Medio Oriente
La morte di Shireen Abu Akleh, giornalista di Al Jazeera
Questa mattina, 11 maggio, 2022, nel nord della Cisgiordania, a Jenin, è stata uccisa Shireen Abu Akleh, giornalista ormai veterana del network Al Jazeera. Un colpo alla testa è bastato per porre fine alla sua vita.
Secondo il canale di notizie per cui lavorava, Abu Akleh è vittima di un colpo partito da un militare dell’“occupante” esercito israeliano, tuttavia, nelle prime ore che seguono l’incidente non è ancora ben chiara la dinamica dell’azione. Quello che sappiamo è che ci sono testimoni, un altro giornalista ferito e che la reporter di Al Jazeera aveva tutte le protezioni necessarie ed era riconoscibile in quanto parte della stampa (press) come aveva ormai imparato a fare da 15 lunghi anni in prima linea su quel territorio altamente pericoloso.
La zona di Jenin, dove si trova un grande campo profughi palestinese, è stata obiettivo di diversi attacchi da parte dell’esercito di Israele nelle ultime settimane che hanno portato al ferimento di diversi uomini e all’uccisione di un sospettato terrorista.
Secondo i vertici del network mediorientale, Israele ha sempre mal sopportato la copertura degli eventi fatta dai giornalisti di Al Jazeera, tanto da aver arrestato, già circa un anno fa, il 5 giugno 2021, la giornalista Givara Budiri nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme est, mentre stava seguendo una protesta in occasione del 54° anniversario dell’occupazione israeliana dei territori palestinesi e dei continui tentativi delle autorità israeliane di costringere i palestinesi residenti fuori dal quartiere.
“Chiediamo alla comunità internazionale di condannare e ritenere le forze di occupazione israeliane responsabili di aver deliberatamente preso di mira e ucciso la nostra collega Shireen Abu Akleh” è quanto si legge in una dichiarazione dei vertici dell’emittente del Qatar, ormai diventata un network a livello mondiale.
Dopo pochi minuti dalla morte di Abu Akleh i video del recupero della giornalista e della sparatoria erano disponibili online, su tantissimi canali Telegram: la rabbia di chi la conosceva, l’addio di chi la seguiva, dei colleghi, di istituzioni e del pubblico. In pochi secondi, davvero pochi, era possibile già fare una sommaria ricostruzione di quanto accaduto con immagini reali, che testimoniavano la sparatoria, il recupero del corpo e il trasporto in ospedale ormai inutile.
Shaza Hanaysheh, giornalista di un sito di notizie palestinese (Quds News Network) che era anche tra i reporter coinvolti nello scontro armato, ha riferito che non ci sono stati scontri o sparatorie nelle immediate vicinanze in cui è avvenuto l’incidente.
Ha detto che quando sono risuonati gli spari, lei e Abu Akleh sono corsi verso un albero per ripararsi.
“Ho raggiunto l’albero prima di Shireen. Lei è caduta a terra”, ha detto Hanaysheh. “I soldati non hanno smesso di sparare anche dopo la sua caduta. Ogni volta che allungavo la mano per tirare Shireen, i soldati sparavano contro di noi”.
Al Jazeera ha parlato subito di un colpo sparato dall’esercito israeliano. Poche ore dopo quanto avvenuto, il riconoscimento del cadavere, la constatazione del decesso, a Jenin i palestinesi avevano già iniziato un corteo in memoria di Abu Akleh. Non è difficile immaginare che ciò potrebbe portare a pesanti ripercussioni, se non altro per il fatto che questa volta si parla di una giornalista, molto famosa in medio oriente, che aveva anche il passaporto americano e sulla cui morte anche l’ambasciatore USA in Israele Thomas Nides ha chiesto di fare chiarezza oltre che “un’indagine approfondita sulle circostanze della sua morte e del ferimento di almeno un altro giornalista oggi a Jenin”.
Le prime ricostruzioni in Rete si basano su filmati amatoriali fatte da telefoni e pubblicate pochi minuti dopo la sparatoria. Da essi sono nate due opposte visioni dell’accaduto. Da una parte, quella più avvalorata anche da testimonianze dirette e dalla tv araba stessa, sarebbero stati i soldati israeliani a far partire il colpo fatale per la giornalista, un proiettile sparato con precisione millimetrica che non avrebbe lasciato scampo ad Abu Akleh. Dall’altra, quella usata dal governo e da alcuni media israeliani, c’è l’uso – come prova – di un video in cui alcuni palestinesi sul posto sparano alla cieca e poi gridano di aver colpito un soldato israeliano quando in realtà nessun esponente IDF è stato ferito o ucciso nella mattinata.
Il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha affermato che, sulla base delle informazioni raccolte, “c’è una notevole possibilità che i palestinesi armati, che hanno sparato selvaggiamente, siano stati quelli che hanno causato la sfortunata morte del giornalista”.
Almeno 144 giornalisti palestinesi sono stati feriti dalle forze israeliane in tutta la Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est dal 2018, feriti da proiettili di gomma e fuoco vivo, oltre a granate assordanti, gas lacrimogeni e percosse con manganelli, secondo Reporter senza frontiere.
Il regista palestinese Yaser Murtaja è stato l’ultimo giornalista ucciso durante il conflitto, colpito dai cecchini israeliani durante le sanguinose proteste alla frontiera della Striscia di Gaza nel 2018.
Durante la guerra dello scorso anno a Gaza, un attacco aereo israeliano ha distrutto un edificio che ospitava gli uffici locali dell’Associated Press e di Al Jazeera. I residenti sono stati avvertiti di evacuare e nessuno è rimasto ferito durante lo sciopero. Israele ha detto che Hamas stava usando l’edificio come centro di comando, ma non ha fornito prove.
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