Medio Oriente
Chi è davvero na’ivi?
Cosa possiamo fare? Lo stai già facendo. Se non ti stai attivando per la pace, ti sei rassegnato alla guerra (Stephen Apkon)
In quell’insuperato e attualissimo manifesto della convivenza scritto da Alexander Langer nel 1994, “Dieci punti per l’arte di vivere insieme”[1], c’è un ragionamento che più che mai oggi va ripreso: «Esplosioni di nazionalismo, sciovinismo, razzismo, fanatismo religioso, ecc. sono tra i fattori più dirompenti della convivenza civile che si conoscano (più delle tensioni sociali, ecologiche o economiche), ed implicano praticamente tutte le dimensioni della vita collettiva: la cultura, l’economia, la vita quotidiana, i pregiudizi, le abitudini, oltre che la politica o la religione. Occorre quindi una grande capacità di affrontare e dissolvere la conflittualità etnica. Ciò richiederà che in ogni comunità etnica si valorizzino le persone e le forze capaci di autocritica, verso la propria comunità: veri e propri “traditori della compattezza etnica”, che però non si devono mai trasformare in transfughi, se vogliono mantenere le radici e restare credibili. Proprio in caso di conflitto è essenziale relativizzare e diminuire le spinte che portano le differenti comunità etniche a cercare appoggi esterni (potenze tutelari, interventi esterni, ecc.) e valorizzare gli elementi di comune legame al territorio».
In questi giorni in cui dilaga senza nessun freno il conflitto israelo palestinese vi sono due occasioni di conoscere reali e concreti “traditori della compattezza etnica” che accendono una luce di speranza nel buio della violenza che travolge ogni desiderio di pace.
La prima occasione è la pubblicazione di un instant book che documenta la storia e racconta la biografia dei protagonisti dell’impegno dell’associazione pacifista israelo palestinese Combatants for Peace[2].
Non violenti e determinati seminatori di fiducia nella possibilità di un cambiamento. I membri palestinesi sono giovani che hanno combattuto contro l’occupazione e hanno passato molto tempo nelle carceri israeliane. Gli israeliani sono, invece, ex militari che hanno smesso di fare i soldati perché pensavano di essere entrati nell’esercito per proteggere il loro Paese, poi invece hanno scoperto di essere parte del sistema di occupazione di un intero popolo.
La seconda occasione per incontrare traditori della compattezza etnica è la possibilità di partecipare agli incontri promossi dal Movimento non violento che è in tour in Italia[3] per presentare la testimonianza di pacifisti non violenti palestinesi e giovani israeliani che hanno rifiutato il servizio militare.
Il primo affollatissimo incontro si è tenuto la sera del 16 ottobre nel salone della sede delle Acli di Milano in via della Signora.
Daniel Mizrahi, 19 anni e già cinque mesi di carcere militare alle spalle, ha raccontato la storia del suo rifiuto alla leva obbligatoria, assistito dall’associazione Mesarvot che offre tutela legale e sostegno vitale a chi intraprende una strada così impervia e difficile.
Ha spiegato di aver vissuto un cambiamento radicale della sua vita e delle sue convinzioni, sfuggendo al rischio di avere oggi le mani macchiate dal sangue dei crimini compiuti dall’esercito israeliano nella guerra di questi mesi.
Sofia Orr, 18 anni, anche lei obiettrice e militante di Mesarvot, ha rifiutato l’arruolamento il 24 febbraio scorso e subito arrestata e destinata al carcere.
Ha posto la domanda provocante: «chi è davvero na’ivi (ingenua) oggi nel mio paese? A me tutti dicono che na’ivi sono io ma io penso che lo sono coloro che confidano nel potere della violenza. Tutte le persone, dal fiume Giordano al mare [Mediterraneo], soffrono a causa di questa guerra e solo la pace, una soluzione politica e la presentazione di un’alternativa possono portare a una vera sicurezza».
Ha raccontato la sua esperienza anche Tarteel al Junaidi, 28enne palestinese di Hebron/Al Khalil, in Cisgiordania, attivista del Community Peacemaker Team (CPT) che fa interposizione e accompagnamento di donne, bambini e lavoratori palestinesi vittime degli assalti violenti dei coloni nella sua città.
L’attività del CPT è documentata dal film LIGHT [4] che viene presentato con lo stesso tour.
Tutti e tre hanno raccontato, sui due fronti, come accade che si possa crescere fin da bambini nella propaganda che implementa l’odio e la disumanizzazione dei nemici che vengono raccontati solo come terroristi, estremisti, assassini.
Tutti coloro che hanno partecipato all’incontro sono stati colpiti dalla giovane età dei protagonisti. Una ragione in più per vivere di fiducia.
«Anche nei tempi più oscuri abbiamo il diritto di attenderci qualche illuminazione. Ed è molto probabile che essa ci giungerà non tanto da teorie o da concetti, quanto dalla luce incerta, vacillante e spesso fioca che alcuni uomini e donne, nel corso della loro vita e del loro lavoro, avranno acceso in ogni genere di circostanze, diffondendola nell’arco di tempo che fu loro concesso di trascorrere sulla terra» (Hannah Arendt).
[1] https://www.alexanderlanger.org/it/32/104
[2] Combattenti per la pace – Palestinesi e israeliani insieme per la liberazione collettiva (a cura di Daniela Bezzi), Edizioni Multimage
[3] https://www.azionenonviolenta.it/obiezione-alla-guerra-un-tour-in-italia-dal-15-al-27-ottobre-con-testimoni-di-nonviolenza-da-israele-e-palestina/
[4] https://www.youtube.com/watch?v=Vk0W3nqFZjI&t=44s
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