Medio Oriente
Assad punta a Idlib, perché per l’Europa sarebbe un disastro
Nel settembre scorso un accordo fra Russia e Turchia ha sventato l’offensiva dell’esercito siriano verso la “Grande Idlib”, la regione incastrata fra i governatorati di Latakia, Hama, Aleppo e Idlib, controllata da diverse forze ribelli.
L’intesa raggiunta regolava la creazione di una zona demilitarizzata, un cessate il fuoco e la riapertura delle due autostrade che da Latakia e Hama raggiungono Aleppo, passando per il governatorato di Idlib.
L’accordo non è mai stato implementato; scontri fra lealisti e ribelli sono all’ordine del giorno, come gli incessanti bombardamenti delle aviazioni russe e siriane su aree civili.
Il bilancio è amaro per le comunità ribelli, fonti locali e osservatori indipendenti hanno riportato tra le 400-500 vittime civili in 8 mesi.
L’ONU ha denunciato 80 morti e circa 300 feriti fra il 28 Aprile e il 6 maggio scorso.
Proprio il 6 maggio il regime siriano ha rotto gli indugi e lanciato l’offensiva militare di terra.
In pochi giorni di combattimento si contano dozzine di caduti sia fra le file dei governativi che fra quelle dell’opposizione, con il gruppo jihadista Hay’at Tahrir al-Sham responsabile di almeno due attacchi suicidi con autobombe.
Non è ancora chiaro fin dove Damasco sia pronta spingersi sul terreno, ma una vasta offensiva contro l’ultimo bastione ribelle (esclusi i territori a nord occupati dalla Turchia) per i paesi europei rischia di essere un disastro.
Secondo le Nazioni Unite la battaglia per la “Grande Idlib”, abitata da circa 3 milioni di persone, porterebbe centinaia di migliaia di civili a tentare la fuga verso il confine turco.
In Turchia sono presenti già più di 3 milioni e mezzo di profughi siriani e l’intolleranza verso di essi è in continua crescita.
È difficile pensare che il Presidente turco Erdogan accetti di accogliere ulteriori ingenti masse di rifugiati; più probabile che egli apra i confini verso l’Unione Europea o che con quest’ultima Ankara tenti di rinegoziare l’accordo già esistente in materia di “contenimento” della diaspora siriana.
Rinegoziazione che ai paesi europei costerebbe diversi miliardi di euro.
La potenziale crisi dei rifugiati in Turchia e in Europa non va letta esclusivamente in chiave umanitaria e, in seconda battuta, economica; importante è anche il fattore “sicurezza”, molto caro (almeno a parole) a diversi esecutivi europei.
Fra i profughi potrebbero lasciare la Siria esperti veterani jihadisti affiliati ai diversi gruppi oltranzisti della regione, quali Hay’at Tahrir al-Sham, Ḥurrās ad-Dīn (al-Qaeda in Siria), il Turkistan Islamic Party o l’ISIS.
Migliaia di loro sono “foreign fighters” con le loro famiglie, provenienti da ogni angolo del mondo; francesi, russi, tedeschi e asiatici.
Uno scenario apocalittico per le intelligence europee.
Il collasso del fronte ribelle lungo la provincia di Idlib sarebbe inoltre un’enorme smacco politico per l’Unione Europea e alcuni suoi singoli stati membri.
Alla fine dell’ottobre scorso il presidente francese Macron, assieme alla cancelliera tedesca Merkel, raggiunse Istanbul per incontrare il suo omologo russo Putin e quello turco Erdogan.
Durante il meeting i due leader europei hanno applaudito l’accordo fra Russia e Turchia su Idlib e discusso il processo di pace siriano di Sochi; l’evento sembrava annunciare un rinnovato interesse da parte dell’Unione Europea, o almeno di Francia e Germania, verso la Siria.
Speranze rapidamente disattese poiché all’incontro di Istanbul non vi è stato un seguito concreto e il conflitto siriano è nuovamente uscito dai radar europei, a sottolineare la completa irrilevanza di Bruxelles in materia di conflitti internazionali.
L’esercito siriano potrebbe nelle prossime ore decidere di sospendere l’offensiva militare, a seguito di un nuovo accordo fra Russia e Turchia continuamente all’opera per spartirsi “pezzi” della Siria.
Ma se lasciata a Mosca e Ankara la “Grande Idlib” è destinata a cadere e l’Europa a pagarne le conseguenze, come sempre.
Con le elezioni europee che si avvicinano sono tanti i partiti che parlano di riforme e cambiamento, nessuno però di una svolta per la politica estera comunitaria.
Una svolta che è necessaria a Bruxelles, una svolta che passa per Idlib.
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