Medio Oriente
Matilde a Teheran
Conosco Matilde Attemi da qualche anno: 26 anni, una doppia laurea – in Francia e Vietnam – in diritto degli affari; attualmente si occupa di consulenza finanziaria.
Nel periodo natalizio è stata a Teheran, e così ho deciso di intervistarla: abbiamo scoperto insieme alcune cose interessanti e poco “mainstream” sull’Iran.
Pur non avendo la pretesa di conoscere la totalità di una paese vasto e complesso, quale è l’Iran, ci è sembrato bello condividerle.
Alla fine di questo lavoro, sia io sia Matilde riteniamo l’Iran odierno un paese dove si può essere liberi, ma di nascosto.
Come mai hai scelto di visitare proprio l’Iran?
Ho molti amici lì ma tra una cosa e l’altra non avevo mai trovato il tempo di andarci. Nel periodo natalizio però si sposava una mia amica sul mar Caspio, e quindi mi sono decisa.
Non hanno cercato di dissuaderti prima della partenza? L’Iran è considerato un posto pericoloso, mi sembra!
Ah ecco, quindi è proprio così? io in realtà sono abbastanza fuori dal mondo su queste cose. Prima di partire mi dicevano tutti “ma sei matta ad andare in Iran! E’ pericoloso!” e io ti giuro non riuscivo a capire perché se c’è un posto sicuro, quello è un regime ultra conservatore: chi mai si metterebbe a bombardarlo?
Qual è lo stato delle libertà personali in Iran? Mi sembra di aver letto che le donne possano guidare.
L’impressione che ho avuto stando lì è che è un paese complesso, pieno di contraddizioni (come in tutti i regimi), che vive in una dimensione quasi “doppia”: c’è l’Iran pubblico e c’è l’Iran privato. Fuori si rispettano i codici dettati dal quello che possiamo considerare un regime: donne sempre velate, ingressi uomo/donna separati, divieto di vendere e consumare alcolici; mentre nel privato si è tutti più liberi, in modo quasi eccessivo, come una sorta di reazione: per cui ci sono feste ogni sera, danze, donne con atteggiamenti provocatori. A una prima impressione potrebbe quasi sembrare ipocrita, e non escludo che sia così.
Poi però anche nella sfera pubblica, quello che si respira non è un clima opprimente, maschilista, dove la donna è umiliata e vessata dalle imposizioni del regime islamico, anzi.
Negli uomini si sviluppa una sorta di cavalleria quasi eccessiva: se cammini con dei ragazzi ti prendono sempre per mano prima di attraversare la strada e ti fanno da scudo contro il traffico, ti apriranno la portiera, staranno attentissimi al codice delle precedenze.
Anche qui chiaramente potrebbero aprirsi altre riflessioni: è un’ulteriore ipocrisia?
Giustificare gli ingressi separati sui mezzi pubblici con frasi del tipo “non voglio che gli altri uomini ti guardino e facciano pensieri osceni su di te”, come a edulcorare la pillola, non è forzoso e quasi ridicolo? Io sono stata solo un paio di settimane e, da occidentale “in visita”, ho accettato tutto senza troppe domande, anzi trovando queste meccanismi affascinanti a loro modo e persino lusinghieri.
Immagino che a viverli nel quotidiano, a lungo, siano pesanti: non tanto per le umiliazioni – nei confronti di chi? Di che cosa? – quanto piuttosto per la mancanza di naturalezza e per l’adesione a codici così definiti, che alla lunga può risultare un po’ stomachevole.
Il contrasto con la sfera privata è stridente e ricorda molto, come è ovvio, i meccanismi da proibizionismo – si pensi a quello americano, quando negli Stati Uniti non è mai circolato così tanto alcol!
Per quanto riguarda i social network?
Facebook era bloccato: tramite alcuni stratagemmi è possibile usarlo, ma la navigazione risulta difficile. Solo Instagram funziona.
Sull’account Instagram, dal titolo autoesplicativo “The rich kids of Teheran”, si trovano splendide immagini. Riesco anche a sapere che Twitter, al contrario di Facebook, è consentito.
In Europa arrivano molte opere di artisti iraniani, ma com’è la situazione a Teheran?
La vita culturale è molto attiva. I festival del cinema sono all’ordine del giorno, così come quelli di letteratura e le mostre d’arte ecc.
Uno dei punti di ritrovo degli hipster teheranensi – sì, esistono – è il caffè degli artisti, dove oltre a mostre fotografiche di artisti emergenti, si organizzano conferenze di vario genere.
Sei stata lì durante le tensioni con l’Arabia Saudita, che clima si respirava? Hai sentito timore per te o per altri?
Credo che il discorso Arabia Saudita meriti un po’ di attenzione. Come spesso in questi casi, nel quotidiano non ci si è accorti di nulla: le persone continuavano a fare le loro cose, non ci sono state guerilla urbane per la strada e le immagini che passavano sui media occidentali erano forse di repertorio.
Non ricordo alcuna donna vestita di nero che gridava, stringendo un’immagine di Nimr Baqr Al-Nimr – il religioso sciita ucciso, né alcun controllo da parte della polizia, non più di quelli consueti: insomma, nessuna forma di tensione.
