Medio Oriente

“Figlio di un cane”. “Antisemita”. L’arte d’insultarsi in Medio Oriente

24 Marzo 2018

from: susan dabbous

to: fiammetta martegani

Cara Fiammetta,

è venerdì, e questa settimana all’insegna degli insulti sta finalmente per finire, ma mi chiedo se altre bocche si apriranno a breve per trasferire altre massicce dosi di rabbia e di razzismo. Mi spiego meglio. Lunedì sera parlando a un raduno di leader palestinesi Abu Mazen ha definito l’ambasciatore americano David Friedman «figlio di un cane», perché «colono, figlio di coloni».

In effetti Friedman è un tipo che ritiene tutti i Territori palestinesi edificabili a piacimento degli immobiliaristi della destra ultra conservatrice israelo-americana. Però va detto che verbalmente non ha mai insultato Abu Mazen, anzi. L’intera nuova strategia di Trump, Friedman e compagnia bella, sembrerebbe non degnare i palestinesi neanche dei classici insulti, ma di tirare dritto per una “One State solution”, senza proprio considerare questi curiosi arabi che vivono nei paraggi.

Sul versante israeliano, invece, mi è sembrato che, nella retorica razzista, i neri abbiano temporaneamente preso il posto dei palestinesi, in quando target di pregiudizi.

Il tutto è stato sintetizzato in una frase pronunciata daNetanyahu durante un’iniziativa politica nel Negev, regione dove migliaia di eritrei e sudanesi sono al momento detenuti come irregolari: «l’ondata dei migranti africani è peggio de terroristi del Sinai». Un paragone che ho trovato personalmente scioccante, visto che i migranti non delinquono e non terrorizzano: sono semplicemente fuggiti da guerra, miseria e persecuzioni militari.

Ma andiamo avanti, perché nel sermone della scorsa settimana il Capo Rabbino sefardita Yitzhak Yosef d ha definito i neri “scimmie”. Si è poi discolpato dicendo di aver  detto “kushi,” una parola  di origine antica che oggi ha un valore dispregiativo. Io non conosco l’ebraico. Tu che vivi a Tel Aviv dove, grazie al cielo, sopravvive il politically correct, come vedi questa deriva?

from : fiammetta martegani

to : susan dabbous

Carissima Susan,

La parola “scimmia”, che in ebraico si dice kuf, può, in effetti, molto alla larga, essere confusa con kushi, che pur facendo riferimento all’antico Regno di Kush, nell’attuale Sud Sudan,  fino a qualche decennio fa veniva regolarmente utilizzata, in modo improprio e politicamente scorretto, per riferirsi alle persone “di colore” (probabilmente anche questo termine è improprio) così come una volta si utilizzava in italiano il termine “negro”, sostituto qualche anno fa dal nostro ex- Presidente del Consiglio con “abbronzato”, facendo riferimento alla vittoria di Obama alla Presidenza degli Stati Uniti.

Paese che vai, razzismo che trovi.

Tuttavia quando un Primo Ministro, sia esso Berlusconi, Bibi o Abu Mazen, si permette di utilizzare uno dei termini che tu hai precedentemente illustrato, l’operazione di produzione del discorso è doppia, poiché, in quanto rappresentanti del popolo che li ha eletti, questi leader politici legittimano il razzismo all’interno non solo del discorso politico ma anche della vita quotidiana.

Come direbbe Nanni Moretti “le parole sono importanti” ma troppo spesso ce lo si dimentica e si parla a vanvera, soprattutto, nella maggior parte dei casi, per ignoranza.

Ti ricordi la terribile gaffe di Berlusconi, allora Primo Ministro, quando si era riferito al presidente del parlamento europeo, il tedesco Martin Shulz, come kapò?

Ma sappiamo quanto l’antisemitismo sia un male vecchio come il mondo.

Tra l’altro il termine stesso“antisemitismo”, nella sua etimologia, fa riferimento all’odio nei confronti delle culture semitiche e quindi anche della cultura araba e non soltanto di quella ebraica.

Forse quindi, per assurdo, la radice di questo odio si potrebbe trovare proprio in ciò che queste due culture, apparentemente così distanti, hanno in comune?

from: susan dabbous

to: fiammetta martegani

Sicuramente l’ebraismo e l’islam hanno molto in comune, ma l’antisemitismo in versione musulmana credo che abbia un altro nome: islamofobia, seppure non esista ancora una letteratura a riguardo.

Per tornare a noi, credo sia pericoloso non distinguere tra l’antisemitismo “vero”, ovvero quella violenza verbale, o fisica, che prende di mira gli ebrei in quanto tali, con l’antisemitismo “fittizio”, ovvero quell’accusa vaga lanciata spesso da ebrei ultraconservatori contro chiunque critichi le politiche israeliane riguardanti sicurezza, annessione di territori palestinesi etc.

Mi ha impressionato, ad esempio, come la campagna internazionale di boicottaggio dei beni commerciali israeliani prodotti nei Territori Palestinesi si stata tacciata di antisemitismo. Fortunatamente ci pensano gli ebrei stessi a inserirsi in gruppi di protesta pacifica contro le colonie per riportare il tutto a una dimensione reale, economica, concreta, e non “antisemita”. E tu, non trovi che l’abuso o l’uso improprio di un termine che esprime un concetto così importante sia assolutamente da biasimare?

from : fiammetta martegani

to : susan dabbous

Cara Susan,

trovo che la ragione principale per cui l’operazione di cui tu parli sia pericolosa è che se si inizia a dare dell’antisemita a tutti, e per qualsiasi critica nei confronti dello Stato di Israele, si rischia di confondere due mali in uno solo, e inestistente, il che porta, inevitabilmente, alla difficoltà di trovarne la cura.

Detto questo, rimane il fatto che, molto spesso, ma non sempre, chi è ostile nei confronti dello Stato di Israele, a priori, e non delle specifiche politiche governative, sia, forse anche soltanto a livello inconscio, parzialmente antisemita, nel senso più profondo del termine a cui facevo riferimento prima e che, come tu hai ben sottolineato, ha le stesse radici dell’islamofobia.

A proposito della letteratura a riguardo, oserei dire che il primo studioso ad aver analizzato il fenomeno e ad aver in questo modo aperto un’analisi critica del conetto di “orientalismo” sia stato Edward Said, che formulò le sue teorie a riguardo utilizzando e rielaborando il pensiero decostruzionista  di Antonio Gramsci e Michel Foucault.

Forse prorio dal decostruzionismo di dovrebbe partire per poter, dopo aver decostruito, ricostruire, dalle macerie, uno spazio pluralista in cui dar voce ai diversi attori che, assieme, costituiscono questo strano posto chiamato “Medio Oriente”.

 

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