Geopolitica
Zelenskyi, una prospettiva orwelliana per il governo dell’Ucraina
Kryvyi Rih è un lunghissimo budello urbano di circa settecentomila abitanti, nella regione di Dnipropetrovsk, che allinea da nord a sud miniere di ferro, altiforni e blocchi residenziali simili ad alveari. Probabilmente solo una visione aerea potrebbe restituire pienamente l’imponenza di questo agglomerato che si estende come un enorme serpente di ferro e cemento per centoventisei chilometri lungo sette distretti industriali.
L’alternarsi, senza soluzione di continuità, di miniere di ferro, altiforni e quartieri dormitorio cattura perfettamente la filosofia alla base di questo esperimento di ingegneria socio-industriale dell’era staliniana. Kryvyi Rih, ancor più di Kharkiv e di Donetsk, è l’emblema dell’industrializzazione forzata che interessò l’Ucraina sud-orientale in epoca sovietica. Un’industrializzazione realizzata dai burocrati di Mosca in spregio a qualsiasi considerazione etica. Un’industrializzazione in cui le esigenze dell’uomo passano in secondo piano rispetto ai ritmi produttivi degli altiforni di uno dei combinat metallurgici più grandi al mondo.
A Kryvyi Rih manca un vero e proprio centro che funga da luogo di socializzazione per gli abitanti ma in compenso, prima della de-comunistizzazione voluta da Petro Poroshenko, le statue di Lenin erano più di cento. A Kryvyi Rih, sulla prospettiva Karl Marx, è nato 41 anni fa Volodymyr Zelenskyi, l’attore comico che domenica 21 aprile, sconfiggendo il presidente uscente Petro Poroshenko con più del 70% di preferenze, è diventato il sesto inquilino della Bankova.
La vittoria di Zelenskyi, che ha conquistato tutte le oblast del Paese a eccezione di quella di Leopoli, richiede un’analisi profonda che affianchi alle tradizionali categorie della scienza politica l’antropologia culturale, la storia e concetti relativamente recenti come quelli di guerra ibrida.
L’elezione del comico di Kryvyi Rih non solo conferma il recente trend del primato della sfera mediatica su quella squisitamente politica, invertendo il rapporto funzionale tra mezzi e fini, ma decreta il successo di un “modello orwelliano”, adattabile ed esportabile, che potrà essere utilizzato anche in altri Paesi per svuotare, nel migliore dei casi, di ogni contenuto la politica tradizionale o, peggio ancora, per imporre modelli populisti intrinsecamente totalitari.
L’Ucraina dell’ultimo lustro, vero e proprio laboratorio in cui Mosca ha sperimentato le nuove pratiche di guerra ibrida della dottrina Gerasimov, ossia l’uso di disinformazione, attacchi cibernetici e altri mezzi “non lineari” affiancandoli a strumenti di guerra convenzionale, fa segnare un’ulteriore escalation in questo processo di dissoluzione del reale trasformando le elezioni presidenziali in una sorta di reality show.
C’è chi ha paragonato la figura di Zelenskyi a quella di Grillo, chi vede parallelismi tra l’elezione del comico russofono (russofilo?) e quella di Donald Trump in America, chi sostiene che l’elettorato ucraino sia stato truffato un po’ come quello anglosassone con la Brexit.
Altri ancora hanno evidenziato come il voto di domenica 21 aprile, sostanzialmente libero e trasparente, confermi la solidità della democrazia ucraina. Ma siamo così sicuri che un Paese in cui l’80% dei media ha fatto propaganda a favore di Zelenskyi utilizzando le narrative del Cremlino – “regime corrotto di Poroshenko”, “Kyiv sta conducendo una guerra in Donbas”, “l’Ucraina ha abbandonato le popolazioni del Donbas”, “tutti tranne Poroshenko” – contribuendo a creare un clima d’odio nei confronti del Presidente uscente e un ambiente infestato di fake news, sia davvero un Paese dalla democrazia matura?
Prima di cercare di individuare le ragioni che hanno decretato il trionfo di Zelenskyi, perché con percentuali del 73% di trionfo si tratta, è fondamentale sottolineare, sulla base di ciò che è avvenuto negli Stati Uniti con Trump, in Inghilterra con la Brexit e in Italia alle politiche del marzo 2018, come il populismo debba il suo successo in larga misura al potere delle immagini, dei simboli e degli slogan.
Il trionfo del populismo è in altre parole strettamente legato al riemergere dell’irrazionalità, del simbolismo e al sonno della ragione.
Simboli, immagini, slogan – scrive Gary Lachman ne La Stella Nera. Magia e Potere nell’era di Trump – “raggiungono le nostre menti in profondità e ci influenzano a livello viscerale, proprio come accade alle opere magiche”.
Lo scrittore statunitense fa inoltre notare come “la relatività e il rifiuto dei dati oggettivi che caratterizzano la visione postmoderna e decostruttiva forgiata dalle università ha giocato un ruolo importante nell’oscuramento della differenza tra realtà e fantasia”.
