Medio Oriente
L’esercito No. Quando gli ultraortodossi tradiscono Israele
from: fiammetta martegani
to: susan dabbous
Carissima Susan,
Come ben sai in questi giorni in Israele non si fa che discutere della nuova legge che esenta gli ultraortodossi dal servizio militare.
A dire il vero, la norma, fino al 2015 quando una sentenza della Corte suprema l’ha dichiarata iniqua, è sempre stata questa perché, fin dalla fondazione dello Stato, l’allora Primo Ministro David Ben Gurion voleva garantire che gli studiosi ultraortodossi, allora esigua minoranza della popolazione, si dedicassero agli studi della Torah in modo che il sapere biblico non andasse disperso.
Oggi questa minoranza rappresenta il 10% della popolazione e statisticamente non farà che aumentare, rappresentando un alto costo sociale per i cittadini laici che, oltre e a premettere loro di continuare a studiare tutta la vita grazie ai contributi versati da chi lavora, giustamente si lamentano del fatto che questa fetta della popolazione non soltanto non serve nell’esercito, esercizio obbligatorio rispettivamente per tre anni per gli uomini e due per le donne ma, soprattutto, non rischia la propria vita per difendere il paese, mandando invece in prima linea i cittadini laici.
Ci sarebbe poi qui da aprire un’altra grande questione aperta, poiché molti di loro neanche riconoscono lo Stato di Israele perché aspettano ancora l’arrivo del Messia.
Insomma, di contraddizioni in tutta questa storia ce ne sono da vendere.
E tu, come vedi tutta questa storia da un punto di vista “esterno”?
from: susan dabbous
to: fiammetta martegani
Cara Fiammetta,
Su questa faccenda ho un punto di vista davvero utopistico: per me, non solo gli ultraortodossi, ma tutti dovrebbero avere la possibilità di scegliere se fare o meno il servizio militare. Ciò detto, mi rispondo da sola che questo non avverrà mai. Lo stato ebraico si fonda sull’esistenza dell’esercito. Sull’idea che la sicurezza nazionale, la propria sopravvivenza, la realizzazione del sogno sionista dopo le persecuzioni, i progrom, la Shoah, siano basate sul principio di responsabilità collettiva.
L’idea di un Israele de-militarizzato va di pari passo con una vera pacificazione con la popolazione araba che vive dentro e fuori i confini. Popoli che, per farla molto breve, sono stati cacciati dalla propria terra. E finché questa terra non verrà restituita, o sostituita, riconosciuta o normalizzata, la pace non si realizzerà mai.
Serviranno sempre più soldati, soldatesse, droni, fucili, scudi anti missile, carri armati, sottomarini, aerei e quant’altro. Per questo lo stato ebraico non si può più permettere di esentare dalla leva gli ultra ortodossi che, secondo le stime, entro il 2050 rappresenteranno un quarto della popolazione.
Mi chiedo però che senso abbia vivere in questo modo. Adrò via da qui felice di non dovere vedere più soldati, con i loro enormi fucili, sfiorare il passeggino di mio figlio quando salgono sull’autobus.
Ma ti chiedo, visto che sei una cittadina laica, più che l’esenzione militare, non trovi più preoccupanti le influenze che i religiosi vogliono esercitare sul piano economico e culturale?
from: fiammetta martegani
to: susan dabbous
Cara Susan,
pur essendoti risposta da sola in realtà hai sollevato una domanda di grande importanza: da tempo ci si chiede se sia giusto che il servizio militare debba essere obbligatorio per tutti o invece solo riservato a chi decide di intraprendere la carriera militare.
Ciò detto, la risposta della maggior parte delle popolazione israeliana è che Israele non si può permettere un esercito mercenario sia dal punto di vista strategico sia dal punto di vista psicologico perché, in Israele, lo stato, il popolo e l’esercito sono un tutt’uno: un corpo unico e indissolubile ragione per cui anche i cittadini ultraortodossi dovrebbero farne parte. Ma forse questo non fa che confermare il fatto che non vogliano essere davvero parte dello Stato.
