Medio Oriente

Divorzio all’israeliana

26 Gennaio 2018

From: fiammetta martegani 

To: susan dabbous

Carissima Susan, come va?

La scorsa settimana, col fatto che Udi era all’estero, ho approfittato per farmi una bella scorpacciata di amiche: single e sposate, neo e post-mamme, in cerca di un marito e in cerca di un amante.

A proposito: tra le sposate, è venuto fuori che l’unico modo per evitare il divorzio è o l’amante o andare in terapia di coppia.

Praticamente in Israele non conosco una coppia, con figli, che si dichiari felice, senza bisogno di un aiuto esterno, sia esso un terapista o un amante.

L’alternativa? Il divorzio, che, purtroppo, vedo in aumento anche in coppie relativamente giovani, stando all’età dei genitori che frequentano l’asilo di mio figlio e con cui spesso mi trovo a chiacchierare all’uscita.

Sarà che succede perchè siamo a Tel Aviv, la Sex and the City del Medio Oriente?

Cosa succede invece lì a Gerusalemme, tra ebrei ultraortodossi e arabi cristiani e musulmani?

Ti capita mai di parlarne con altri genitori dell’asilo dei tuoi figli o con le tue amiche gerosolimitane?

From: susan dabbous 
To: fiammetta martegani 

Cara Fiammetta,

anche a Gerusalemme i divorzi sono in aumento. Non so se dire purtroppo o per fortuna, perché ovviamente il tasso di infelicità delle coppie è direttamente proporzionale ai matrimoni combinati: una brutta tradizione che resiste nel tempo, sia tra gli ebrei ortodossi che tra i musulmani.

Il risultato è che giunti in “età da matrimonio” (un’età che decidono i genitori) i ragazzi e le ragazze predestinati si accingono al letto nuziale senza aver mai avuto rapporti intimi con il partner “della vita”. Per non parlare dello strazio interiore di tutti quelli che arrivano al “grande giorno” con in mente, e nel cuore, un’altra persona. E già, perché non importa quanto tradizionale e bigotta sia la società in cui crescono: ragazzi e ragazze si innamorano e si frequentano segretamente, a tutte le latitudini.

Vista la separazione in quartieri, a Gerusalemme è relativamente facile, ad esempio, per una giovane coppia palestinese incontrarsi segretamente nella parte occidentale della città, quella israeliana, lontano dagli occhi indiscreti dei propri vicini e parenti.

A farla “da padrone” qui sono le madri, almeno sul versante arabo: loro scelgono le mogli per i propri figli maschi in base alla bellezza e alla devozione religiosa della futura sposa.

Ma la società reale è molto più complessa delle vecchie tradizioni. Capita quindi che le donne si scoprono essere molto meno sottomesse di quanto dovrebbero, per non parlare di quelle che hanno un livello d’istruzione più alto del proprio uomo, e in Palestina sono parecchie.

A volte poi le donne riescono a trovare lavoro più facilmente degli uomini aggirando tutte le tragiche limitazioni imposte dall’occupazione israeliana, soprattutto al di là del  muro di separazione.

Infine c’è anche un fattore economico da non sottovalutare: Gerusalemme diventa ogni giorno più cara e gli stipendi che percepiscono gli arabi non sono assolutamente sufficienti per sostentare le famiglie (spesso numerose), così n questa città, più che in altri luoghi nel mondo arabo, le donne si rimboccano le maniche e vanno a lavorare.

Il lavoro fuori dalle mura domestiche lascia, pur se piccolo, uno spiraglio anche per le relazioni exraconiugali che, però, devono avvenire nella segretezza più assoluta perché lo stigma sociale è tale da mettere la vita della donna in pericolo.

Invece da quel che mi racconti a Tel Aviv il delitto d’onore sembra scomparso del tutto.

Ma dimmi, davvero lì i tradimenti sono così frequenti?

From: fiammetta martegani

To: susan dabbous

Cara Susan, chi tradisce, per definizione, tende a non mettere i cartelli in giro.

Tuttavia, oltre ai tradimenti, negli ultimi anni, almeno qui a Tel Aviv, sento parlare sempre più spesso di coppie aperte e del concetto di “poli-amore”, ovvero, della possibilità, previo consenso da parte di entrambi, di allargare gli orizzonti della coppia monogama tradizionale pur senza intaccare l’unità famigliare, soprattutto quando ci sono di mezzo dei figli.

E, a quanto pare, l’esperimento funziona.

