Medio Oriente
Kurdistan, la voglia di indipendenza e la realtà del malcontento popolare
Il rapporto tra Baghdad ed Erbil non è mai stato semplice, ma ultimamente si è fatto ancora più teso. Parlando da Bashiqa, una città non lontana da Mosul e liberata dai Peshmerga all’inizio del mese di novembre, il Presidente della regione curda irachena Masoud Barzani ha dichiarato di aver apertamente sollevato la questione dell’indipendenza nella sua ultima visita a Baghdad alla fine di settembre. «Se non possiamo essere buoni partner – ha detto Barzani– cerchiamo allora di essere buoni vicini e fratelli. Evitiamo ulteriori conflitti e spargimenti di sangue».
La regione curda ha ottenuto importanti risultati politici in seguito all’occupazione ed all’invasione americana dell’Iraq – la costituzione irachena del 2005 riconosce le tre province curde come una regione federale e garantisce ampi spazi di autonomia. Negli ultimi tredici anni, all’ombra di un sistema federale che non si è mai tradotto in un effettivo ed efficiente sistema di governo, la regione curda irachena ha assunto i tratti di un “quasi-stato”: la sicurezza, il controllo dei confini e le questioni interne sfuggono quasi completamente al controllo di Baghdad. Erbil, capoluogo della regione curda irachena, ha saputo sfruttare quest’autonomia e la sua relativa stabilità per presentarsi, almeno fino alla recente crisi economica, come la principale porta d’accesso all’economia irachena.
Nonostante i risultati ottenuti nel quadro dell’autonomia federale, la questione dell’indipendenza è rimasta al centro delle ambizioni politiche curde. Già nel luglio del 2014, il presidente Barzani affermò di voler perseguire la via per l’indipendenza, ma le prerogative curde, come quelle irachene, sono cambiate in seguito all’ascesa dello Stato Islamico e alla crisi economica. A febbraio del 2016, la questione è ritornata in prima pagina con l’annuncio di Barzani di voler indire un referendum sull’indipendenza. Mentre l’opzione di un voto popolare rimane una possibilità, «se si raggiungesse un accordo con Baghdad – ha affermato Barzani nella città di Bashiqa – il referendum non sarebbe più necessario».
La risposta di Baghdad
Dopo il 2003, il grado di autonomia della regione curda nel sistema federale iracheno è stata una costante fonte di tensioni tra Baghdad ed Erbil. Ultimamente, però, Baghdad, con il Primo ministro Haider al-Abadi, ha lasciato intendere di essere aperta al dialogo. Ma, ovviamente, ci sono delle condizioni. Nel suo discorso a Bashiqa, Barzani ha sostenuto di avere l’appoggio degli Stati Uniti per mantenere la presenza dei Peshmerga (e quindi il controllo curdo) in un’ampia zona di territorio contesa tra Baghdad ed Erbil. Secondo le autorità curde i Peshmerga hanno esteso il proprio controllo sul 90 per cento delle aree contese, dove vivono curdi, arabi, così come turcomanni e altre minoranze.
La risposta di Baghdad su questo punto non si è fatta attendere. Il Primo ministro Haider al-Abadi ha reiterato i termini dell’accordo tra Baghdad ed Erbil, secondo il quale dopo la liberazione di Mosul, i Peshmerga devono ritirarsi dalle aree contese liberate dallo Stato Islamico e tornare in quei territori che controllavano prima dell’inizio dell’operazione militare congiunta. Tra le aree contese c’è anche Kirkuk – la “Gerusalemme curda”, secondo alcuni, un importante snodo dell’economia petrolifera irachena. Se Baghdad si è dimostrata aperta al dialogo, la questione delle aree contese non sembra rientrare nelle concessioni che Baghdad intende negoziare con la controparte curda.
Questioni interne
Se l’indipendenza è un’ambizione condivisa dall’intera classe politica curda, le tempistiche e le modalità per ottenerla sono, invece, un’ulteriore fonte di disaccordo tra i principali partiti politici. Alla storica rivalità tra il Partito Democratico Curdo (al momento alla guida del governo curdo) e l’Unione Patriottica Curda, si aggiungono le tensioni generate dall’entrata in scena di un nuovo partito, Gorran. Queste rivalità hanno in sostanza portato allo stallo politico nella regione curda: l’attività parlamentare è sospesa da ormai un anno, importanti ministri di governo sono stati destituiti e una parte dell’opposizione ha aspramente contestato l’estensione della carica presidenziale di Masoud Barzani oltre il suo mandato.
Non solo. La crisi economica ha messo in ginocchio l’economia della regione, colpendo soprattutto l’elefantiaco settore pubblico. A Suleymaniyah – città e provincia curda dove l’influenza dell’Unione Patriottica Curda e di Gorran è maggioritaria – le proteste degli insegnanti per i salari ridotti e non pagati, potrebbero portare alla perdita dell’anno scolastico per molti studenti. Per risolvere la questione, Suleymaniyah ha aperto un dialogo con Baghdad per una negoziazione separata della ripartizione del budget federale, causando una dura reazione da parte del governo di Erbil.
Cosa succederà?
Certo, il popolo curdo ha il diritto di determinare il proprio futuro politico. Al momento, però, l’operazione militare per liberare Mosul e i territori occupati dallo Stato Islamico – che è ancora in corso e non sembra concludersi a breve – ha distolto l’attenzione da quei temi che sono fondamentali per determinare il futuro della regione: la sostenibilità economica dell’indipendenza, il rapporto con Baghdad (ed ovviamente, con i paesi confinanti, Siria, Iran e Turchia) e gli stessi giochi di potere interno tra i partiti curdi. Intanto, il malcontento tra la popolazione cresce e non sarà facile contenerlo ancora per molto. Che sia indipendenza, autonomia o frammentazione, la prima cosa che i politici curdi dovranno fare è proprio rispondere alle domande dei propri cittadini.
Devi fare login per commentare
Accedi