente, e con una grande percentuale di arabi israeliani che ve ne fanno attivamente parte.
Quest’anno, in particolare, si celebrano i 20 anni dal primo Gay Pride, per cui sono stati organizzati 50 eventi diversi, con tanto di LGBTQ Film Festival e LGBTech Conference, per enfatizzare il legame tra la comunità, il cinema e Startup Nation: i due fiori all’occhiello del’arte e dell’economia israeliana.
Per l’occasione sono stati anche invitati prestigiosi ospiti d’onore da tutto il mondo.
So che a Gerusalemme le cose sono ben diverse, perché la comunità LGBTQ è molto più ristretta a causa del conservatorismo religioso da entrambe le parti.
Eppure dicono che a Ramallah la comunità gay (underground) è, nei limiti del possibile, molto attiva. Puoi dirmi di più a proposito o, in generale, di come la comunità LGBTQ riesce a sopravvivere all’interno dell’austera e severa società musulmana?
From: susan dabbous
To: fiammetta martegani
Cara Fiammetta,
da diversi anni sono un’attenta osservatrice del Gay Pride di Gerusalemme, perché passa proprio sotto la mia finestra. E bene, come forse saprai già, qui il Gay Pride non è affatto appannaggio solo della comunità LGBT, bensì è una faccenda che riguarda buona parte della società civile liberale israeliana e palestinese, principalmente etero, con numerose famiglie che sfilano assieme ai propri bambini, che “sfrutta” il Gay Pride per ricordare che il mondo è bello perché vario e rispettare le diversità in senso lato è una questione di buon senso e civiltà: diversità di colore della pelle, diversità di orientamento sessuale, diversità di opinione.
Insomma, in una città come questa, ad alto tasso di estremismo religioso, il Gay Pride non è altro che una giornata celebrativa del rispetto: più che drag queen sui carri con lustrini a paillettes si vedono palloncini colorati e bandiere arcobaleno.
La questione dei diritti Gay, invece, rimane tutt’altro che marginale e come dici tu, tanto nelle comunità religiose ebraiche quanto in quelle arabe, l’omosessualità maschile è ancora un tabù.
Non sono pochi i ragazzi palestinesi omosessuali che fuggono dai loro villaggi per andare a riparare nella liberale Tel Aviv. A volte questa potrebbe costituire da sola una buona motivazione per ottenere un permesso di residenza in Israele: ci sono infatti molte associazioni israeliane che offrono protezione legale a chi cerca un ambiente idoneo per vivere in pace con se stesso senza dover fingere di essere etero, cedendo quasi sempre alle pressioni familiari che a un certo punto impongono il matrimonio.
Quanto alle comunità gay underground, sono tipiche delle città mondane arabe come Ramallah, Beirut, Damasco: l’omosessualità nel mondo arabo è sì un tabù, ma, vista anche la scarsità di donne disponibili ad incontri prematrimoniali o extra matrimoniali, resta una pratica ampiamente diffusa.
Ma dimmi, che clima si respira durante il mitico Gay Pride di Tel Aviv?
From: fiammetta martegani
To: susan dabbous
Carissima Susan,
sono appena tornata a casa reduce da due lunghi giorni di festeggiamenti, per strada, al cinema e persino all’asilo di mio figlio, dove hanno regalato ad ogni bambino una piccola bandiera arcobaleno.
Per me i festeggiamenti sono cominciati mercoledì sera con LGBTech: una splendida iniziativa, organizzata da Shachar Grembek, che dal 2011 organizza questo tipo di eventi per sensibilizzare CEO e top executive della Startup Nation e combattere la discriminazione nei confronti della comunità LGBTQ.
Se infatti, da un lato, a Sin City sono ormai più i locali gay che quelli straight, dall’altro, quando si passa dal bancone del bar alla scrivanie degli uffici, le cose cambiano eccome, soprattutto se sei transgender. Come Bianca, ospite d’onore della serata, con vent’anni di esperienza nelle più prestigiose società israeliane che, una volta cominciata la trasformazione identitaria, ha subito sulla sua stessa pelle tutta la sofferenza della discriminazione: “solo dopo essere diventata donna ho capito quanto è difficile fare carriera quando non si portano i pantaloni e non si può più fare la voce grossa. E se una donna, per farsi strada in questo mondo di uomini, deve faticare il doppio, per un trans la fatica è al quadrato”.
Per cui se da un lato, come dici tu, tutti i Gay Pride, a Tel Aviv, come a Gerusalemme e New York, sono una grande occasione di festa per ricordare i diritti di tutti, anche delle famiglie a spasso con il passeggino, tuttavia non possiamo mai permetterci il lusso di abbassare il tiro, perché la strada verso l’uguaglianza è ancora lunga, e non soltanto in Medio Oriente.
From: susan dabbous
To: fiammetta martegani
Cara Fiammetta,
ho visto la grande partecipazione al Gay Pride di Tel Aviv, quest’anno è stato battuto ogni record, 250.000 persone! Un numero incredibilmente alto che ribadisce il livello di democrazia, progresso e rispetto della società israeliana, qualcosa a mio avviso in netto contrasto con la violazione dei diritti del popolo palestinese. Allora lasciami dire che sono contenta di vedere che almeno la comunità Gay israeliana e quella palestinese, collaborino su un terreno comune: quello del rispetto dell’essere umano, nella sua forma individuale, e non all’interno di schemi sociali. Con la grande parata di oggi si è dato un bel calcio a quell’orrendo bigottismo che ha condannato all’infelicità intere generazioni, a tutte le latitudini, e in particolare modo in Medio Oriente.
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