Medio Oriente

Gaza, in Israele c’è chi dice no. Intervista a Omri Evron

19 Maggio 2018

Omri Evron (nella foto a sinistra), 30 anni, a cui abbiamo chiesto un giudizio sulla situazione creatasi dopo i ripetuti bagni di sangue ai confini di Gaza, è diventato un protagonista della contestazione alle politiche di Israele circa 10 anni fa, come esponente di punta del movimento dei refusnik  e oggi continua la sua attività come attivista della sinistra israeliana (tra i giovani del Partito Comunista). Per lui i recenti bagni di sangue a Gaza riflettono un fallimento delle opposte strategie: da una parte il tentativo di Netanyahu di “amministrare il conflitto” lucrandovi politicamente, ma anche eliminando dall’orizzonte qualunque possibile exit strategy, dall’altra le illusioni di Fatah nel ruolo delle diplomazie estere e di Hamas nell’efficacia dello scontro militare, naufragate entrambe tragicamente.

L’escalation di questi mesi è dovuta esclusivamente al fatto che i politici israeliani nell’era Trump si sentono di liberi di fare ciò che vogliono o ci sono anche altre ragioni, più interne?

E’ vero che il pieno sostegno dell’amministrazione Trump alle politiche guerrafondaie e imperialistiche di Netanyahu, atteggiamento che si riflette nello spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme senza il parallelo riconoscimento del diritto dei palestinesi ad avere la loro capitale nella parte est della città, gioca un ruolo importante negli ultimi terribili eventi. Ma questi sono anche l’inevitabile conseguenza delle intrinseche contraddizioni della politica israeliana. L’Occupazione dei territori palestinesi, in particolare il disastro umanitario conseguente allo strangolamento di Gaza, è insostenibile. I giovani di Gaza vengono spinti all’orlo della totale disperazione negando loro la più elementare forma di dignità e la speranza. Le conseguenze di questa politica ora ci stanno esplodendo tra le mani. Netanyahu poi è sempre pronto a fare uso della propaganda nazionalistica per proteggere il Governo dalle numerose accuse di corruzione e dal malcontento provocato dalle misure economiche liberiste che esso sta attuando.

Gli ultimi bagni di sangue hanno stimolato qualche reazione? Che impatto hanno avuto questi massacri in Israele?

Purtroppo la maggioranza dell’opinione pubblica è molto ricettiva nei confronti della propaganda del Governo e dei media e pensa che l’esercito stia solo proteggendo i nostri confini dai terroristi o invece si accontenta di fuggire dalla realtà evitando di confrontarsi con l’orrore che avanza. E’ parecchio sconfortante, anche se non sorprende, che i maggiori partiti di opposizione espressione del sionismo moderato (laburisti e Yesh Atid) stiano sostenendo il Governo sia rispetto ai massacri di Gaza sia rispetto all’azione americana a Gerusalemme e nei confronti dell’Iran. Tuttavia ci sono anche voci che esprimono opposizione e indignazione. Questa settimana abbiamo assistito a una manifestazione partecipata, che in modo spontaneo ha iniziato a bloccare alcune strade nel centro di Tel Aviv e ci sono state numerose azioni da parte di israeliani e arabi per protestare contro il massacro di manifestanti a Gaza e per una pace israelo-palestinese basata sul principio dei due Stati. Per quanto la gente cerchi di ignorare i crimini commessi nei territori occupati in qualche misura comprende che queste politiche non fanno l’interesse degli israeliani. Il Governo sta solo tentando di ‘amministrare il conflitto’, ma non possiede soluzioni e questo ci trascina verso una guerra senza fine.

Cosa pensi dell’atteggiamento di Fatah e Hamas e come lo giudicano i palestinesi?  Sembra che anche queste organizzazioni in questi anni non abbiano avuto una chiara strategia e che ciò avvantaggi i falchi dell’amministrazione israeliana.

Non voglio parlare a nome dei palestinesi, ma è chiaro che entrambe le strategie, di Fatah e Hamas, in questi ultimi dieci anni sono fallite miseramente. Non solo la leadership palestinese è stata divisa, ma Fatah ha fatto affidamento senza alcun costrutto su una diplomazia filo-occidentale appoggiata dagli USA, mentre Hamas ha giocato la carta dello scontro armato con risultati finali assolutamente disastrosi. C’è una terza opzione, promossa in questo momento da molti palestinesi, come Marwan Barghouti, attualmente in carcere, ed è quella della resistenza popolare non armata. E’ quello che alla fine sta emergendo dalle azioni dei giovani di Gaza. Non possono sfidare la potenza militare israeliana con le armi, né confidare che a dare loro la libertà siano i diplomatici occidentali, per cui cercano di lottare in altro modo per liberarsi con le proprie mani. Il prezzo pagato da questa strategia alla repressione israeliana è terribile, ma di fatto il governo israeliano non ha modo di contrastarla, specialmente se essa prenderà piede anche in Cisgiordania.

Si direbbe che l’unico modo per risolvere il problema sostenendo questa tattica, più che la diplomazia estera, sia una reazione dei lavoratori e di altri settori rilevanti della società israeliana.

Sono d’accordo. Ovviamente è importante avere una pressione internazionale a cui il Governo israeliano sia costretto in qualche misura a rendere conto.  Ma la libertà non verrà mai garantita dai buoni auspici della comunità internazionale. Sta a chi vive in questa terra, ebrei e palestinesi, lottare per difendere i propri interessi, che alla fine hanno in comune l’esigenza di mettere fine allo spargimento di sangue attraverso una accordo che garantisca indipendenza, pace, libertà e sicurezza a entrambe i popoli. Le aziende israeliane stanno vendendo in tutto il mondo armi testate sui palestinesi, ma i lavoratori israeliani non traggono benefici dal conflitto. Anzi, in Israele un terzo dei bambini vive sotto la soglia di povertà, mentre il paese sperimenta uno dei più alti divari tra ricchi e poveri di tutti i paesi dell’OCSE. La pace è nel nostro interesse e dobbiamo batterci per ottenerla.

Che atteggiamento hanno i partiti di sinistra e i pacifisti?

Alcuni dei cosiddetti ‘partiti di sinistra’ non stanno facendo nulla, ma ci sono forze che invece si stanno muovendo. Il Partito Comunista israeliano e i movimenti della società civile nel Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza, stanno portando avanti azioni in cui ebrei e israeliani fanno opposizione, fianco a fianco, a questo pericoloso governo estremista. Stiamo cercando di mostrare a un pubblico più ampio che le politiche in atto non tutelano i nostri interessi, bensì alimentano solo ulteriori  spargimenti di sangue e che la vera sicurezza verrà solo da una pace equa che riconosca i diritti e l’indipendenza dei palestinesi.

In che modo è possibile sostenere le ragioni della pace dall’estero?

Dipende dal contesto politico in cui ciascuno è collocato. Temo che iniziative personali come il boicottaggio di Israele non influenzino affatto la situazione, ma anzi aiutino solo il Governo a presentarsi come paladino dell’unità nazionale contro l’antisemitismo. Eventuali sanzioni da parte di Stati invece potrebbero avere un impatto efficace. Ma soprattutto è utile esprimere solidarietà al popolo palestinese, essendo  chiari però sul fatto che serve una soluzione equa che garantisca a entrambe i popoli l’indipendenza e il diritto di vivere in pace.

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