Medio Oriente
Iran, ‘A colpire il Regime più di Trump è la crisi sociale’
Intervista ad Alì Ghaderi, Responsabile Esteri Fedayn del Popolo Iraniano
Da almeno un anno a questa parte la fuga di alti esponenti del regime iraniano dal paese è uno dei sintomi più appariscenti di una crisi che va avanti da tempo. Dieci anni fa il movimento verde che accusava Tehran di aver falsificato i risultati elettorali era principalmente un’espressione del ceto medio urbano. Oggi a muoversi sono soprattutto i lavoratori e le fasce più povere della società iraniana. E il fatto che una parte delle forze del Regime cerchi di cavalcare la protesta non significa – come pensa qualcuno qui in Italia – che si tratti di un’opposizione artificiale creata dagli ayatollah, magari con la collaborazione di qualche servizio segreto occidentale. Ne parliamo con Alì Ghaderi, responsabile esteri dei Fedayn del Popolo Iraniano, organizzazione che fa parte del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana.
Insomma sempre più alti funzionari scappano dall’Iran?
Sì, da tempo. E da questo punto di vista l’arrivo di Trump alla Casa Bianca ha inferto loro un duro colpo, perché nel ‘pacchetto’ abbinato all’accordo sul nucleare che il presidente americano ha stracciato erano incluse anche alcune migliaia di passaporti riservati proprio a esponenti delle gerarchie iraniane che volessero lasciare il paese e stabilirsi negli USA. Del resto anche il Canada e altri paesi stanno dando accoglienza a numerosi funzionari iraniani e soprattutto alle loro fortune, che derivano dalla vendita del petrolio e che finiscono su conti esteri intestati a questi personaggi come garanzia per il loro futuro. A questi governi vorrei dire che sono sempre ben accette le dichiarazioni di principio a favore delle libertà democratiche in Iran, ma bisognerebbe anche evitare che il denaro rubato al popolo iraniano finisse nelle banche dei loro paesi a esclusivo beneficio di chi lo ha rubato.
E’ la nuova politica americana la causa della crisi interna all’Iran?
In parte contribuisce, ma bisogna ricordare ad esempio che l’ayatollah Khamenei, la ‘Guida Suprema’, era contrario all’accordo sul nucleare revocato da Trump e poi le difficoltà del regime hanno origine soprattutto nelle contraddizioni sociali. Tehran accusa l’embargo USA di far mancare al paese le medicine per i bambini, ma in realtà c’è un meccanismo per cui il denaro ricavato dalla vendita del petrolio iraniano va a finire in un fondo da cui in realtà può essere prelevato per comprare le medicine per i bambini e altri beni primari, ma non per acquistare armi. E’ questo che fa infuriare il Regime.
E alimenta anche i conflitti al suo interno?
Certo. Oggi ad esempio una parte dei pasdaràn arriva addirittura a criticare apertamente Rohani e lo stesso Khamenei. E anche l’ex presidente Ahmadinejad, pur essendo ormai relegato a un ruolo secondario, attacca pubblicamente la ‘Guida Suprema’ con toni che qualche hanno fa lo avrebbero portato immediatamente in carcere o sul patibolo. Se oggi questo non avviene è proprio perché il Regime non ha la forza che aveva in passato e Ahmadinejad può approfittarne per cavalcare la rabbia sociale.
Quali sono le ragioni di questa rabbia?
Ce ne sono molte e crescono col passare del tempo. Oggi ad esempio tra le vittime della repressione ci sono molti ambientalisti, perché lo sfruttamento del territorio e la svendita dei ‘gioielli di famiglia’ sono uno dei modi con cui il regime reagisce alla riduzione delle risorse a sua disposizione e ha conseguenze rilevanti anche sul piano sociale. Una delle cause scatenanti delle ultime mobilitazioni di piazza in molte città iraniane era la crisi idrica. Tieni presente che si è trattato di manifestazioni anche molto dure. In alcune città i manifestanti hanno dato addirittura l’assalto alle caserme della polizia. E poi viene fuori che l’Iran fornisce acqua e tanta – si parla di 900mila metri cubi al giorno – al Kuwait. Qualcuno cerca di smentire, ma basta dare un’occhiata ai siti kuwaitiani per trovarvi dovizia di particolari sul contratto di fornitura stipulato dai due paesi.
Poi c’è la questione dei mari…
Sì, certo. L’Iran storicamente aveva il controllo di circa metà del Mar Caspio, così come il diritto internazionale gli riconosce un’autorità su una fascia del Mare di Oman, a sud, ben più ampia delle acque territoriali. Ebbene a nord il Governo di recente ha ceduto alla Russia la maggior parte della sua porzione di Caspio, che ospita importanti risorse ittiche, oltre a gas e petrolio, in cambio del sostegno politico di Putin alla Repubblica Islamica. Mentre nel Mare di Oman esistono accordi con la Cina per lo sfruttamento della pesca. Secondo quegli accordi le navi cinesi dovrebbero pescare solo alcune qualità di pesce, ma in realtà riempiono le reti di tutto ciò che capita, talvolta addirittura i pesci che non interessano vengono gettati di nuovo in acqua morti. Questa situazione sta gettando nella miseria i pescatori locali. I mercati del pesce sono vuoti e ci sono decine di migliaia di persone disoccupate. Se guardi i canali tv ufficiali questa piaga viene denunciata dalle autorità iraniane ed è stato trasmesso anche un servizio in cui un funzionario dell’amministrazione e alcuni poliziotti abbordano una nave da pesca cinese e la ispezionavano costringendo l’equipaggio a fuggire. Ma in realtà si tratta di una sceneggiata fatta per cercare di placare la rabbia dei pescatori e delle popolazioni della costa. In realtà le autorità sanno benissimo da anni che cosa accade in mare ed è evidente che c’è un tacito accordo con la Cina affinché tuto vada avanti così.
