Medio Oriente
Gerusalemme – Tel Aviv Taxi Express
From: Fiammetta Martegani
To: Susan Dabbous
Carissima Susan,
Com’è andato il tuo ritorno in sherut, ovvero il taxi collettivo che fa la spola tra Tel Aviv e Gerusalemme?
Ogni volta che io prendo lo sherut mi capita sempre qualcosa, sia nel bene che nel male.
Una volta, per esempio, un tossico, dopo essersi fatto pagare da me il biglietto perché ormai lo sherut aveva già lasciato Gerusalemme da una decina di minuti e l’autista minacciava di non continuare il suo tragitto, è riuscito a dichiararmi amore eterno giurando che avrebbe smesso per sempre con la sua dipendenza se io lo avessi salvato con il mio amore.
Un’altra volta l’amore l’ho trovato davvero, ma non per me, bensì per una delle mie più care amiche. Quella volta, sempre tornando da Gerusalemme, circa un’anno fa, parlando con il mio vicino di sherut in cerca di una potenziale fidanzata gli ho proposto la ragazza con cui, a distanza di un anno, stanno ora passando assieme le vacanze in India.
Conosco persino una coppia che, essendosi conosciuti in sherut, sono oggi marito e moglie.
Insomma, il mezzo di trasporto per attraversare Israele in lungo e in largo, in cui si sale e si scende al volo e si paga passandosi le monetine di mano in mano è sicuramente, oltre che un’esperienza unica e imperdibile per viaggiare e conoscere il paese, anche per conoscere chi ci abita e le loro strane abitudini.
Sempre sullo sherut, infatti, mi sono state piu volte offerti acqua, cibo, droghe e vari generi di (più o meno) prima necessità.
E tu, cosa mi racconti delle tue esperienze su e giù tra la Città Santa e Sin City?
From: Susan Dabbous
To: Fiammetta Martegani
Cara Fiammetta,
Dopo che mi hai lasciato nelle mani del signore pelato con gli occhi verdi e la pelle bruciata dal sole, sullo sherut numero 16, mi sono fatta un lungo giro della famigerata sud Tel Aviv. Non era un tour voluto, ma un semplice errore di comprensione vista la povertà del mio ebraico e del suo inglese. La verità è che lui si è dimenticato di dirmi di scendere alla fermata della stazione: era così dispiaciuto che mi ha restituito i miei 6 shekel. Una cosa inaudita, non mi era mai successo: proprio ora che me ne vado devo ricredermi sui modi burberi degli autisti israeliani e palestinesi. Come se non bastasse, sempre sullo sherut una signora americana ebrea ortodossa sì è detta pronta a prendersi cura di me e mi ha accompagnato nello sherut successivo, quello per Gerusalemme. Abbiamo chiacchierato e mi ha detto spontaneamente che tornava dall’istituto per disabili dove vive il suo figlio autistico. Le ho detto che ho lavorato con i bambini disabili da studentessa e lei mi ha guardato con gli occhi pieni di ammirazione. Non mi sentivo speciale quando lo facevo da ragazza, ma oggi che sono diventata mamma capisco perché quella signora mi ha guardata così e ho riflettuto su quanto temi universali come questo della disabilità accomunino tutti, israeliani e palestinesi, bianchi, neri e olivastri.
Quanto all’amore, esperienze del genere non mi sono mai capitate sullo sherut: di solito viaggio con lavoratori palestinesi che vanno da Gerusalemme a Tel Aviv.
Tu, invece, che gente trovi nella rotta inversa ?
From: Fiammetta Martegani
To: Susan Dabbous
Cara Susan,
non ci avevo mai pensato, ma dovendo generalizzare dividerei gli utenti dello sherut della tratta Tel Aviv-Gerusalemme- Tel Aviv, in tre tipologie.
I turisti, che non hanno la più pallida idea in quale genere di avventura si stanno per infilare quando salgono sullo sherut per la prima volta: se da un lato, infatti, sono facili prede da abbindolare e spesso gli autisti ne approfittano facendoli pagare tariffe improbabili o lasciandoli, più o meno per sbaglio, alla fermata sbagliata, per la stessa ragione sono spesso i turisti a venire “adottati” dai locali che per aiutarli a districarsi nella giungla mediorientale cominciano con offrirgli metà del panino comprato alla stazione e finiscono per invitarli a cena a casa loro a Shabbat.
La seconda categoria sono i cosiddetti “pendolari”: abitanti di Tel Aviv che pur lavorando a Gerusalemme si rifiutano di abbandonare Sin City e preferiscono ogni giorno fare su e giù, portandosi avanti e indietro tutto il bagaglio di esperienze, sia nel bene che nel male, che lo sherut comporta.
L’ultima categoria è quella di cui faccio parte io, ovvero i local che una volta ogni tanto si concedono l’escursione da “turista” verso la città santa e la cui tratta in sherut rappresenta una sorta di esperienza iniziatica irrinunciabile, come la visita del Muro del Pianto.
Come si dice in una vecchia battuta da Telaviviani: la cosa più bella di Gerusalemme è la strada che porta a Tel Aviv. Io aggiungerei: lo sherut che porta a Tel Aviv perché, in sherut, ogni viaggio, è davvero un viaggio nel viaggio.
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