Geopolitica
Zelenskyy ed il famoso “Piano della… Vittoria”: una nuova strategia di Kyiv?
Alla fine il Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy ha presentato al Parlamento ucraino il tanto atteso “piano per la vittoria”, delineando, a suo dire, una strategia articolata per rafforzare la posizione dell’Ucraina e porre termine alla guerra con la Federazione Russa entro il prossimo anno: il piano, però, per essere attuato necessità del consenso degli alleati dell’Ucraina ed è a questo punto che le cose si complicano non poco, anche se non è dato capire se per lui, per noi o per i Russi.
E siamo al Piano in 5 punti di Volodymyr Zelenskyy:
1. Invito ad entrare nella Nato
Il primo punto essenziale al completamento del piano prevede un invito da parte dell’Alleanza. Sebbene l’adesione effettiva sia ancora lontana nel tempo, un invito ad aderire invierebbe un segnale forte alla Russia e a Vladimir Putin. “Un invito è una decisione forte che richiede solo determinazione”, ha detto il presidente ucraino.
2. Invio di armi senza restrizioni al loro utilizzo
Zelensky ha stilato un elenco di armi necessarie a proteggersi e per portare “la guerra vicino a casa per il Cremlino”. Richiesto anche l’addestramento e capacità di difesa aerea per scoraggiare gli attacchi russi, dati satellitari in tempo reale da parte degli alleati, la fine di tutte le restrizioni sull’uso di armi donate per colpire all’interno della Russia e l’aiuto degli alleati per abbattere missili e droni sul territorio ucraino. Molti di questi passi sono stati bloccati dai timori occidentali di oltrepassare le ‘linee rosse’ di un coinvolgimento diretto nella guerra.
3.Deterrenza
Il piano prevede poi di dispiegare sul proprio territorio un pacchetto completo di deterrenza strategica non nucleare, sufficiente a proteggere l’Ucraina da qualsiasi minaccia militare proveniente dalla Russia. Di fronte a ciò, Mosca dovrebbe accettare di prender parte ad un “onesto” processo diplomatico per una giusta fine della guerra, o si troverà a non poter più continuare a combattere grazie agli aiuti forniti all’Ucraina. Le armi specifiche non sono state rivelate da Zelensky nel suo discorso al Parlamento, ma ha detto che i leader di Stati Uniti, Germania, Francia e Regno Unito conoscono le richieste di Kiev. Sebbene non siano stati resi noti dettagli specifici, è lecito supporre che queste misure potrebbero includere il dispiegamento di sistemi di difesa avanzati e una maggiore presenza militare della NATO in Ucraina.
4. Potenziale economico strategico
Il quarto punto del piano prevede la protezione congiunta delle risorse naturali strategiche dell’Ucraina, come uranio, titanio, litio e grafite, attraverso la cooperazione tra Kiev, Washington e Bruxelles. L’obiettivo è quello di sfruttare il potenziale economico di queste risorse, che secondo Zelensky hanno un valore di 1.000 Mld di USD, a vantaggio dell’Ucraina e dei suoi partner occidentali, evitando che cadano sotto il controllo russo.
5. Prospettive post-guerra
Infine, Zelensky sostiene che con la fine della guerra sarà in grado di poter partecipare al miglioramento della sicurezza europea, grazie al contributo delle sue forze armate particolarmente abili e abituate al combattimento. “Se i partner sono d’accordo, prevediamo di sostituire alcuni contingenti militari delle forze armate statunitensi di stanza in Europa con unità ucraine dopo la guerra – ha detto il presidente – Gli ucraini hanno dimostrato di poter essere una forza che il male russo non può superare”
Ora i punti 3-4 e 5 riguardano più che altro il dopoguerra, il p.to 1 è, ad oggi, un mero sogno di Kyiv e del p.to 2 si sa già, così come si sa che nonostante i diversi “via libera” all’uso senza restrizioni degli armamenti forniti all’Ucraina dagli alleati, la Federazione Russa ha sì protestato, ma nel contempo non ha abboccato all’amo.
