Medio Oriente

Israele secondo Anthony Bourdin

22 Giugno 2018

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

“È sicuramente il più conteso terreno edilizio al mondo, e non c’è modo di parlarne senza rischiare di far arrabbiare qualcuno, se non tutti”. Forse anche per questo ci aveva messo così tanto ad arrivare qui, in questo luogo dove ogni cosa e persino ogni termine è conteso: dall’origine del felafel a come dovrebbe essere definito, “muro” o “barriera di sicurezza”, ciò che divide Israele dai Territori Palestinesi.

Anthony Bourdin, maestro e guru del gusto, che si è tolto la vita lo scorso 8 giugno, conosciuto il tutto il mondo per la sua incredibile opera divulgativa di antropologia del cibo, come spiega nell’episodio “Jerusalem”, ha esitato a lungo prima di recarsi in Israele per girare uno degli episodi del suo celebre programma  di docu-food Parts Unknown, anche per paura di essere etichettato, a seconda degli spettatori, come simpatizzante per terroristi, veicolo sionista, orientalista o ebreo che odia gli ebrei.

Pur essendo cresciuto in modo laico, non avendo mai messo piede in vita sua in una sinagoga, non credendo in alcun potere superiore e pur non avendo mai sviluppato alcun tipo di legame con Israele, che, come la definisce Bourdin, al primo sguardo, sembra la versione più attraente della California del Sud, solo per il fatto  di avere origine ebraiche Bourdin ha sempre saputo di essere stato odiato, semplicemente in quanto ebreo, da una buona fetta di mondo.

Eppure nel suo documentario c’è spazio per tutti. Bourdin intervista cuochi, viticoltori, venditori di street food e chef stellati come Yotam Ottolenghi, scrittore del celebre manuale di cucina “Jerusalem”, e mentre fa assaggiare a Bourdin il miglior falafel di Gerusalemme, gli spiega come persino il felafel, in Israele, sia un oggetto identitario conteso.

Nel corso dell’episodio, oltre a Gerusalemme, Bourdin visita colonie e coloni, Territori Palestinesi e i proprietari del ristorante fusion Mashda: una coppia mista (lei ebrea e lui musulmano), passando infine anche da Gaza, che vista dalla lente della sua telecamera sembra quasi un posto “normale”, con spiagge, bambini che fanno il bagno, chef donne che spiegano in un inglese perfetto come preparare un Makluba e locali che accolgono Bourdin alla propria tavola senza farsi nessun problema con le sue origini ebraiche.

“Sharing is caring”: forse, trovandosi davanti a un banchetto di ottime pietanze, è più facile sentirsi tutti uguali e, magari, dovremmo proprio cominciare dal cibo per ritrovare i punti in comune, e non solo le differenze, tra israeliani e palestinesi?

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Cara Fiammetta,

ti rispondo da Caffè Aroma, la versione israeliana di Starbucks, che, come il colosso americano, è  un luogo da cui prima o poi passano tutti.

Nulla a che vedere con lo street food di Gerusalemme e del mercato Mahane Yahuda (forse uno dei più buoni del medio oriente), dove la cultura giudaica è riuscita a unire perfettamente cultura culinaria di oriente e occidente. Tuttavia qui al Caffè Aroma si capisce cosa mangiano e cosa bevono veramente gli abitanti locali.

Partiamo dalla colazione: c’è una selezione di croissant, che sembra essere relegata al take away, perché qui è il salato che conta! Può un israeliano o un palestinese iniziare la sua giornata senza uova, insalata di cetrioli e pomodori, con tanto di formaggio bulgaro?

Il pane che, invece, è di tradizione Est Europea, retaggio sicuramente ashkenazita, sembra andare perfettamente con olive, salsa di sesamo e limone.

Dunque, che differenza c’è tra colazione e pranzo? Nessuna! Allora qui si scopre anche un’altra abitudine strettamente locale: si mangia senza orari! Gli operai fanno abbondanti colazioni le prime ore del mattino mentre gli impiegati pranzano alle 14.00.

