Medio Oriente

Il futuro del pianeta si decide in Medio Oriente?

17 Agosto 2021

La pandemia, afferma il politologo Gilles Kepel, ha riacceso la polveriera del Levante. I rapporti di forza tra le democrazie occidentali e i grandi regimi orientali, dalla Turchia alla Russia, fino alla Cina, si stanno trasformando. Insieme il crollo del prezzo del petrolio segna un processo di marginalizzazione di quell’area. Almeno sul piano economico, perché invece questa rimane al centro del conflitto politico.
Guardare a Occidente non basta più. Il nostro futuro geopolitico si decide fuori dai nostri confini, tra il Mediterraneo e il Medio Oriente. Questa la diagnosi di Kepel.

Non solo questa stagione segna una nuova fase (la quarta, secondo Kepel) del jihadismo, dopo l’Afghanistan dei primi anni ’80 la Cecenia, l’Egitto (prima fase); il jihad leninista che sbocca l’11 settembre (seconda fase) l’Isis e l’uso della gioventù musulmana per fare il jihad sulle società europee, con gli attacchi a Charlie Hebdo e al Bataclan (terza fase); gli imprenditori della rabbia attivi nei social, che designano i bersagli simbolici e umani. Kepel fa iniziare questa nuova fase la sera il 2 novembre 2020: mentre il mondo è in attesa dei risultati delle residenziali americane a Kabul i talebani colpiscono una scuola e un’università, provocando 22 vittime nel primo attacco e 19 nel secondo. Nella notte tra il 2 e il 3 novembre la capitale austriaca è stata invece teatro di un attentato che ha preso di mira diversi punti della città, colpendo passanti in strada e provocando 4 vittime e una quindicina di feriti.

Quanto Il ritorno del profeta è uscito in libreria in Italia (giugno 2021) questa scena poteva apparire lontana, forse «esagerata». Difficile sostenerlo dal primo pomeriggio di domenica 15 agosto, mentre Kabul cade in mani ai talebani, ma anche mentre nella regione di Akkar, nel nord del Libano, l’esplosione di un’autocisterna, riporta in prima pagina scene che noi in questi 12 mesi ci siamo dimenticati, ma che a Beirut ricordano la tragicità di una guerra di cui nessuno si occupa (qualcuno si ricorda la scena del 4 agosto 2020, 214 morti, quando nel porto di Beirut esplode una nave?). Quella data, per noi, qui, ha marcato un prima e un dopo? Forse no, ma in Libano indubitabilmente sì. [la mappa 11 dedicata al Libano negli ultimi 12 mesi che Kepel inserisce nel libro è di grande utilità, soprattutto per gli «smemorati»].

L’estate 2020 è stato un momento chiave per capire i nuovi equilibri islamici. Ma anche per capire le sfide che l’Occidente volente o nolente deve prendere in carica, se vuole misurarsi con la qualità e l’intensità dello scontro che si profila.

Il 24 luglio 2020, 97 anni dopo la firma del trattato di Losanna che segna la affermazione del profilo laico della Turchia di Ataturk (comunque la dismissione dall’idea di califfato), si inaugura la basilica di Santa Sofia a Istanbul ora divenuta Moschea.

Quel giorno verso la moschea convergono 350.000 persone. In prima fila, c’è lui, Recep Tayyip Erdogan, il presidente della Repubblica. È la prima preghiera islamica dentro la ex basilica ortodossa e cattolica, da 86 anni diventata un museo, e ora per decisione del Consiglio di Stato di Ankara e volontà del presidente tornata moschea. Forse dovremo interrogarci sulla potenza che i luoghi del religioso hanno nel segnare i sentimenti della politica, non solo di registrali, ma di “crearli”.

Il primo richiamo di Kepel è su questo punto, ma senza interscambiare politica con religione.

Kepel, infatti, non si limita a fare un’analisi della potenza del “teologico” in un tempo in cui la razionalità in politica sembra decisamente marginale. Quello spunto, serve per tornare a proporre un’analisi materiale, quasi materialista, delle dimensioni della crisi che assume il linguaggio, le parole del religioso, appunto come «volano di sentimenti», ma non come fondamento delle decisioni politiche. Quelle invece rimangono dentro la sfera della politica secolarizzata e sono: economia dello sviluppo, controllo delle risorse, riconversione delle sfide di sviluppo fondate sulle fonti energetiche.

Le mappe che accompagnano il libro sono da questo punto di vista uno strumento utilissimo e anche immediato per un lettore che voglia guardare ii “movimenti” della politica.

Significa: controllo del medio Mediterraneo utilizzando la crisi libica [mappa 2]; riscrittura dei rapporti in Medio Oriente disegnati dal patto di Abramo [mappa 1] e contemporaneamente espansione e consolidamento della supremazia cinese in quell’area [mappa 15] come nuovo tassello della sua  politica imperialista che a questo punto è evidentemente non solo Land grabbing in Africa, ma anche controllo delle risorse nell’Asia media: Iran, soprattutto in seguito alla morte di Qasem Soleimani (3 gennaio 2020); quindi il Covid [mappa 4], una epidemia i cui dati in Iran sono ufficialmente top secret.

Nel frattempo una guerra inutile in Yemen; la crisi del Mediterraneo; l’incapacità di far fronte ai flussi migratori [mappa 13]; i nuovi flussi che è facile prevedere arriveranno attraverso la Turchia (se non arriveranno sarà la conseguenza di una trattativa con il neosultano con automatico innalzamento di orgoglio nazionale (da tutte e due lati del muro tra Turchia e Europa).

Nel frattempo, l’attenzione di tutti può concentrarsi con le difficoltà degli Stati Uniti, con i tentativi di Biden di costruire una quadra, ma – conclude Kepel, non dobbiamo perdere la scena che apre una nuova stagione.

Quella scena non dobbiamo cercarla a Kabul (anche se lì è certo che è finita una stagione dei diritti, soprattutto per le donne). La dobbiamo cercare in quel ritorno della Jihad a Vienna (nel novembre 2020) che per Kepel riapre i conti con a storia.

È il 12 settembre 1683. L’esercito austriaco con l’aiuto di quello polacco rompe l’assedio dell’esercito turco intorno alla città. La battaglia dura tutto il giorno e termina con una terribile carica all’arma bianca. I turchi retrocedono.

Quel giorno segna l’avvio del tramonto della presenza ottomana in Europa.

Trecentotrentasette anni dopo, scrive Kepel, quel confronto si riapre: il territorio è il medio oriente, ma sempre meno strategico, e sempre più simbolico.

Certo i simboli contano, e contano se si scelgono come simboli.  In ogni caso quella simbologia dice dell’incapacità degli europei di misurarsi con la storia e della macchina mitologica che costruisce volonterosi carnefici o entusiasti dispensatori di morte. Dietro c’è la retorica di avere un ruolo, il mito del passato. I giocatori non sono lì. Questo non rende le maschere né innocue, né meno pericolose, né meno sanguinarie. Anzi.

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