Lachman non è peraltro l’unico studioso ad aver definito il mondo forgiato da Putin e dai suoi consulenti un mondo da reality show. Nel saggio La Paura e La Ragione lo storico Timothy Snyder analizza in dettaglio come la televisione russa abbia trasformato il conflitto in Ucraina in un reality show creando a tutti gli effetti un modello di riferimento.
L’occupazione della Crimea nel 2014 da parte degli omini verdi – nella realtà truppe russe senza mostrine sulle uniformi – è stata raccontata dalle tv russe come una fiction in cui gli omini verdi sono eroici abitanti della Crimea che “adottano misure straordinarie per contrastare la titanica potenza americana”.
L’operazione di fiction politica di Zelenskyi presenta le stesse caratteristiche del reality show moscovita. Davvero poco importa se dietro il neo presidente ucraino ci sia solo l’oligarca Ihor Kolomoyskyi, interessato a riprendere il controllo di PrivatBank nazionalizzata nel 2016 dal governo ucraino per tutelare i risparmiatori e fare fronte a un buco di 5,6 miliardo di dollari causato dalla scellerata gestione del tycoon, o direttamente il Cremlino. La trasformazione di un attore comico in candidato presidenziale risultato poi vincente, che servirà onestamente il popolo meglio degli attuali politici ucraini, facendosi dettare il programma di governo dal popolo stesso, come Vasyl Holoborodko, il personaggio da lui interpretato in tivù – un insegnante di storia diventato presidente ucraino per caso – è tipica dell’odierna drammaturgia russa.
Cerchiamo ora di capire chi sono gli elettori che hanno votato in massa per Mr Ze.
L’elettorato di Zelenskyi può essere suddiviso in tre gruppi il cui voto aggregato ha permesso a Holoborodko/Zelenskyi di superare il 70% dei consensi.
Il primo gruppo, quello numericamente più consistente, è costituito da coloro che sin dall’inizio della campagna elettorale erano pronti a votare un candidato “anti-sistema”. È una sorta di voto “contro tutti” per certi versi paragonabile al voto di protesta di molti elettori grillini in Italia.
Il secondo gruppo, che è diventato progressivamente più consistente in gennaio, grazie anche alla divisione del campo moscovita con due candidati Boyko e Vilkul, legati all’ex Partito delle Regioni di Yanukovych, con scarso appeal perché troppo compromessi con il vecchio regime pre-Maidan, è costituito dall’elettorato russofilo. Il fatto che Zelenskyi sia un ucraino che si esprime in russo o al massimo in surzhyk (mix di ucraino e russo in cui il vocabolario russo è combinato con la grammatica e la pronuncia ucraina) e che abbia ripetuto a mo’ di mantra, senza mai spiegare come, che occorre cessare al più presto la guerra con la Russia ha fatto breccia nel cuore degli elettori tradizionalmente legati a Mosca.
Premiante presso questa fascia di votanti anche il linguaggio adottato dal neo presidente.
Zelenskyi nelle rarissime interviste concesse – la sua è stata prevalentemente una campagna social che ha evitato incontri e confronti diretti, unica eccezione l’evento allo stadio Olimpico di Kyiv di venerdì 19 in cui Mr Ze è stato letteralmente surclassato da Poroshenko – ha usato un linguaggio da “nuovo russo” che ha un indubbio appeal su certi strati della popolazione.
Katia Sadilova, giornalista freelance che ha seguito per alcune testate ucraine il processo Markiv a Pavia, fa notare come il linguaggio di Zelenskyi sia il tipico idioma utilizzato negli anni del post-soviet dai bulli di quartiere che indossavano giacche bordeaux, catene d’oro, avevano la testa rasata e cantavano le canzoni dei vor v zakone.
“Due settimane fa – racconta la Sadilova – io e mio marito siamo letteralmente sobbalzati quando abbiamo sentito il candidato presidenziale pronunciare la frase ‘ci scommetto il dente’, era un linguaggio di strada, uno slang da capo clan”.
“Anche il tono di voce arrogante a tratti minaccioso utilizzato da Zelenskyi nel rispondere al giornalista – prosegue Katia – mi ha ricordato quello di certi bulli prima di venire alle mani con la gang rivale”.
Il terzo gruppo è costituito da tutti quegli elettori che erano disposti a votare qualsiasi candidato tranne Poroshenko. La campagna d’odio di Tymoshenko, orchestrata nei confronti del Presidente fatta di accuse risibili senza alcun fondamento, ha finito per beneficiare più Zelenskyi che l’ex leader arancione dal momento che Mr Ze poteva accreditarsi presso l’elettorato come un volto nuovo.
Veniamo ora alle strategie elettorali che hanno decretato il successo di Zelenskyi.