Ci sono altri fronti?
Sì, certo. C’è lo scontro storico tra le donne iraniane e la Repubblica Islamica, che va avanti da sempre. L’Iran non è l’Arabia Saudita. E’ un paese fortemente occidentalizzato in cui la popolazione ha respirato livelli di libertà elevati e li ha persi con l’affermarsi degli ayatollah. Oggi le donne patiscono severe restrizioni nella vita quotidiana, dall’abbigliamento alla libertà di movimento, e non si tratta di una loro ‘libera scelta’ come ha avuto la faccia di dire il ‘progressista’ Rohani in un’intervista televisiva a un canale americano. L’anno scorso alcune giovani donne hanno lanciato una nuova, coraggiosa forma di lotta contro l’oscurantismo del Regime, che consiste nel togliersi il velo e mettersi sul ciglio di una strada, esponendosi alla vista di tutti quelli che passano. Ovviamente le autorità sono subito intervenute arrestandole, ma dietro di loro si sono affacciate altre donne, per cui l’azione di poche coraggiose è diventata un fenomeno diffuso.
E dal punto di vista sindacale?
La crisi ha colpito fortemente anche i lavoratori iraniani. A settembre ci sono stati scioperi prolungati dei camionisti, che protestano contro le basse retribuzioni, il cui potere di acquisto è eroso dai prezzi crescenti dei pneumatici e di altri beni, anche per il cambio sempre più sfavorevole. In alcuni casi anche alcuni piccoli commercianti si sono uniti alla loro lotta. A ottobre ci sono stati scioperi in almeno sei regioni del paese e la reazione dello Stato non si è fatta aspettare: si parla di almeno 150 camionisti arrestati. Un mese fa la ITF (International Transport Workers Federation) ha lanciato un appello mondiale a sostegno di questi lavoratori. Il 14-15 ottobre c’è stato lo sciopero generale degli insegnanti che lamentano salari da fame. Da aprile in poi gli scioperi si susseguono, tanto che a giugno Khamenei ha fatto appello alla magistratura affinché persegua chi mette in crisi la ‘sicurezza economica’ del paese. Poi ci sono settori tradizionalmente combattivi come i tranvieri di Tehran e gli operai degli zuccherifici.
A novembre ci sono state tre settimane di sciopero nello zuccherificio di Haft Tappeh…
Sì e anche in questo caso la repressione è stata molto dura. E si tratta di una vicenda emblematica. Haft Tappeh è uno dei due zuccherifici più grandi del paese, un patrimonio di valore inestimabile se prendiamo in considerazione sia gli impianti industriali sia i terreni coltivati a canna da zucchero. I due stabilimenti, costruiti negli anni ’60 dallo scià, dopo la rivoluzione prima sono stati mandati praticamente in fallimento, poi sono stati privatizzati. Di recente il Governo era intervenuto con una somma importante a sostegno di questo stabilimento, amministrato da un personaggio vicino ai pasdaràn, che dopo un po’ però è sparito dalla circolazione.
La repressione è fortissima. Tu spesso pubblichi sulla tua pagina Facebook le immagini raccapriccianti degli impiccati nelle strade…
Sì, perché è un modo per ricordare un problema che tutti fanno finta di non vedere, anche qui in Italia, dove gli interessi economici in Iran sono fortissimi e non a caso le pressioni per rimuovere le varie misure di embargo nei confronti dell’Iran sono sempre state fortissime e hanno visto in prima fila anche partiti di governo, in particolare i Cinque Stelle. La moglie di Beppe Grillo è iraniana e lo stesso comico ha ricordato come la famiglia di lei costruisca strade e infrastrutture. Una fortuna che in Iran non capita se non si hanno legami col Regime. Ma tornando alla condanna a morte, di solito si dice che la Cina è la prima al mondo per le esecuzioni capitali, ma se considerassimo i dati in rapporto alla popolazione l’Iran verrebbe proiettato ai vertici della classifica. Ormai le esecuzioni sono quasi quotidiane e non vengono risparmiati neanche i minorenni, una particolarità agghiacciante e tutta iraniana.
Tra chi spesso ‘sorvola’ sulla repressione in Iran c’è anche la sinistra, inclusa la cosiddetta sinistra ‘radicale’.
Sì, lo dico a malincuore, ma tra i pochi che continuano a denunciare la repressione in Iran ci sono i radicali, con cui certo non mi identifico politicamente. Purtroppo a sinistra c’è questo equivoco per cui l’Iran sarebbe un argine all’imperialismo occidentale, in particolare americano, e quindi di qualunque crimine si macchi il Regime beneficerà sempre della comprensione di larga parte della sinistra. Una delle conseguenze di questo atteggiamento poi è che qualunque mobilitazione contro il Regime è sempre vista come sospetta. O c’è dietro un complotto in stile ‘rivoluzioni colorate’ oppure si dice che è un semplice scontro interno al Regime, come è successo nel 2009, quando si derubricava il movimento verde a sostegno di Moussavi come mera espressione della piccola borghesia o ancora l’anno scorso, quando il fatto che la contestazione al Governo sia scoppiata nella regione di origine di Khamenei ha spinto qualcuno a dedurne che fosse solo una manovra dei conservatori per screditare il ‘progressista’ Rohani. Ma il fatto che alcune fazioni, come nel caso di Ahmadinejad, cerchino di sfruttare la rabbia sociale non significa che quella rabbia non ci sia o che le sue manifestazioni siano artificiali.
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