Medio Oriente

Gaza: quale accordo “oltre” la guerra per quali vulnerabilità di una pace “non sottile”?

Un “Accordo vulnerabile” si avvia a Gaza tra Hamas e Israele per un cessate il fuoco anche per la convergenza (quasi)collaborativa tra Biden e Trump oltre che per le pressioni delle potenze regionali e di opinioni pubbliche mondiali “sfibrate e divise”.

16 Gennaio 2025

Un “Accordo vulnerabile” si avvia a Gaza tra Hamas e Israele per un cessate il fuoco anche per la convergente collaborazione tra Biden e Trump oltre che per le pressioni delle potenze regionali e delle opinioni pubbliche mondiali e visto che in questa Striscia di terra affacciata sul mare non c’è più nulla  e con questo una umanità annichilita (se non annientata) che può solo traguardare alle onde per interpellare un futuro possibile. Tuttavia all’orizzonte “venti di pace” sono ancora lontani perché i due nemici continuano ad avere come obiettivo la “distruzione” uno dell’altro (Hamas e Israele), entrambi illusori. Un esito frutto dell’indebolimento (non annullamento) del potenziale militare sia di Hamas che di Hezbollah e dunque dei tentacoli dell’Iran antisionista ma da cui esce anche la sconfitta politica di Netanyahu non compensata dal (parziale) successo militare sul campo. A dimostrazione dell’equazione che né Hamas nè Israele sono “eliminabili” e visto che le guerre (boot in the ground) devono finire come tutti i fenomeni ad “S” ( naturali ed umani) anche se poi continuano in altre forme come questo è il caso e non sarà l’ultimo purtroppo. Intanto, dovremo vedere se lo scambio di prigionieri ( da anni nelle carceri israeliane) e di ostaggi del terribile 7 ottobre (quanti in vita ?) avrà inizio e come e  se con questo potere avviare almeno un dialogo. L’ odio diffuso tra i palestinesi è profondo e tuttavia emergono divisioni, così come tra gli israeliani che sono sempre più divisi soprattutto sul futuro del Governo Netanyahu e di lui stesso. Ma si può “convivere sulla stessa terra anche odiando “? Forse si, se questo odio non è totalmente distruttivo ed è questa convivenza che andrà realizzata ricostruendo condizioni minime di convivenza ove tacciano i cannoni per ridare un futuro ai palestinesi, far tornare gli ostaggi e per sedare almeno parte del dolore immenso acceso da 47 mila morti (tra cui 18 mila bambini e donne) e del tragico 7 ottobre pur nella evidente “sproporzione”. Il quadro di ricostruzione virtuosa tuttavia dipenderà dall’avanzamento degli Accordi di Abramo e dunque dal rafforzamento della partnership regionale attorno ai sauditi (sunniti) e al ridimensionamento in corso dell’influenza dell’Iran con il quale servirà comunque un accordo guardando al nucleare. Insomma, dipenderà ancora una volta anche dalle possibilità di attenuare il conflitto millenario tra sunniti e sciiti e dalla loro reciproca capacità di trovare punti di equilibrio per una convivenza possibile e che intreccia le grandi questioni energetiche, migratorie e demografiche. Ma dipenderà anche dal ruolo dell’Occidente e in particolare dall’Europa se non vorremo diventare irrilevanti.

L’Accordo e le sue fasi per una pace giusta e stabile nell’orizzonte (pur lontano) dell’opzione “2Sper2P”