Anche per questo, per rispondere alla tua seconda domanda, poco importa per loro se il sabato gli autobus non vanno e le persone ne hanno bisogno non solo per andare al cinema o in spiaggia ma anche per andare all’ospedale.
Poco importa se, per via dello status di cui godono, possano godere di massicci sussidi statali per continuare a studiare i testi biblici mentre gli studenti universitari per pagarsi gli studi fanno i camerieri venendo pagati sotto il salario minimo.
Poco importa se loro sono aiutati dal sussidio statale per continuare a prolificare dozzine di figli mentre nel resto del paese non si sa come mettere assieme i soldi per pagare l’asilo nido di un figlio solo.
Tuttavia, per tornare al problema originario, fino a quando gli ultraortodossi avranno il potere di legiferare in parlamento poiché, da sempre, sono l’ago della bilancia per formare la maggioranza in governo, le normative legiferate saranno sempre a loro favore e a spese della popolazione laica che invece per il paese sacrifica la propria vita, nel vero senso della parola.
from: susan dabbous
to: fiammetta martegani
Cara Fiammetta,
Fortunatamente io non vedo «lo stato, il popolo e l’esercito come un corpo unico e indissolubile», perché altrimenti credo che non sarei riuscita a vivere in questo posto neanche per un giorno, figuriamoci per quattro anni. Hai idea di quante domande, umiliazioni, attese estenuanti, materiale sequestrato, ho dovuto subire inaeroporto, alla frontiera giordana o ai checkpoint quando sono sola, senza i miei figli?
Un trattamento carinissimo, rispetto a quello riservato ai palestinesi che ho visto ammassarsi in code infinite ai checkpoint o al confine giordano come se il tempo, nelle loro vite, non contasse assolutamente nulla.
Questo è l’esercito che vedo io e sì, lo so, è composto anche da 18enni con l’aria innocente, ma sinceramente non so che dire, mi dispiace per loro, anche se immagino a quell’età la levapossa anche essere vissuta come un’esperienza adrenalinica.
Ma io associo l’esercito israeliano alla faccia di Zipi Livni, Ministro degli Esteri nel 2009, che parla, senza tradire dispiacere, delle vittime civili di Gaza come degli “effetti collaterali” dell’operazione Piombo Fuso. Forse sarò ancora un po’ all’antica, perché vedere la disumanità in un volto femminile mi ha scavato una voragine nello stomaco indimenticabile.
Quindi, per tornare al punto di partenza, non associo l’esercito alle persone: al mio portiere, al fruttivendolo e alla commessa carina del negozio all’angolo e neanche ai miei amici che hanno fatto il servizio militare specializzandosi sulla sicurezza informatica o cose simili. Perché mi sembra evidente che lo abbiano vissuto solo come un dovere burocratico da adempiere.
Quanto al costo sociale dei prolifici ultra ortodossi, sono anch’essi, come l’esercito, una parte fondante d’Israele. Mi auguro che prima o poiriusciate a riformare tutti gli aspetti illiberali del paese, preservandolo come un preziosissimo regime democratico in questa regione di dittature dure a morire e inutili monarchie.
from fiammetta martegani
to: susan dabbous
Cara Susan,
neppure io vedo «lo stato, il popolo e l’esercito come un corpo unico e indissolubile», ma questo, piaccia o meno, è un dato di fatto, almeno dal punto di vista israeliano.
Ora mi potresti chiedere cosa ne penso io e la verità è che, dopo aver dedicato quattro anni della mia vita a studiare questo fenomeno ed averci pure scritto una tesi di dottorato e un libro, più cerco di darmi una risposta più mi si pongono altre mille domande.
Per cui ti rispondo citando il film israeliano candidato quest’anno agli oscar come miglior film straniero “Foxtrot: la danza del destino”, di Samuel Maoz, in cui il protagonista, dopo aver perso il figlio durante il servizio militare, descrive l’esercito israeliano com un foxtrot: una danza basata su un movimento che non fa che ripetersi su stesso, come in un loop.
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