Di fatto l’intero piano consiste al momento di un solo punto configurandosi come la surrettizia riformulata richiesta di invio al fronte di truppe NATO in virtù dell’Art. 5 del Trattato istituente la NATO, il che, però, vorrebbe dire Guerra Totale lungo una linea di confine –e non solo– che in questo caso passerebbe dalle poche centinaia attuali a qualche migliaio di km: una circostanza che impone di chiederci… come sarebbero difesi? Da chi? Con quali armi? Con quali munizioni? Prodotte dove? Spostate come? Distribuite come? Questo per non parlare dello stato pietoso in cui versano allo stato attuale le FFAA dei Paesi EU, nonché della nulla volontà degli USA di inviare proprie truppe…
Ora, se da un certo punto di vista la reiterazione di questa domanda può sembrare più che altro una boutade, —un qualcosa di palesemente assurdo in considerazione del fatto che la richiesta di adesione dell’Ucraina alla NATO, nonostante il conflitto in corso con la Russia, è già stata discussa e respinta più volte vuoi perché l’ammissione nell’Alleanza Atlantica di un Paese terzo durante un conflitto attivo rappresenterebbe un evento senza precedenti nella storia dell’organizzazione (oltretutto in patente violazione di una delle regole previste dalle procedure di ammissione), vuoi perché l’articolo 5 del trattato NATO, che sancisce il principio della difesa collettiva, obbligherebbe tutti i membri dell’Alleanza a intervenire militarmente a fianco del Paese attaccato—, da un altro punto di vista, come vedremo a breve, il tutto può essere riguardato come una mossa strategica decisamente ben studiata quanto a tempistiche visto che il primo ostacolo da rimuovere è in NO statunitense.
Nel caso dell’Ucraina, infatti, l’ammissione nella NATO significherebbe che tutti i 31 membri, tra cui Stati Uniti, Regno Unito e Francia, dotati di armi nucleari , si troverebbero automaticamente in guerra con la Russia, anch’essa potenza nucleare: uno scenario che molti leader occidentali vogliono evitare a tutti i costi.
Purtroppo, però, alcuni analisti ritengono che l’appartenenza dell’Ucraina all’organizzazione, anche durante il conflitto, potrebbe fungere da potente deterrente contro ulteriori aggressioni russe, costringendo Mosca a ripensare le proprie azioni militari di fronte alla prospettiva di un confronto diretto con l’intera Alleanza Atlantica: un azzardo strategico di non poco conto che tuttavia Zelenskyy deve aver valutato essere il cavallo di Troia che attendeva da parecchio tempo.
In questo senso è lecito supporre che il Presidente ucraino abbia astutamente cercato, alla luce di queste estemporanee valutazioni che portano acqua al suo mulino, il modo migliore per esercitare la massima pressione mediatica possibile sulla presidenza statunitense proprio in questo particolare frangente politico che deve, non a torto, aver valutato essere il migliore possibile per ottenere ciò che da tempo cerca di ottenere: l’ammissione alla NATO.
Ed infatti una ulteriore risposta negativa a questa richiesta da parte della Casa Bianca potrebbe essere alquanto imbarazzante se data nel corso della attuale campagna presidenziale statunitense. In questo senso se è prevedibile che la Presidenza Biden –o chi per essa– userà tutti gli strumenti a propria disposizione per ritardare il più possibile la decisione, è allo stesso tempo un dato di fatto che le elezioni di Novembre si avvicinano e un NO in questo momento sarebbe un autogol di non poco conto che è prevedibile Trump non farebbe passare sotto silenzio, sicché la domanda che da tutto questo emerge é: quale interesse prevarrà?
Nel mentre che la Cancellerie valutano sul da farsi a noi non resta che chiederci:
Quanto dureremmo se sottoposti ad un vero attacco? Quanto durerebbe l’Ucraina ad un vero attacco nel caso di uno scontro su vasta scala? Quanto durerebbero in carica i Governi Occidentali? Quanto durerebbe la NATO? Quanto durerebbe la leadership della Presidente von der Leyen e di fatto la stessa EU, posto che a quel punto avesse ancora senso una EU come questa?
Volendo far prevalere l’ottimismo potremmo dire che quelle qui proposte sarebbero solo delle elucubrazioni destituite di ogni fondamento e che il Piano della vittoria di Zelenskyy sarebbe solo un assist alla campagna elettorale di Kamala Harris e nulla più di questo, una sorta di riprova della vitalità di una Ucraina che discenderebbe direttamente dalla giusta politica di supporto posta in essere dall’amministrazione Biden, cosa di cui Zelenskyy ha estremo bisogno e che non avrebbe nel caso di una vittoria di Trump, tuttavia nel dubbio meglio prepararsi al peggio visto che Volodymyr Zekenskyy ha più svolte dimostrato di essere un soggetto politico imprevedibile che a più riprese ha creato imbarazzo a Biden con le sue non sempre velate critiche.
