Geopolitica
Verrà ricordato come il golpe dello smartphone
Quello che è accaduto in Turchia nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 2016 passerà alla storia, non solo per le conseguenze politiche dello sventato golpe militare, ma anche per come gli smartphone e i social network (inizialmente oscurati, ma poi ripristinati) sono risultati decisivi per il suo fallimento. Recep Tayyp Erdogan, un presidente tecnicamente deposto dai militari ribelli e in volo sui cieli del paese, ha lanciato il suo appello disperato alla resistenza con una chiamata FaceTime dal suo iphone, mandata in diretta televisiva sulla tv di stato e condivisa su migliaia di profili Facebook e Twitter, gli stessi mezzi così tanto osteggiati e censurati dal leader turco che – va detto – non è certo un democratico.
Un evento senza precedenti, con migliaia di persone sulle strade a sfidare a mani nude carri armati e cordoni militari, a riprendersi fisicamente i ponti, le strade, le piazze, gli aeroporti, gli studi televisivi. Folle che affiancando la polizia e i soldati rimasti fedeli al governo hanno costretto i ribelli a ritirarsi, difendendo una pur fragile e approssimata democrazia da una rappresaglia. Tutto questo è stato fotografato, filmato e raccontato in diretta. Tantissimi sono stati infatti i Facebook Live e le dirette Periscope di giornalisti e semplici cittadini, così come i video postati su YouTube. Il popolo è sceso in strada sfidando il coprifuoco e la legge marziale che i golpisti volevano imporre e nel farlo ha reso virale la sua resistenza.
Si dirà che non è nulla di nuovo, che il cosiddetto street journalism è un fenomeno ormai sdoganato e in continua evoluzione, ma la massiccia quantità dei contenuti condivisi in rete, così come quell’appello di Erdogan fatto dall’unico mezzo di comunicazione disponibile in quel momento, rimarranno nella storia, perché non è difficile ipotizzare che appena cinque o sei anni fa, lo stesso golpe fallito nella nottata di ieri sarebbe riuscito, proprio sfruttando un black-out che le tecnologie ormai a portata di tutti hanno reso impossibile. Insomma, nulla di paragonabile al calcio d’inizio di una finale degli europei ripreso dalla tribuna di uno stadio.
Le contraddizioni della Turchia non sono affatto scomparse e forse da oggi sono ancora più evidenti. I diritti civili, la libertà di stampa e di espressione restano delle chimere ed è probabile che Erdogan sfrutterà il fallito golpe (per qualcuno addirittura pilotato) per imporre nuove limitazioni e colpire i suoi avversari politici. Sbagliato quindi parlare di una vittoria della democrazia. Di sicuro è stata la vittoria di un popolo che ha difeso la sua voglia di normalità dai carri armati sulle strade, dai mitra puntati, dalla minaccia di un governo dei colonnelli.
È durato tutto poche ore. Poche ore in cui la storia è stata trasmessa sui nostri tablet e sui nostri smartphone, ripresa in diretta da chi – nei luoghi dove la storia è passata – utilizzava quegli stessi tablet e quegli stessi smartphone. Un’ennesima prova della grandezza di Steve Jobs, il visionario che con le sue invenzioni ha cambiato il nostro modo di essere, di comunicare e di raccontarci, abbattendo distanze e divisioni. Forse lo ha capito persino Erdogan.
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