Medio Oriente

In Iran anche l’alluvione indebolisce il Regime

26 Aprile 2019

Da un mese quasi l’intero Iran è vittima di una tempesta d’acqua che ha finora provocato quasi 80 morti, ma che potrebbe tradursi anche in una vera e propria tempesta politica. Nonostante l’emergenza infatti il Regime, anche nelle settimane passate, è stato oggetto di critiche diffuse e accusato di aver portato avanti politiche di devastazione ambientale, di non aver saputo gestire i soccorsi e di essersi preoccupato più di reprimere le critiche della popolazione che di aiutarla a salvarsi.

Da circa un mese l’Iran è in preda a una vera e propria emergenza umanitaria seguita alle tre successive ondate di violente precipitazioni e alle conseguente alluvioni che hanno colpito 25 delle 31 province del paese tra metà marzo e i primi di aprile, provocando 76 morti, la distruzione di oltre 700 ponti e danni a 14.000 chilometri di strade, per un valore stimato di oltre 2 miliardi di dollari. Un dramma abbattutosi su un paese già in crisi e che ha innescato violente critiche nei confronti del regime degli ayatollah e del governo del ‘moderato’ Hassan Rohani. Le autorità vengono accusate di non aver saputo gestire la crisi umanitaria e prestare adeguati soccorsi alle popolazioni colpite, ma anche di praticare da anni politiche di devastazione del territorio che rendono ancor più pesanti le conseguenze di fenomeni estremi come quello che si è registrato nelle scorse settimane. Un fallimento che ha provocato manifestazioni di protesta in alcune zone del paese e accentuato l’instabilità che da circa due anni caratterizza il clima sociale e politico, con un regime che appare enormemente indebolito sul piano interno, proprio mentre affronta una rinnovata ostilità internazionale, in particolare dopo il cambio ai vertici dell’amministrazione americana.

Un anno di pioggia in un giorno

Il 17 marzo il maltempo ha colpito violentemente l’Iran settentrionale, in particolare le due province del Golestan e del Mazandaran, sulla costa meridionale del Mar Caspio e a poca distanza dalla capitale Teheran. Per dare un’idea della portata del fenomeno, secondo alcune fonti sul Golestan in un giorno si sarebbe abbattuto l’equivalente del 70% della pioggia che in media cade su quella provincia in un anno. Successivamente la tempesta si è spostata verso sud, colpendo la quinta città iraniana, Shiraz, dove sono morte una ventina di persone e le province meridionali del Khuzestan e del Lorestan, che con 15 morti sembra aver pagato il prezzo più alto in termini di vite umane dopo Shiraz. Il maltempo ha provocato evacuazioni di massa dalle aree più colpite e provocato gravissimi danni alle infrastrutture e all’agricoltura. Secondo il Ministro dell’Interno iraniano il fenomeno ha toccato 4.440 villaggi, provocando danni valutati tra i 2,2 e i 2,5 miliardi di dollari.

Numerose critiche sono piovute addosso al Governo e in particolare al primo ministro Rohani, accusato di essere rientrato dalle vacanze su un’isola del Golfo Persico per prendere in mano le redini della situazione quando ormai la situazione era in via di miglioramento (in realtà gran parte della classe dirigente iraniana era in vacanza per il capodanno iraniano). Ma in generale è l’intero sistema dei soccorsi che sembra non essere stato all’altezza. Il Regime ha accusato gli Stati Uniti di ‘terrorismo economico’ perché avrebbe rifiutato di allentare le restrizioni previste d all’embargo per facilitare l’afflusso di aiuti, accusa smentita da Washington. In ogni caso il Governo iraniano da una parte ha vietato qualunque iniziativa privata di raccolta di fondi, cibo e medicinali, chiudendo alcuni conti correnti già stati attivati a tale scopo anche da alcune figure pubbliche e obbligando eventuali donazioni a passare attraverso i canali istituzionali, ufficialmente allo scopo di ‘evitare frodi. D’altra parte però le istituzioni preposte si sono rivelate incapaci di portare adeguatamente soccorso, un’accusa rilanciata anche da esponenti dello stesso Regime. Mahmud Sadeqi, parlamentare iraniano, ha ammonito il presidente Rohani che la provincia del Lorestan sta affrontando una tragedia, che la popolazione ha bisogno urgente di cibo, acqua potabile e medicine e ha osservato che c’è ‘una diffusa mancanza di ordine e di pianificazione’. Mohammad Pakpur, comandante della Guardie della Rivoluzione, sempre riferendosi al Lorestan, ha dichiarato che manca una gestione degli aiuti e che i rappresentanti del Governo non osano recarsi nelle aree colpite dalle alluvioni ‘perché la popolazione nutre sentimenti di rivolta’. Nello scaricabarile tra le diverse autorità critiche sono venute anche da rappresentanti delle amministrazioni locali nei confronti della Mezzaluna Rossa.