La più importante, cui abbiamo già accennato in precedenza, è quella legata alla serie televisiva “Sluha Naroda” (Servo del Popolo) che ha permesso l’identificazione specie nell’elettorato meno attrezzato intellettualmente tra l’attore e il personaggio interpretato.
La seconda è l’aver condotto una campagna quasi essenzialmente digitale. Il team di Zelenskyi che comprendeva spin doctor anche russi pare si sia avvalso della consulenza di un esperto italiano che smessi i panni del debunker di fake news ha utilizzato le sue competenze in materia per ampliare il bacino elettorale del comico includendo oltre ai giovani anche persone più anziane – questo video diventato virale ne è un chiaro esempio – e per creare troll e bot che rilanciassero gli slogan di Mr Ze.
Un terzo importante fattore è stata l’adozione della “mirror technology”. In buona sostanza Zelenskyi ha evitato di pronunciarsi su tutte le questioni chiave che avrebbero potuto alienargli le simpatie di alcuni gruppi di elettori. È proprio per questo motivo che molti credono che il neo presidente sia a favore della UE, altri sono altresì sicuri del suo orientamento filorusso. Questa strategia, in base alla quale un elettore si guarda allo specchio e proietta le proprie aspirazioni sul candidato che voterà, è stata fondamentale per sfondare a Ovest dove l’elettorato non ama affatto la Russia ma non è ancora sufficientemente scaltro per riconoscere un progetto neosovietico se adeguatamente camuffato.
Un quarto fattore vincente è stato quello di adottare una comunicazione alla pari, da Bambino a Bambino, rigettando il paternalismo dei candidati tradizionali che si rivolgono all’elettorato usando un linguaggio da Padre o da Madre a Bambino.
Ultimo ma non per questo meno importante è il fatto che Zelenskyi abbia condotto, a differenza di candidati come Tymoshenko o Taruta, una campagna molto breve. Usando una metafora sportiva potremmo dire che Zelenskyi è riuscito ad essere al top della forma al momento della competizione.
Prima di accennare ai possibili scenari politici e geopolitici che si schiudono all’Ucraina con la presidenza Zelenskyi, vorrei brevemente tornare sulle presunte similarità tra il neo presidente ucraino, Beppe Grillo e Donald Trump.
Assimilare Zelenskyi a Beppe Grillo non aiuta a comprendere ciò che è successo in Ucraina.
Nonostante Zelenskyi e Grillo si rivolgano a un elettorato stanco della politica tradizionale, il Movimento Cinque Stelle di Grillo si è presentato alle elezioni dopo anni di manifestazioni di piazza, forte di una piattaforma politica che, seppure opinabile, aveva comunque dei contenuti.
Per capire chi è veramente Zelenskyi, che in campagna elettorale ha affermato che il programma elettorale glielo detterà il popolo e che ha evitato di dare risposte precise su questioni chiave della politica ucraina, occorrerà aspettare qualche mese.
Nonostante esistano dei parallelismi con la figura di Trump – entrambi si presentano all’elettorato come candidati anti-sistema, entrambi hanno ottenuto una notevole popolarità grazie a show televisivi – il neo presidente ucraino è molto diverso dall’inquilino della Casa Bianca.
Trump, seppure eretico e sui generis, è un politico legato al Partito repubblicano, Zelenskyi è altresì una figura post-politica ancorché incuneata in un contesto antropologico neosovietico.
Trump si è spesso definito nazionalista mettendo al centro della sua agenda politica lo slogan programmatico “Make American Great Again”. Zelenskyi, che oltre a non parlare ucraino allo stadio Olimpico di Kyiv, non ha neppure cantato l’inno nazionale (che non lo conoscesse?), non può certo essere definito un nazionalista.
Trump, nonostante un linguaggio semplice e diretto, risulta sempre a suo agio nei dibattiti pubblici, Zelenskyi li evita come la peste e quando è costretto a farli, come venerdì scorso allo stadio, legge goffamente da fogli preparategli dal suo staff.
È davvero troppo presto per capire come si muoverà il neo presidente. Ciò che preoccupa il 25% di elettori che hanno votato Poroshenko è che Zelenskyi possa orientare di nuovo il Paese verso Mosca vanificando l’opera riformista impressa dall’ex Presidente.
Nel suo discorso di domenica sera, commentando la sconfitta elettorale, Petro Oleksiyovych si è rivolto agli ucraini affermando che il suo impegno politico non verrà meno e che lotterà per il futuro dell’Ucraina. Ha poi concluso in inglese esortando la comunità internazionale ad “aiutare l’Ucraina a difendere i suoi recenti risultati e il corso strategico della nazione per l’integrazione nell’Unione Europea e nella NATO”.
Fondamentale sarà per le forze autenticamente europeiste superare le divisioni del recente passato e unirsi in vista delle elezioni parlamentari del prossimo autunno a cui si presenterà per la prima volta anche il partito virtuale di Zelenskyi “Servo del Popolo”.
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