Medio Oriente
Dagli ultraconservatori agli hippie, chi sono gli americani in Israele?
From: susan dabbous
To: fiammetta martegani
Cara Fiammetta,
oggi mi sono infilata in una traversa della bella Salomon Street per trovare un posto nuovo dove lavorare qui a Gerusalemme. Contenta di aver scovato un angolino incantevole in un caffè, mi sono accomodata con i miei giornali a un tavolo un po’ appartato. Ci ha pensato un gruppo di 40 americani, a rompere la magia. Avevano la scritta “Voto Trump” sulla fronte e l’aria fiera della supremazia bianca. Mi hanno preso i giornali dal tavolo e mi hanno detto: vuoi sapere perché «We are strong supporters of Israel?» E io: sì, vi prego, sono una giornalista, scrivo di cose e persone che a volte dubito che possano esistere veramente.
Avrei voluto anche dire loro: non importa la vostra religione, non importa chi supportate, siete degli arroganti. Ma mi sono ritrovata in soggezione perché erano tanti.
Poi mi hanno detto che facevano foto delle persone che incontrano nel loro viaggio e, tac, mi hanno pure fotografata. Mi sento quasi abusata.
Ovviamente non voglio generalizzare sugli americani. Un giorno ti racconterò anche di un mitico attivista ebreo californiano che aiuta i palestinesi nelle battaglie legali contro i coloni. Tu, invece, a Tel Aviv che tipo di americani conosci?
From: fiammetta martegani
To: susan dabbous
Carissima Susan,
a Tel Aviv, come in Israele in generale, la comunità americana é enorme ed estremamente diversificata.
Inanziutto possiamo dividerli in due grandi gruppi. Ci sono gli israelo-americani: israeliani che si sono trasferiti, anche per molti anni, in America, persino figli di israeliani nati negli Stati Uniti, che alla fine sono ritornati in Israele, perché, di fatto, nel loro cuore, sono sempre rimasti profondamente israeliani, ovvero mediterranei, non così diversi da noi italiani. Ragion per cui, noi due con questo tipo di americani ci andiamo a nozze e io uno di questi me lo sono pure scelta come compagno di vita.
Poi ci sono gli americani ebrei, che per questa ragione a volte decidono di trasferirsi in Israele e diventare israeliani a tutti gli effetti ma che, nel loro cuore, rimarranno sepre e profondamente “americani” nel senso WASP (white anglo-saxon protestant) del termine. L’unica differenza è che invece di essere protestanti sono ebrei, in tutte le loro diverse declinazioni: dagli ultraortodossi agli atei, e che anziché essere di origine anglosassone sono, a seconda, più o meno tedeschi, russi o polacchi, con tutti gli sterotipi del caso.
Persino trai cosidetti WASP, tuttavia, esistono le eccezioni. Anzi, molto di loro sono venuti proprio a Tel Aviv per sentirsi parte di questa vibe dove tutto é possibile, c’é posto per tutti e dove ci si sente tutti parte di una grande famiglia, o meglio, di un grande kibbutz urbano.
From: susan dabbous
To: fiammetta martegani
Cara Fiammetta,
capisco perfettamente a cosa ti riferisci. Nella categoria WASP non mancano anche molti americani liberal, lettori di Haaretz, giornale progressista, con pregiudizi innati che saltano fuori quando meno te l’aspetti, a tratti comici.
Una volta mio marito Richard, inglese di nome e d’aspetto, venne invitato a una cena di shabbat a casa di una amabile coppia di settantenni, ebrei bianchi di New York, che iniziarono a fare a pezzi la BBC, per il suo modo “pro-palestinese” di riportare le notizie. Richard ci è abituato, anche con i palestinesi che pensano l’esatto contrario, ovvero che la BBC non riporti abbastanza in dettagli la sofferenza del loro popolo.
Poi il discorso è virato sui pericoli della sicurezza, e lì è emersa la madre delle generalizzazioni: che gli arabi, anche quelli “buoni”, alla fine coprono, o non denunciano, quelli “cattivi”, i terroristi. La cena andò di traverso a tutti.
Ma ti vorrei raccontare anche della signora Ruth, un’elegantissima agente immobiliare che aiuta noi expat a trovare casa a Gerusalemme, moglie di un ex ambasciatore israeliano in USA e acerrima nemica di Netanyahu.
Insomma, trovo il mondo degli americani in questa parte del mondo molto interessante. Soprattutto ora che, stando alle ultime, il 14 maggio, in occasione del 70esimo anniversario dello Stato di Israele, che coincide con la Nakba per i palestinesi, verrà trasferita l’ambasciata USA qui a Gerusalemme: una decisione che, oltre a sotterrare definitivamente la soluzione dei due Stati, forse manderà su tutte le furie anche gli americani che lavorano a Tel Aviv?
From: fiammetta martegani
To: susan dabbous
Carissima Susan,
per poter spostare l’Ambasciata a Gerusalemme prima di tutto gli americani dovranno costruirne una nuova, e conoscendo le tempistiche mediorientali Trump farà in tempo a rinnovare un altro mandato e forse gli impiegati dell’Ambasciata riusciranno a organizzare il più grande sciopero mai visto nella storia degli USA.
Io, infatti, tutti gli americani che hanno deciso di venire a vivere in Israele per godersi l’edonismo di Tel Aviv, nell’austera Gerusalemme proprio non me li vedo.
Ma forse nel frattempo sarà finalmente pronta la linea ferrovaria che collega le due città, così vicine e così lontane, e migliaia di americani cominceranno a fare i pendolari tra questi due mondi agli antipodi, come le diverse tipologie di americani che ci vivono.
Tranne quando ci si avvicina a Thanks Giving e allora, improvvisamente, non importa quanto si sia simpatizzanti con i palestinesi o i coloni israeliani, per ventiquattro ore, come per magia, riuniti attorno al tacchino e al Primo Ememendamento della Costituzione, siamo tutti americani.
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