Medio Oriente
#AskHamas ovvero come perdere credibilità su Twitter
Il 13 marzo @HamasInfoEn, account Twitter ufficiale dell’organizzazione politico-militare palestinese Hamas, ha avviato un’iniziativa dall’alto contenuto interattivo. Per 5 giorni, utilizzando l’hashtag #AskHamas, gli utenti di twitter possono conversare con il Movimento rivolgendo domande o chiedendo chiarimenti sui temi più disparati. Un modo per raccogliere informazioni verificate e attendibili sulla reale linea di pensiero del primo partito della striscia di Gaza, nonché sui suoi obiettivi a lungo termine. L’iniziativa ha il fine di modificare la percezione di Hamas propria di una larga fetta dell’opinione pubblica mondiale: se è vero che sono sempre più gli Stati e le persone che sposano la causa palestinese, non si può dire che lo stesso stia avvenendo nei confronti di Hamas. Come dire, cresce la solidarietà con il popolo palestinese ma non quella verso chi si fa rappresentante di esso.
La nuova iniziativa del Movimento per la Resistenza Islamica può dunque essere concepita come un’operazione di marketing diplomatico. “L’obiettivo principale è quello di mandare un messaggio al pubblico Europeo: Hamas non è un movimento terroristico, bensì un movimento nazionalista di liberazione”, ha dichiarato alla stampa Taher al-Nunu, responsabile delle relazioni con i media del gruppo palestinese.
Hamas sta accrescendo le sue pressioni sull’Unione Europea affinché essa lo cancelli in modo definitivo dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche. Sarebbe una svolta diplomatica importante per il Movimento, che agisce sulle ali dell’entusiasmo in seguito alla cancellazione parziale intercorsa con la sentenza del tribunale UE che lo scorso 17 dicembre aveva tolto Hamas dalla lista “per motivi procedurali”.
Il gruppo palestinese vuole insomma rinnovare la sua immagine all’estero, migliorarla e convogliare su di sé l’ampio sostegno internazionale di cui gode sempre di più il popolo palestinese. #AskHamas nasce in questa prospettiva. Dopo la rivoluzione 2.0 della primavera araba e il terrorismo 2.0 dell’ISIS, siamo ora davanti ad una diplomazia 2.0.
Peccato che la situazione sia sfuggita subito di mano. Piuttosto che essere uno strumento di propaganda e di diffusione delle buone intenzioni del Movimento, #AskHamas si è rivelata un’arma a doppio taglio. Tra ironia, sarcasmo e accuse, l’hashtag si è trasformato nel modo migliore per mettere in risalto le contraddizioni del partito palestinese. Da operazione per la crescita del consenso, #AskHamas si è tramutato nel megafono attraverso cui oppositori nazionali e internazionali hanno potuto sconfessare il Movimento. Piuttosto che fare il gioco di Hamas, l’hashtag lo ha dunque screditato per la grande soddisfazione del nemico Israele.
Spulciando su twitter troviamo centinaia di tweet ai limiti dell’imbarazzante, che renderanno infernale il lavoro di chi si ritrova a gestire l’account di Hamas in questi giorni. Eccone alcune:
– “Quando terrete le prossime elezioni?” in riferimento allo scarso amore del Movimento per le consultazioni popolari.
– “Perché avete fatto dell’omosessualità un reato capitale?”
– “Perché la dirigenza di Hamas vive e fa la bella vita nei paesi del golfo mentre il “suo” popolo vive il dramma di Gaza?”
– “In quale scuola di Gaza posso mandare mia figlia per stare sicuro che non inciampi nelle vostre armi?” In riferimento alle rivelazioni dell’ONU secondo cui Hamas utilizza le scuole come depositi di armi.
C’è poi ampio spazio per il sarcasmo:
– “Le bandiere di Israele che bruciate le importate o le cucite voi a mano?”
– “Non vi sentite a disagio nel lanciare questa campagna su un social network fondato da ebrei?”
– “Quando ci sarà la riforma della giustizia?” Accompagnato da questa foto
Questi e migliaia di altri tweet a disegnare un profilo di Hamas opposto a quello che il Movimento voleva diffondere nel mondo attraverso l’iniziativa.
E proprio oggi, in perfetta par condicio, alcuni utenti di Twitter hanno lanciato anche l’hashtag #AskIsrael. Il principio è lo stesso, mettere in risalto le contraddizioni del Governo israeliano e renderle fruibili all’opinione pubblica. Della serie, il peggio deve ancora arrivare.
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