E, almeno a Gerusalemme, il personale è quasi esclusivamente palestinese mentre la clientela è assolutamente mista. Non so se Antony Bourdain si sia fermato qui ma io da anni ho stabilito ad Aroma la mia seconda casa!

Per il resto, mia cara, come ha influito la lettura dei libri di Bourdain nella tua vita quotidiana?

From: Fiammetta Martegani

To: Susan Dabbous

Carissima Susan,

Ho letto Kitchen Confidential, un po’ per caso, proprio mentre stavo scrivendo il mio romanzo e, in un certo senso, mi ha cambiato la vita sia dal punto di vista culinario che da quello letterario, anche perché entrambe le cose, sia nel libro di Bourdain che nella vita, sono estremamente connesse.

L’indice della bibbia di Bourdain, infatti, partendo dagli antipasti fino ad arrivare al dolce, racconta anche la storia della sua vita e della sua carriera e di come, per avere successo, sia stato necessario procedere passo per passo, con ordine e disciplina, in cucina come nella vita.

Così, mentre cercavo di fare ordine nella mia vita ho iniziato a scrivere la “scaletta” del mio romanzo, nel vero senso della parola, scegliendo una playlist di canzoni che oltre a rappresentare la colonna sonora della mia vita e l’indice del mio romanzo, potessero in qualche modo guidare Zoe, la protagonista, nella complicata vita sul pianeta Israele: “Life on Mars”.

Più scrivevo più sentivo la necessità di fare lo stesso ordine nella mia vita quotidiana, a partire dalla cucina, e prima ancora, come spiegherebbe Bourdain, dalla selezione degli ingredienti.

Forse anche per questo, proprio mentre scrivevo il mio libro, mi sono trasferita nel cuore di Shuk ha Carmel, il mercato del quartiere yemenita, fonte di ispirazione di tutti i migliori chef del paese e costellato di street food corner tra una bancarella e l’altra.

Ma dimmi tu, Susan, qual’è la tua bibbia in cucina?

From: Susan Dabbous

To: Fiammetta Martegani

Nella nostra cucina ci sono diversi libri di ricette, ma per ora il luogo sacro è occupato dal best seller di Yotam Ottolenghi, che vanta ben tre nazionalità: inglese, italiana e israeliana. Ottolenghi è un ebreo inglese che ha saputo racchiudere perfettamente cibo, tradizione, cultura e glamour, in una città come Londra, che sembra essere nata apposta per fare da megafono mondiale a chi ha qualcosa di bello da sperimentare. Il nostro piatto, per eccellenza, quello che facciamo per impressionare gli ospiti, sono le melanzane al forno tagliate a metà e ricoperte di carne macinata d’agnello, spezie varie, e melassa di melograno. Anche le foto, nel libro che si intitola semplicemente “Jerusalem”, ci fanno sentire fortunati di vivere qui, a Gerusalemme, dove la gente viene in pellegrinaggio non solo nei luoghi biblici ma anche nel luoghi raccontati dal documentario per la BBC che Ottolenghi ha realizzato diversi anni fa. Tra i vari chef intervistati il mio preferito è il signor Zalatimo, palestinese sulla sessantina, che prepara le sue due versioni di fatayer (dolci di pasta sfoglia con noci e zucchero o con formaggio) e che non spiccica una parola di inglese. Ultimamente ha un via via di stranieri che bussano al suo negozio dopo aver visto il documentario su Youtube. Continua a non parlare l’inglese, non ha ristrutturato il suo locale, il cui intonaco cade ormai a pezzi, e non ha aumentato i prezzi. Che dire, forse è anche questa la magia di Gerusalemme.

Tra gli libri che usiamo molto meno c’è Soup for Syria, un ricettario di zuppe siriane. Ammetto di fare sempre la stessa: lenticchie gialle con cumino. Una specie di compagna fedele, una certezza, come la tua coperta preferita di inverno.

Quando si parla di cibo e di Medio Oriente si potrebbe parlare all’infinito, e forse, come hanno fatto Bourdin e Ottolenghi,  è sicuramente uno dei modi più affascinanti per conoscere davvero la società israeliana e palestinese e scoprire quanto hanno in comune.

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