Quello che è certo è che da oggi comincerà tutto un giro di incontri, dibattiti, disamine, pronunciamenti… buoni per prendere tempo ed arrivare senza gravi ripercussioni alla consultazione elettorale: perchè questa è al momento la sola cosa che di più importa a Washington e non solo a Washington.
L’Ucraina, è triste doverlo ribadire ancora oggi dopo averlo sottolineato a più riprese, prima di diventare lo strumento delle follie neocons aveva un’ottima base industriale ed agricola. Commerciava con Russi ed Europei e con calma avrebbe potuto entrare nella EU senza scontentare la Russia. Sarebbe bastata una politica neutrale, un esercito ridotto e alcune concessioni alle popolazioni del Donbass sul modello altoatesino.
Per somma l’Ucraina, che oltretutto vanta un ottimo sottosuolo dal punto di vista minerario, sarebbe potuta diventare un nodo economico di primaria grandezza giocando di sponda tra Stati Uniti, Federazione Russa e quella Cina per la quale era un nodo cruciale della Nuova via della Seta: le sarebbe bastato questo per diventare un Paese ricco sotto tutti i punti di vista e perfino influente.
Non sarebbe successo niente di niente. Ed invece gli Ucraini si ritrovano ora alle prese con una dittatura palese, un Paese distrutto, danni enormi e forse un milione tra morti e mutilati a vita.
Si parla oramai di 40/50 anni per riportare le cose ad un livello accettabile e di 400/500 Mld di EUR per ricostruire il Paese: somme che molto probabilmente nessuno concederà e la Federazione Russa non verserà.
Purtroppo l’aver ascoltato le sirene USA e NATO e’ costato carissimo a questo disgraziato Popolo e all’Europa costerà altrettanto sul piano (per ora) economico.
Oltre ai cinque punti principali, Zelensky ha menzionato tre “addendum” al piano che rimangono segreti e che, a quanto da lui dichiarato, saranno condivisi solo con i partner dell’Ucraina.
La reazione del Cremlino al piano di Zelensky non si è fatta attendere. Il portavoce Dmitry Peskov ha liquidato la proposta come un “piano di pace effimero”, affermando che Kyiv deve “smaltire la sbornia” e rendersi conto dell’inutilità della politica che sta perseguendo. Una dichiarazione che rientra nei canoni espressivi del Cremlino sicché la parola, ora, passa ai fatti.
Una riflessione storica credo sia doverosa. Quanto segue è tratto dall’intervista rilasciata a Gilbert da Hermann Göring durante il processo di Norimberga per crimini di guerra – 18 Aprile 1946:
Göring: “Ovviamente la gente non vuole la guerra. Perché un qualche poveraccio d’una fattoria dovrebbe voler rischiare la propria vita in una guerra quando quel che può ottenerne nel migliore dei casi è di tornare vivo alla sua fattoria? Naturalmente la gente comune non vuole la guerra; né in Russia né in Inghilterra né in America, né, per quel che conta, in Germania. Questo è chiaro. Ma dopotutto sono i leader di un Paese che ne determinano la politica ed ogni volta è solo questione di portare il popolo dove lo si vuole, ciò è sempre vero, in una democrazia come in una dittatura fascista, in presenza d’un Parlamento o in una dittatura comunista”.
Gilbert: “Una differenza c’è. In una democrazia il popolo ha una voce nelle decisioni politiche attraverso i rappresentanti che ha eletto, e negli Stati Uniti solo il Congresso può dichiarare guerra”.
Göring: “Oh, sì tutto ciò è splendido, ma voce o non voce, il popolo può sempre essere sottomesso al volere dei leader. È facile. Tutto ciò che devi fare è dir loro che sono sotto attacco e denunciare i pacifisti per la loro mancanza di patriottismo che non può che mettere a rischio il Paese. Funziona allo stesso modo in qualunque nazione”.
Questo era vero quasi un secolo fa, ma pare proprio che oggi, anche se la guerra è cambiata, il coinvolgimento dei civili è praticamente immediato e la censura funziona solo fino ad un certo punto, quello che accade sia ancora in linea con quanto era nelle corde delle leadership politiche di un tempo che credevamo finito per sempre
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