Medio Oriente

Aspettando Fauda…

9 Gennaio 2018

From: fiammetta martegani 
To: susan dabbous

Carissima Susan,

sei tornata dal tuo viaggio in Europa?

Non so se è successo anche a Gerusalemme, ma Tel Aviv in questi giorni è letteralmente tappezzata da i cartelloni pubblicitari per promuovere l’arrivo della seconda stagione di “Fauda”, serie televisiva israeliana dal successo internazionale, attualmente distribuita da Netflix e votata dal New York Times come miglior serie straniera del 2017.

La serie racconta la storia del comandante Doron e della sua squadra, alle prese con un gruppo di Hamas, guidato da “la Pantera”, responsabile di diversi attacchi terroristici in Israele.

La squadra in questione appartiene ai Mistaarvim, unità delle Forze di Difesa di Israele in cui i soldati sono specificatamente addestrati per camuffarsi da arabi, al fine di catturare terroristi nei territori palestinesi. Gli appartenenti a questo tipo di plotone tengono rigorosamente segreta la loro identità reale al di fuori della loro unità.

A Tel Aviv in questi giorni non si fa che parlare della nuova serie in arrivo.

Uno dei motivi per cui tutti ne parlano è che, pur cercando la serie di essere realistica, a detta di chi nell’esercito ci è stato davvero, così realistica la serie poi non è, soprattutto per via delle (troppo) lunghe interazioni tra un gruppo e l’altro che, nella realtà, invece, avrebbero carattere decisamente piú sporadico.

Mi domandavo per tanto se anche tu la stai guardando e, se sì, cosa ne pensi, da non israeliana, avendo quindi anche una prospettiva “esterna”?

From: susan dabbous 
To: fiammetta martegani 

Cara Fiammetta,

Sono rientrata ieri a Gerusalemme, dopo ben due settimane. Ho lasciato la città con una temperatura mite e la ritrovo ora con un clima pungente e freddo.

Per ora non ho visto nessun cartellone affisso di Fauda. In compenso ho visto un poster, molto grande, che ringrazia Donald Trup per il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele: “God bless Donald Trump” con tanto di bandiera americana e cupolone di Capitol Hill. Si trova davanti al museo degli amici di Sion, dove passo tutti i giorni per andare a fare la spesa.

Commento in italiano le follie della città. Sami ride: per fortuna è un bambino solare.

Sarebbe molto più interessante, invece, vedere il cartellone di Fauda, tanto più che il protagonista, Doron, è un bel tipo. Fisicamente sembra la versione israeliana del Commissario Montalbano: muscoloso, pelato, occhi pieni di vita e riflessioni amare. Vedere la seconda serie di Fauda (che in arabo significa caos), sarà uno di quei piccoli piaceri che renderà l’inizio del 2018 più gradevole.

La prima serie mi ha davvero preso, ho trovato gli intrecci sentimentali tra carnefici e vittime molto sorprendenti. Ricordo ancora il primo episodio, con l’irruzione della squadra speciale israeliana nel matrimonio palestinese e l’uccisione non pianificata dello sposo, la festa che si trasforma in funerale e la vedova che diventerà kamikaze: tutte le cose che accadono hanno un senso, anche se questo senso è molto violento.

In quanto “esterna” (vedo gli episodi, per altro, sottotitolati in inglese), trovo i personaggi poco stereotipati e molto ben descritti sul piano psicologico. C’è il leader di Hamas che preferisce vivere e manda gli altri in prima in linea, il poliziotto israeliano che si innamora della moglie del terrorista, i servizi segreti di Fatah che preferiscono collaborare con gli israeliani piuttosto che con Hamas. Non so quanto di tutto ciò sia vicino alla realtà ma ho trovato tutto molto realistico.

E tu, che hai scritto la tua tesi di dottorato sulla rappresentazione del soldato nel cinema israeliano, cosa ne pensi?

From: fiammetta martegani 
To: susan dabbous

Bella domanda, Susan.

La rappresentazione del soldato israeliano nel cinema, così come nella televisione israeliana, è cambiata profondamente dagli anni della fondazione dello stato di Israele ad oggi.

Se agli inizi, infatti, il soldato israeliano era l’eroe macho per definizione, il cavaliere senza macchia e senza paura, il giovane Davide in grado di sconfiggere da solo il terribile Golia, ovvero il nemico arabo (e non necessariamente palestinese), oggi le cose sono cambiate e non poco.

Doron, il protagonista di Fauda, così come i suoi colleghi soldati nella cinematografia israeliana degli ultimi decenni, per quanto macho possa essere, ha scoperto che piangere per la morte di un compagno non compromette necessariamente la rappresentazione della mascolinità israeliana, che negli ultimi anni è diventata meno stereotipata, tanto che recentemente anche le donne, come nel meraviglioso film del 2014 Zero Motivation, sono finalmente diventate protagoniste della rappresentazione dell’esercito israeliano sul grande schermo.

Non solo. Se prima il soldato israeliano era rappresentato come David e il nemico, arabo o palestinese che fosse, era, stando all’equazione dicotomica, semplicemente rappresentato come Golia, in Fauda, come nella maggior parte della cinematografia israeliana degli ultimi anni, il nemico non è più rappresentato in modo così stereotipato, bensì come un “altro” Davide che lotta, come il Davide israeliano, per difendere il proprio popolo: in questo caso, il popolo palestinese.

Ciò che invece, in Fauda, risulta poco realistico, è il fatto che le dinamiche che si sviluppano all’interno dei due gruppi armati e il forte sentimento di vendetta di un gruppo nei confronti dell’altro, per via della perdita di un membro del proprio gruppo per mano del gruppo altrui, ricorda più una guerra tra clan mafiosi, come quelle che siamo abituati a vedere oggi in serie televisive come Gomorra, che non la lucida e in un certo senso “meccanica” mentalità basata sulla necessità di sopravvivenza del proprio popolo che, invece, contraddistingue l’esercito israeliano da un lato e Hamas dall’altro.

Ma forse è anche vero che oggi giorno, anche in un conflitto decennale come quello arabo-israeliano, l’identità personale sta iniziando a prevalere su quella nazionale.

E tu, Susan, come la vedi?

From: susan dabbous 
To: fiammetta martegani  

Trovo davvero interessante quel che dici sul cambiamento della raffigurazione del “nemico arabo” come un altro eroe che combatte per fini opposti.

Anche io ho riscontrato delle similitudini con Gomorra, seppure si tratti di due serie stilisticamente molto diverse.

L’eroe che piange, invece, mi ha fatto pensare ad Achille: un personaggio complesso, tanto forte quanto vulnerabile, e non un burattino che agisce sotto comando.

Forse hai ragione tu, l’identità personale sta iniziando a farsi spazio e speriamo che un giorno non troppo lontano siano finalmente gli individui, e non i clan, a decidere il proprio futuro politico.

 

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