Medio Oriente

La scomparsa delle parole

3 Marzo 2018

Cinquant’anni fa, giochi di parole d’ispirazione situazionista comparivano per magia sui muri di Parigi. Era il maggio ‘68. L’unico modo per far sentire la propria voce nel bel mezzo dell’assordante societa’ dello spettacolo descritta da Debord. Qualcuno lo ha ricordato (qui) pensando alle scritte apparse sui muri di Facebook durante le Primavere Arabe del 2011. La cifra di quel  movimento era un codice binario, il sistema digitale 1-0. Prese forma cosi il primo vero movimento globale ai tempi di Internet due punto zero. Non più la blogosfera degli zapatisti e i forum tattici del portale di giornalismo dal basso Indymedia a Seattle 1999 e Genova 2001. Questa era la volta delle dirette capaci di bypassare lo shut-down dei server nazionali e connettere le piazze del Cairo, Madrid e New York. I giornali celebrarono il loro piu’ feroce concorrente, Facebook, come spazio di liberazione della parola e dunque della trasformazione sociale. Poi, quelle voci vennero zittite, i muri reimbiancati, e come spesso accade nella realta’ fluida della rete, il cambiamento scomparve. Facebook scivolo’ sul banco degli accusati per propagare le piu’ improbabili bufale (#fakenews). Molte delle quali, per nulla naives, create ad arte da apparati statali, come a San Pietroburgo, con intenti politici.

Cosi’ per qualche anno non siamo riusciti nemmeno a sentirle, le parole. Il boato delle esplosioni rimbombava nei teatri di guerra, assordava i passanti frastornati nelle vie trafficate delle città europee vittime degli attentati terroristici, e il loro eco occupava lo spazio mediatico, vuoto di ogni voce critica. Poi le parole sono state prese in ostaggio dai fondamentalisti del preteso Stato Islamico. Persino la stessa parola “Stato” era detenuta contro la sua volonta’. Difficile raccapezzarsi. Alla fine le parole sono addirittura scomparse. Come in una fiaba tragicomica, a tratti macabra. Eppure e’ ufficiale. L’ultimo comunicato stampa di UNICEF intitolato “The war on children in Syria: Reports of mass casualties among children in Eastern Ghouta and Damascus” e’ una pagina bianca, vuota ed ufficiale, chiara ed impietosa, che testimonia l’attoniménto della politica internazionale. Ma se la politica perde le parole, allora essa muore.

Abbiamo creduto in tanti al potere performativo delle parole, capaci perlomeno di testimoniare caparbiamente da che parte sta la giustizia nonostante la realtà dei fatti. Abbiamo visto il potere delle parole in quelle dolorosamente partorite dai sopravvissuti dell’Olocausto; nelle riflessioni di Primo Levi capace di trasmetterci, oltre le parole stesse, l’indicibile dolore della violenza; in quelle sottratte alla tortura dei prigionieri politici e degli esuli dell’America Latina negli anni Settanta; in quelle dei testimoni di giustizia che si oppongono all’omertà mafiosa. D’improvviso pero’, il 20 febbraio, le parole sono scomparse. Non sappiamo ancora se sia virale, dunque il consiglio e’ di aprire i quotidiani per verificarne lo stato di salute.

Mentre la comunità internazionale rimane senza parole per descrivere l’orrore sofferto dalla popolazione a Eastern Goutha, alla periferia di Damasco, per gli attacchi (incluso quelli chimici) del regime di Bashar Al-Assad, un parlamentare siriano, Nabil Saleh, sulla sua pagina Facebook, definisce le vittime civili “pidocchi e ratti”. Se a qualcuno pare scandaloso e surreale, dovrebbe assicurarsi della sua stessa salute mentale, essendo vittima, secondo l’inviato russo al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, di una psicosi di massa. Halim Shebaya, ricercatore e commentatore di AlJazeera, ci rassicura: questo straniamento del senso comune è normale nell’era della “post-verità”. Se queste sono le regole del gioco, se con le parole, con le vite, con l’umanità stessa possiamo giocare a Scarabeo, allora rischia di avverarsi la profezia di George Orwell quando scrisse in 1984: “Alla fine il Partito avrebbe annunciato che due più due avrebbe fatto cinque, e dovevi crederci”.

Per fortuna, tuttavia, c’e’ancora qualcuno che si prende cura delle parole. Ora tocca a noi prenderle sul serio. Chi volesse rendere omaggio al coraggio della testimonianza, quella scomoda che ti fa dormire male, troverà parole clandestine sulla situazione in Siria a questo indirizzo qui.

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