Proteste nel Khuzestan

Ad Ahvaz, capitale del Khuzestan, provincia sud-occidentale dell’Iran ricca di petrolio, delimitata a sud dal Golfo Perisco e ad ovest dal confine con l’Iraq, il 12 aprile ci sono state manifestazioni di protesta e sono circolate immagini e video che mostrano centinaia di agenti in tenuta antisommossa nelle strade della città. La popolazione chiedeva che il corso di due fiumi in piena venisse deviato per proteggere città e villaggi e accusa il Ministro del Petrolio Bijan Namdar Zangeneh di essersi opposto alla deviazione delle acque verso le paludi di Hour al-Hazim per proteggere alcuni impianti petroliferi nella zona. Nei giorni precedenti erano circolate immagini di scontri tra le Guardie della Rivoluzione e persone che rifiutavano di abbandonare le proprie case o protestavano contro la deviazione delle acque verso i campi coltivati. Testimonianze riferiscono che i pasdaran avrebbero aperto il fuoco sulla popolazione in un villaggio nei dintorni di Ahvaz e ci sarebbero state una paio di vittime.

In un comunicato del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana il Regime viene accusato di essersi preoccupato più di reprimere eventuali disordini che di portare soccorso alla popolazione. Un colonnello della Guardia della Rivoluzione avrebbe riferito di 24 persone arrestate nel Khuzestan perché ‘spargevano voci infondate sull’alluvione’ attraverso i social media. Sempre nel Khuzestan, dove vivono numerosi arabi iraniani, e nel Lorestan sarebbero arrivati alcuni reparti delle milizie sciite affiliate ai pasdaran iraniani di stanza in Iraq, con armi e numerosi veicoli da combattimento, mentre lo stesso Qassem Soleimani, comandante dei pasdaran in Iraq e in Siria e considerato il ‘Rommel iraniano’ avrebbe visitato le zone alluvionate. Secondo i media iraniani le milizie, che appartengono sia al gruppo Hashd al Sha’bi sia ai combattenti afghani di Fatemiyom, sono arrivate dall’Iraq coi propri genieri dotati di mezzi pesanti per prestare soccorso popolazione colpita dall’alluvione o addirittura per proteggere dall’avanzata dell’alluvione la città irakena di Amara, ma secondo l’opposizione iraniana si tratta di un intervento di mantenimento dell’ordine pubblico. Alcune fonti parlano di una reazione indispettita della popolazione locale all’arrivo di queste forze, che hanno cominciato a spadroneggiare nella strade delle città e circolano video che mostrano il linciaggio di alcuni miliziani da parte della folla.

Ambiente e lavoro terreno di scontro

Il Regime è accusato anche di avere preparato il terreno a disastri come quello delle scorse settimane portando avanti politiche che contemplavano, tra l’altro, la deviazione di corsi d’acqua e la distruzione di barriere naturali a protezione delle città, la cancellazione di intere foreste e la cementificazione di alcune aree del paese. In un paese in cui la rendita petrolifera è minata sia dagli effetti dell’embargo sia dalla diminuzione dei prezzi del barile la questione ambientale è diventata un terreno di scontro politico tra le istituzioni e l’opposizione sociale tanto quanto le relazioni sindacali nei settori come la siderurgia, l’industria dello zucchero e l’autotrasporto. Gli ambientalisti che negli anni ultimi anni si sono battuti contro la devastazione del territorio e la svendita di risorse naturali come acqua, terre fertili e lo sfruttamento dei mari per la pesca e sono finiti in carcere sono numerosi (PuntoCritico201118). La crisi economica che affligge il paese infatti fa sì che dalle risorse naturali e dalle attività che si basano su tali risorse, come agricoltura e pesca, dipenda la sopravvivenza di ampie fasce della popolazione. La situazione in Khuzestan è resa ancor più complessa da una significativa presenza della minoranza araba iraniana, che ha reso questa zona anche in passato particolarmente incline a manifestare il propri dissenso nei confronti delle autorità. Il Khuzestan inoltre nei mesi scorsi era stato protagonista di una dura repressione dello Stato nei confronti dei lavoratori dello zuccherificio di Haft Tapeh e degli operai siderurgici di Ahvaz, che aveva portato all’arresto di alcuni attivisti e rappresentanti sindacali (PuntoCritico250119).

Mentre ancora non si esclude il pericolo di nuove piogge torrenziali rimane da verificare quanto da questa situazione possa svilupparsi una tempesta politica. Ma il ricorso di Tehran a milizie provenienti da oltreconfine per riportare l’ordine nelle province sud-occidentali viene interpretato da alcuni come un modo per non sguarnire le grandi città nel caso il fronte della protesta dovesse espandersi. Insomma un segnale di debolezza.

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L’articolo è tratto dalla newsletter di PuntoCritico.info del 19 aprile 2019

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