Medio Oriente

Mamma ho perso l’aereo: vita da Expat tra areoporti

2 Novembre 2018

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Carissima Susan,

alla fine sei riuscita a trovare un aereo per tornare in Italia, nonostante lo sciopero?

Io ormai, da quando siamo in 3, per risparmiare sulle tariffe folli dei voli di linea, visto che i low cost da e per Israele hanno ancora giorni e orari molto limitati, mi ritrovo talvolta ad acquistare il biglietto con quasi un anno di anticipo. Ma come si fa a sapere già adesso cosa si farà tra un’anno?

Di solito cerco di organizzare le nostre vacanze attraverso un laborioso incastro tra calendario ebraico e calendario gregoriano, ma questo a scapito totale della possibilità di essere  spontanei o poter decidere last minute, salvo pagare prezzi folli o percorrere viaggi improbabili con scali in aeroporti di cui spesso non si possiede neppure la moneta locale per potersi bere un caffè.

Che poi gli aeroporti di questi tempi non sono più semplici luoghi di passaggio.

Per chi come noi prende l’aereo come una volta si prendeva l’autobus, l’aeroporto diventa il luogo in cui si trascorre, di fatto, quasi metà del viaggio, per cui ogni aeroporto diventa sinonimo di gioia o tristezza a seconda di quel bar in cui ci sentiamo a casa mentre aspettiamo, a volte per ore, causa i ritardi, di imbarcarci verso la nostra prossima destinazione.

Quante volte abbiamo fatto affidamento su un preciso negozio per arrivare (o tornare) a casa (che poi sono due) con un regalo, per poi trovarci, a causa di una chiusura imprevista, a mani vuote e con la coda fra le gambe?

Ma dimmi, da dove mi stai scrivendo ora? In quale luogo del tuo triangolo esistenziale sei?

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Cara Fiammetta,

sto partendo ora da Bruxelles con destinazione Roma. Alla fine sono riuscita a partire, ma a che prezzo?

Ho dovuto ricomprare un biglietto che nel mio caso sono due perché Yasmin paga prezzo intero mentre Sami viaggia ancora sulle mie gambe come “infant”. È una funzione puramente formale solo perché ha tecnicamente 18 mesi, ma in realtà la cinturina da neonato che si allaccia alla mia gli si chiude a stento. Probabilmente dovrò iniziare ad acquistare la sua poltrona prima dello scadere dei fatidici 24 mesi.

Lo sciopero del personale addetto ai bagagli dell’aeroporto di Bruxelles è durato per ben tre giorni di seguito portando alla cancellazione di oltre 500 voli. Un vero e proprio disastro! Ma a pensarci bene in questo mondo sempre più caro, chi non ha diritto ad un aumento salariale? Ho dovuto spiegare a Yasmin, 3 anni e mezzo, perché non potevamo partire più martedì. Con gli asili chiusi per la festa di Ognissanti, ho passato molto tempo con lei e il concetto di sciopero è stato semplificato più o meno così: questi signori che mettono le valigie nelle pance degli aerei e sui nastri hanno smesso di lavorare perchè vogliono più soldi. E i soldi servono per comprare tutto: le mele, le arance, le scarpe, i quaderni, i giocattoli, internet, i cartoni in TV, il monopattino, tutto, insomma. E lei ha aggiunto: “anche le Smarties?”, tutta convinta. Sicuramente anche le Smarties. Spero che seppur con un pizzico di consumismo, Yasmin abbia assimilato positivamente il concetto di sciopero. Quanto alle nostre  finanze, invece, credo che ci sia solo da rassegnarsi: per noi expat, una parte non marginale dei nostri risparmi se ne va via in biglietti aerei e di solito non sono mete esotiche, ma sempre le stesse,  monotone, confortevoli e colme di affetto.

Insomma è una vita da pendolari la nostra, e non credo che sia possibile farne a meno. Prima di avere i bambini la scoperta di un parrucchiere nell’aeroporto di Fiumicino mi aveva cambiato la vita. Adesso sono le aree gioco e i soft playground a fare la differenza tra un viaggio tollerabile e uno infernale.

E per te, cara Fiammetta, quali sono i luoghi che rappresentano “casa”?

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Carissima Susan,

io di solito l’aereo lo prendo sempre per  andare a Milano o Venezia.

Milano é la città in cui sono nata e cresciuta, quella della mia famiglia e dei miei amici, dall’asilo all’università, con cui continuo a mantenere legami molto profondi e, nonostante la distanza, basta un bicchiere di birra per sentirsi subito “a casa”.

Venezia è dove abita mia madre e dove trascorro le mie vacanze estive da quando avevo 15 anni. Conosco ogni vicolo della Serenissima come le mie tasche: per me Venezia sono le infinite camminate tra un padiglione e l’altro durante la Biennale, i giri di spritz e cicchetti tra un bacaro e l’altro e ora vedere Enrico entusiasta ogni volta che prendiamo il vaporetto per andare al Lido.

Eppure, se mi chiedi dove é davvero “casa”, per me é Tel Aviv. E a proposito di aeroporti e aerei, faccio fatica a spiegare questa sensazione,  soprattutto senza voler in alcun modo ferire i sentimenti di tutti i miei affetti in Italia, ma mentre sto per atterrare all’aeroporto di Malpensa non provo mai lo stesso sentimento che provo mentre sto per atterrare all’aeroporto Ben Gurion.

C’è qualcosa, arrivando dal Mediterraneo verso questa tanto agognata terra, che la rende davvero, nel bene e nel male, unica al mondo. E io é qui che mi sento a casa.

Ma dimmi tu Susan, per te “casa” dove é?

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Carissima  Fiammetta, di sicuro io non mi sono mai sentita a casa al Ben Gurion, dove ho, come molti altri, il mio bagaglio di storie, interrogatori, spiacevoli attese.

Mi sento a casa a Roma, anche se con l’aeroporto di Fiumicino ho un rapporto a dir poco conflittuale, basato su tutti i disservizi.

Ora che viaggio con due bambini piccoli (spesso da sola) non avere il passeggino al disimbarco, ad esempio, mi rende l’uscita dall’aeroporto una corsa ad ostacoli, con Sami che scappa da per tutto e Yasmin che gli corre dietro rimproverandolo. Il personale dell’assistenza mi guarda come se fossi una povera isterica mentre cerco di coordinare due bambini piccoli e una baby bag da viaggio che è più grande di me.

Se devo dirti dove è che sento la magia, e non so da cosa derivi specificamente, è all’aeroporto di Punta Raisi a Palermo, io che siciliana non sono, ma forse lo sono stata in una vita precedente. Quando dal finestrino vedo i promontori ambrati che ammorbidiscono il litorale palermitano provo una felicità inconscia e incomprensibile, un po’ come quando, prima della guerra, atterravo all’aeroporto di Damasco.

 

 

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