Ho parlato con uno scrittore di Teheran riguardo a questo episodio e lui si è detto “contento” di questa situazione poco felice con i sauditi e, più in generale, con gli Arabi.
Per gli iraniani, soprattutto i più giovani, è importante marcare la differenza profonda con la cultura araba: loro sono persiani e non ammettono di essere assimilati a una popolazione che considerano come “incolta, rozza e aggressiva”.
Spesso, il razzismo più marcato si trova tra vicini e è più che mai vero tra Arabi e Iraniani.
Probabilmente in Occidente si tende ad assimilarli, e in molte cose sono simili – se si accettano queste generalizzazioni – ma gli Iraniani si vedono come culla della civiltà, popolo evoluto ed estremamente aperto, pacifico e molto amico degli Stati Uniti, e non di rado paragonano Teheran alle capitali europee.
Ovviamente però, l’episodio non può essere sminuito: rispondeva a chiare logiche economico-politiche da parte dell’Arabia Saudita nei confronti dell’Iran, che si sarebbe reimmesso di lì a poco sul mercato internazionale, attraverso il venir meno delle sanzioni e dell’embargo.
Tuttavia, non credo siano cose percepibili nella vita di tutti i giorni e tanto meno da una turista di passaggio.
E per quanto riguarda l’antisemitismo, cosa hai percepito?
Per quanto riguarda l’antisemitismo, anche qui c’è una serie di luoghi comuni da sfatare. Bisognerebbe sempre tenere a mente che gli iraniani non sono arabi e sono disposti a tutto per convincerne il mondo e soprattutto l’occidente.
Preferiscono Israele ai Paesi arabi, e talvolta approvano la politica israeliana nei confronti della Palestina.
Anche storicamente l’affinità tra i due paesi era manifesta.
Molti ebrei durante il nazismo si sono procurati un passaporto iraniano e si sono rifugiati a Teheran, che li ha accolti a braccia più o meno aperte.
Israele è molto più amico di quanto si possa pensare, anche solo come “strumento” per marcare la differenza appunto tra Iran e Paesi arabi, tra popolo pacifico e illuminato – quale si definisce l’Iran – e gli arabi, considerati “terroristi e beduini”.
Il legame tra l’Iran e il popolo ebraico ha una lunga storia: comincia circa 2700 anni fa, quando si costituisce una delle prime comunità ebraiche al mondo.
Il trattamento riservato ai cittadini ebrei è variato nel tempo, a seconda dei regimi politico-religiosi in vigore.
Restando nella Storia recente, l’epoca più favorevole agli ebrei iraniani è stata quella della dinastia Pahlavi dal 1941 al 1979 circa; l’Iran ospitava circa 80000 ebrei prima della rivoluzione islamica: dopo l’omicidio di un imprenditore ebreo, accusato di essere una spia a servizio di Israele, molti decisero di emigrare.
Ad oggi, nella sola Teheran si contano circa 13 Sinagoghe, 5 scuole ebraiche, 5 ristoranti kasher, e un ospedale ebraico con 250 dipendenti, molti dei quali musulmani.
Gli exploit negazionisti di Ahmadinejad, nel 2013, sono stati ampiamente criticati dalla comunità ebraica iraniana; tuttavia, con Rohuani la situazione sembra essere migliorata: secondo Homayoun Sameyah – persona a capo della comunità ebraica di Teheran – ora per gli ebrei iraniani è possibile esprimere la propria opinione sull’Olocausto. Lo stesso Rouhani non ha mai negato tale tragedia.
Approfondimento sulla vita degli ebrei in Iran – a cura di Ladane Nasseri per Bloomberg
La comunità ebraica di Teheran ha recentemente ottenuto maggiore uguaglianza, per esempio riguardo alla compensazione che spetta alle famiglie delle vittime di incidenti mortali: alle minoranze spetta ora un trattamento pari a quello della maggioranza islamica.
Le scuole ebraiche possono ora rimanere chiuse al sabato, anziché al venerdì; tuttavia, nelle 5 scuole di Teheran tutti i presidi sono islamici, sebbene non ostili.
L’atteggiamento nei confronti di Israele rimane duplice: molti ebrei iraniani hanno lì parenti, anche stretti; e molti si sono recati in Israele almeno una volta nella vita. Tuttavia, alcuni di coloro che si sono recati recentemente in Israele sono stati arrestati, e di conseguenza i viaggi verso lo stato ebraico sono molto diminuiti.
Reportage di un giornalista ebreo tra gli ebrei iraniani – a cura di Larry Cohler-Esses per Forward
Per quello che riguarda le esecuzioni pubbliche? Devono essere terrificanti.
Sì, ma d’altro canto ci sono anche altri Paesi – gli Stati Uniti e la Cina, per esempio – che utilizzano la pena di morte, seppur con altri metodi.
Forse non diffondono le fotografie perché non hanno bisogno di mostrare il “pugno di ferro” al proprio popolo.
Entrambe non siamo certe di poter dire che la procedura processuale iraniana sia meno accurata di altre, sebbene contenga reati non contemplati in altri Paesi.
Immagine di copertina dal sito viaggi.globopix.net
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