Non dimentichiamo inoltre che il concentto di “unità famigliare”, almeno qui a Sin City, ha dei confini molto meno rigidi di quelli a cui siamo abituati, per esempio, nel nostro cattolico Bel Paese.

Qui avere due mamme o due papà non è eccezione, bensì la norma. Per non parlare delle numerose altre opzioni tra cui la mamma lesbica e il papà gay, uno dei due etero e l’altro omosessuale, con tutto l’enturage di fratellastri, matrigne, patrigni e nonnastri a carico.

Conosco personalmente tre fratellini che hanno cinque nonne, due delle quali sono un’arzilla coppia di lesbiche ultrasettantenni.

Per darti un’idea di come a Tel Aviv ciò sia cosa  buona e giusta ti racconto un aneddoto che riguarda l’asilo di Enrico ma anche altri asili della Città Bianca.

Ogni venerdì mattino, per dare il benvenuto allo Shabbat, si usa invitare un bambino e una bambina della classe a portare la challa, il pane dolce che si mangia a Shabbat, per celebrare una piccola cerimonia come quella che si fa a casa il venerdì sera.

Nel resto del paese i due cerimonieri vengono normalmente chiamati “aba-shabbat” e “ima-shabbat”: rispettivamente “padre” e “madre” dello Shabbat.

Onde evitare discriminazioni di genere in contesti famigliari alternativi, a Tel Aviv negli asili non ci sono “padrini” e “madrine” bensì “cochav-Shabbat” che in ebraico vuole dire “stella dello Shabbat”.

E ti dirò che a me l’idea che Enrico sia come una stella piace molto di piu’.

From: susan dabbous 
To: fiammetta martegani 

Mi fai scoprire più tradizionale di quanto pensassi. Mi piace l’idea del bimbo-stella, cosa che Enrico è, non solo a Shabbat.

Ciò che mi lascia perplessa è l’idea di “ammucchiata familiare”, quando forse ai bambini servirebbero dei punti di riferimento molto saldi e soprattutto avrebbero bisogno, ad un certo punto della loro vita, di sapere da chi sono stati generati, pur avendo due genitori dello stesso sesso.

Ciò detto non voglio uscire fuori tema, e vorrei chiederti due cose: la prima è quali sono le maggiori cause di divorzio? La seconda, in caso di separazione, i giudici israeliani affidano i bambini più alle madri o ai padri?

Nel diritto islamico si predilige il padre, che di solito è quello che porta lo stipendio a casa. Ma conosco una mamma palestinese che ha ottenuto l’affidamento dei figli perché il padre beveva e non era un tipo raccomandabile.

From: fiammetta martegani

To: susan dabbous

Sulle cause di divorzio credo che ogni coppia abbia le sue ragioni, per cui faccio fatica a darti una risposta generica. Sicuramente i figli, non in quanto tali, ma a causa di tutte le responsabilità che comportano, non sono certo un elemento di aiuto in una coppia in crisi, soprattutto quando la crisi è anche di tipo economico, come spesso succede in Israele, dove, se da un lato il PIL è in costante aumento grazie al grande successo fin-tech della Startup Nation, dall’altro la famiglia media arriva con grande fatica, spesso ricorrendo a prestiti bancari, a pagare le bollette di fine mese.

Invece per quanto riguarda l’affidamento dei bambini tenderei a dire che i giudici cercano di essere i più equi possibile e, nei limiti di ciò che è sensato, di affidare i figli a entrambi.

Quello che invece è un aspetto ancora problematico nel corso di ogni divorzio tra coppie ebree è il fatto che, non esistendo in Israele il rito civile ma solo quello religioso, anche per divorziare è necessario ottenere il nulla osta da parte del tribunale rabbinico.

E stando alla legislatura rabbinica è solo l’uomo, proprio come nell’Islam, a poter concedere il divorzio alla donna e, per questo motivo, spesso i processi di divorzio, se il marito non è consenziente, possono durare anni con conseguenze estenuanti sia per la donna che per tutto il nucleo famigliare, come viene raccontato nello struggenge film del 2014 dei fratelli Elkabetz “Gett”, come la parola che in ebraico si usa per descrivere l’ottenimento del certificato di divorzio.

Un’altra delle altre ragioni per cui Udi ed io abbiamo deciso si non sposarci, così, nel migliore dei casi, saremo eternamente fidanzati, finchè morte non ci separi.

 

 

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.