Ecco perché la pace è ancora lontana eppure in questi spiragli dobbiamo sforzarci di produrre le condizioni di convivenza proprio con il contributo delle forze regionali e internazionali che consentano l’avvio di una ricostruzione sostenibile di una Terra per i Palestinesi senza perdere all’orizzonte l’opzione strategica fondamentale di uno Stato Palestinese come garanzia della sopravvivenza e sicurezza di Israele. Obiettivo che sembra uscito dai radar oggi ma domani sarà necessario e prima ci arriveremo sarà meglio come primo tassello di stabilizzazione del corpo sanguinante e di odio di un Medio Oriente in fiamme. Vedremo se l’arrivo di Trump spingerà alla crisi del Governo di Israele o se lo rafforzerà magari cambiando gli equilibri per nuovi assetti di coinvolgimento dell’opposizione. Con il primo step la tregua di 42 giorni andrà monitorata nelle sue diverse fasi in rapporto allo scambio primario tra prigionieri ed ostaggi e con il cessate il fuoco l’avvio poi della ricostruzione e con attori  credibili a garantire la tregua  e che vede un ruolo anche per l’Europa e l’Italia in particolare. Certo l’arrivo pur “rude” di Trump sul teatro medio-orientale a segnare il confine di un “nuovo inizio” – avendo minacciato i nemici della tregua con un’armageddon segreta e che si attribuisce il merito di questo esito pur rivendicato anche da Biden ma in chiave collaborativa con il lavoro del transition staff avviato da mesi – ha contribuito forse a questo risultato. Ora serve un Piano di Ricostruzione credibile e garanzie politiche forti in campo con un perimetro internazionale e un  coinvolgimento diretto dell’ONU, triangolando l’OLP con la dorsale sunnita dei sauditi e i poteri regionali  dei “volenterosi” (via il leverage degli “Accordi di Abramo”)  e dunque con una forza multinazionale occidentale che dovrebbe supportare tra mesi una qualche pace possibile e sostenibile che ha come obiettivo finale il depotenziamento del piano nucleare militare dell’Iran e l’avvio di quello civile di Riad con riconoscimento di Israele  e la conseguente marginalizzazione politica di Hamas evitando in questo modo i rischi di vuoti di potere a Gaza che sarebbero terribili dopo gli orrori attuali. Un piano di ricostruzione che deve fare allora da barriera anche all’onda di antisemitismo diffusa nel mondo oltre che in Medio Oriente e che spacca la stessa opinione pubblica israeliana potendo riaccendere focolai di terrorismo globale dei quali già si vedono tracce. Le democrazie devono trovare gli antidoti ai fantasmi risorgenti dell’antisemitismo in Occidente a partire dalla stabilizzazione del teatro Medio-Orientale e in futuro la riflessione sull’opzione “2 Stati per 2 Popoli” come una delle chiavi strategiche di congiunto disinnesco necessario dell’odio antisionista nella regione e dell’antisemitismo che riguarda tuttavia soprattutto l’Occidente e sul quale dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Opzione “2Sper2P” che viene “imposta” dai sauditi – non dimentichiamolo – come conditio sine qua non per qualsiasi loro coinvolgimento attivo e senza il quale la sicurezza  e l’esistenza stessa di Israele sarebbe a rischio permanente. Anche per la potenziale saldatura con i venti antioccidentali che soffiano sulle opinioni pubbliche europee in particolare oltre che su quelle mondiali.  Che per esempio metterebbe a rischio da un punto di vista geopolitico-energetico la funzione strategica connettiva del gasdotto a sud verso Cipro e alternativo al Nordstream a suo tempo voluto dalla Germania con la Russia e poi bloccato dopo l’aggressione russa all’Ucraina e ora vitale per riavviare le macchine  in Europa e nel Mediterraneo e dunque nel mondo.

Spegnere l’incendio mediorientale è una priorità globale dell’Europa guardando la Stella Polare della democrazia per non “galleggiare senza gravità”

 L’incendio medio-orientale che è globale (e non “regionale”) va spento per queste ragioni umanitarie , economiche e sociali complesse e per attenuare i rischi di scivolamento verso derive di deglobalizzazione appoggiate da fragili logiche neo-nazionaliste e di un sovranismo post globale ad alta vulnerabilità nelle mani di leader miopi “mutati” in deboli influencer per forzare la Rule of Law e spingerla verso una Rule of Man o – peggio – nelle gabbie weberiane di una Rule of Tech per il controllo di popoli osannanti di mutanti in folle informi di fan servizievoli e conformisti “impasticcati di electro-Xanax” e smartphone dipendenti da iper-connettività ipo-relazionale. Una strada che aggiungerebbe “disordine al disordine” con accresciuta entropia senza soluzioni stabili. Ecco perché serve un ruolo più attivo di una Europa  “autonoma” nelle politiche di difesa, industriali-commerciali e migratorie oltre che opinioni pubbliche vigili, sveglie, pro-attive e partecipative con politiche inclusive ( visto che il 50% degli europei non vota più minandone la rappresentanza dei Parlamenti). Sapendo che non possiamo più delegare il governo di un mondo diventato multilaterale né al bipolarismo USA-Russia (sostituita ora dalla Cina) crollato con il “Muro di Berlino”, né al ” capitalismo della sorveglianza” dell’Ovest e dell’Est di oligarchie contrapposte anti-sistemiche, anti-liberali, anti–democratiche, dunque anti-capitalistiche e infine anti-politiche. Dunque non possiamo nemmeno affidarci ai nuovi teorici degli “oligopoli virtuosi” (Musk – Thiel) che vogliono la soppressione del capitalismo competitivo sostituito da uno Stato di darwinismo sociale dei più forti in una foresta ordinata con pochissimi giganti che annulla la varietà e la creatività dell’umano senza responsabilità né sostenibilità e dunque senza innovazione (che costa rischio e investimenti) e il connesso pluralismo di cluster-reti d’impresa nell’interesse del consumatore e premiale dei “migliori purchè immobili”. Riportandoci allora al capitalismo ottocentesco ammantato da forza neo-tecnologica vestita da illusioni tecno-spaziali “neutrali” di vetrine orbitanti sul mondo che verrà visto da un oblò a 500 km dalla Terra sospendendo le leggi della fisica gravitazionale come le leggi della politica alla ricerca del “galleggiamento permanente”. Perciò forse è meglio tornare con i piedi per terra ricostruendo con pazienza Gaza  (e fermando la tragica guerra contro l’Ucraina) con la “speranza dei giusti” su tutti i fronti perché si incontrino facendosi guidare sempre dalla Stella Polare tra le immense costellazioni incastonata nel Grande Carro dell’Orsa Maggiore che guida da milioni di anni il cammino dei viventi guardando al Nord Celeste, mentre sulle nuvole marziane lanciamoci pure gli oligarchi (vecchi e nuovi), a rimirar le (altre) stelle se sono capaci di trovare – con un bell’algoritmo AI – una direzione e un senso  oltre il semplice “galleggiamento nell’immobilità” tra miliardi di miliardi di opzioni stellari!

 

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