Medio Oriente

Cartoline dal Giro d’Italia in Israele

5 Maggio 2018

From: fiammetta martegani

To: susan dabbous

Carissima Susan,

a quanto pare il 1909 è stata una grande annata. Infatti, lo stesso anno, oltre a essere stata fondata la città di Tel Aviv, è stato istituzionalizzato il primo Giro d’Italia.

Chi mai avrebbe potuto immaginare un giorno che il Giro sarebbe passato proprio da Tel Aviv, partendo da Gerusalemme e attraversando Israele di lungo in largo, da Haifa al Mar Rosso, passando per il deserto del Negev?

Tra l’altro è la prima volta che il Giro d’Italia esce dall’Europa, scegliendo, come primo esperimento, un luogo alquanto insolito come Israele, da sempre nel mirino mediatico per via del conflitto che quest’anno compie i suoi 70 anni come il Paese stesso.

C’è chi sostiene che il Giro non sia stato portato qui a caso ma proprio per un’operazione di “sport washing” finanziata dal magnate canadese Sylvan Adams, immigrato in Israele proprio un anno fa, grandissimo appassionato di ciclismo e a sua volta plurimedagliato, che ha intuito il grande ritorno di immagine che avrebbe avuto Israele nell’ospitare un evento seguito su scala globale come il Giro d’Italia.

From: susan dabbous

To: fiammetta martegani

Carissima Fiammetta,

immagino che sai già dell’enorme polemica scaturita dalla collocazione geografica annunciata dagli organizzatori rispetto alla partenza del Giro, a Gerusalemme Ovest. Come, Ovest? Si sono chiesti quelli del governo di Netanyahu: non esiste nessun Est e nessun Ovest. Esiste una città sola, unita, ed è la capitale dello Stato ebraico.

Il comitato organizzatore del Giro si è ben guardato dal polemizzare e, anche per non perdere i finanziamenti previsti, ha rettificato con uno di quei giochetti pirotecnici tipici della diplomazia italiana rispondendo: ma no, non intendevamo sottintendere che la città fosse divisa per ragioni politiche e belliche. Volevamo solo dire che il Giro si svolgerà nella parte Occidentale della città. Tutto qui.

Perché ribadire che la parte palestinese in questa bellissima manifestazione sportiva non è affatto coinvolta? Un vero peccato, perché un evento del genere avrebbe potuto aiutare a sconfiggere lo scoglio culturale nella tradizione araba che addirittura impedisce alle donne di andare in bicicletta.

From: fiammetta martegani

To: susan dabbous

Carissima Susan, in effetti è stata una vera occasione mancata, anche perchè il ciclismo, da sempre, è sinonimo di libertà, e anche per questo, proprio per via della peculiarità geografica che quest’anno unisce l’Italia a Israele, questo Giro è stato dedicato a un eroe non solo del ciclismo ma anche della resistenza al fascismo: Gino Bartali. Vincitore di ben 3 Giri (1936,1937,1946), negli anni della Seconda Guerra Mondiale sfidò più volte il pericolo delle milizie fasciste facendo la spola in bici tra Assisi e Firenze, fra la stamperia clandestina che fabbricava documenti falsi e l’Arcivescovo di Firenze, Elia Dalla Costa, che li distribuiva agli ebrei perseguitati dai nazisti. Percorrendo quasi 200 km al giorno salvò oltre 800 ebrei, ragion per cui nel 2013 ha ricevuto il titolo di «Giusto fra le Nazioni» da parte di Yad Vashem, il memoriale della Shoah di Gerusalemme, dove è stato piantato un albero col suo nome nel bosco dove ogni  pianta porta il nome di chi ha salvato anche solo un ebreo dalla Shoah.

Questo Giro d’Italia in Israele è dunque una splendida occasione per ricordare questo importante pezzo di storia italiana, ma anche un’occasione mancata, come dici tu, per creare dialogo ed emancipazione tra i due popoli.

Tra l’altro, non eri stata proprio tu a raccontarmi la storia di una ciclista di Ramallah arrivata da sola fino ad Akaba?

From: susan dabbous

To: fiammetta martegani

Cara Fiammetta,

mi dai l’occasione di parlare di una palestinese dalla tempra notevole: Malak Hasan, giornalista di professione ma ciclista per passione. Ha percorso sulle due ruote la strada che porta da Ramallah, nei territori Palestinesi, ad Aqaba, leggendaria città costiera della Giordania. Immagina quante sfide geografiche, burocratiche e culturali ha dovuto superare questa coraggiosa donna: 1. nella cultura araba le donne non vanno sulla bici; 2. ha dovuto spiegare alle autorità israeliane, che controllano il confine tra i Territori Palestinesi e la Giordania, che voleva passare la frontiera per intraprendere un’impresa sportiva e non terroristica; 3. ha dovuto rimandare al mittente tutte le iatture degli uomini musulmani che le passavano vicino con la macchina per dirle che, in quanto donna, non ce l’avrebbe mai fatta.

Le foto che immortalano la sua faccia soddisfatta all’arrivo la dicono lunga, sulla forza di volontà di una vera femminista araba. Da quel giorno ha insegnato a tutte le ragazze che incontra che con la volontà tutto è possibile e ha fondato Cycling Palestine, un’associazione di ciclisti che fanno escursioni nel week end.

Malak ha ovviamente vissuto con molta frustrazione la partenza del Giro d’Italia da Gerusalemme, perché vivendo a Ramallah, dall’altra parte del muro costruito da Israele, non ha potuto assistere alla partenza e per questo ha organizzato una manifestazione vicino al check point di Qalandia. Non troppo vicino, però, vista la facilità con cui in questo periodo i soldati israeliani usano pallottole vere contro chiunque cerchi di avvicinarsi alla rete di separazione. Ma raccontami tu com’era il Giro visto dalla “normale” Tel Aviv.

From: fiammetta martegani

To: susan dabbous

Carissima Susan,

anche se ho visto il giro dal vivo solo alla fine del percorso, dove aspettavamo arrivare il vincitore della seconda tappa, vedere sul grande schermo i 174 partecipanti al Giro pedalare tutto d’un fiato tra le strade di Tel Aviv che percorro ogni giorno mi ha fatto un grandissimo effetto, soprattutto avendo sulle spalle mio figlio, 50% italiano, 50 % israeliano: mi sono sentita, come non mi capita spesso, orgogliosa delle due patrie.

Spero solo un giorno, non troppo lontano, di potergli raccontare questa storia e che il finale sia un happy end: perchè ormai credo fortemente che solo chi è mosso da passione vera, per lo sport come per la cultura, può portare avanti quel processo di pace di cui i politici hanno perso interesse ormai da troppo tempo.

E che vinca il migliore!

 

 

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