Geopolitica

USA e Cina si riavvicinano: l’Europa ora rischia di restare indietro?

10 Ottobre 2021

Dopo le scintille degli ultimi due anni, è inevitabile un riavvicinamento e un compromesso tra Cina ed USA.  Ormai gli analisti sono quasi tutti d’accordo che lo vedremo se non a breve, dopo le elezioni di mid-term e la probabile conferma di Xi a segretario del PCC.   Quindi tra massimo un anno.

Se questo avverrà, non sarà che l’ultimo tassello in un mosaico che vede ormai chiaramente il baricentro politico ed economico del mondo spostarsi verso Est (o verso Ovest se la si guarda dalla California), cioè verso quell’area un po’ impropriamente definita Indo-Pacifico.  Quest’area avrà al centro di ogni considerazione economica e politica la Cina per i prossimi 20 anni, cui si affiancherà l’India subito dopo.  Può darsi che qualche piccolo ostacolo di percorso si presenterà di nuovo, specie se gli USA decideranno di rallentarlo in qualche modo come stanno già facendo ora, ma i movimenti epocali, motivati dal  desiderio di miliardi di persone di svilupparsi e raggiungere il benessere, non possono essere contrastati. Semmai, vanno assecondati. Gli americani eventualmente comprenderanno che il modo migliore per essere presenti in quell’area e contare è quello economico-commerciale; non è improbabile anche un pragmaticissimo ritorno agli accordi commerciali transpacifici. Niente da stupirsi, visto che con quello che la stampa italiana definisce ingenuamente il “nuovo nemico” (la Cina), gli USA ci hanno firmato un Phase 1 Agreement che gli consente di esportare molti più prodotti a sfavore in primis dell’Australia, ma anche dell’Europa.

Ecco: in tutto questo l'”Europa” (ammesso che esista) che fa?  Il fatto che tra le 10 società tecnologiche più importanti al mondo solo unasia basata in Europa e il resto tutte in USA e Asia dovrebbe averci fatto pensare.  E forse ci siamo accorti anche che tra le società del Fortune 500 le uniche che calano in maniera inesorabile uscendo dalla lista sono quelle basate in Europa, mentre aumentano quelle dal resto del mondo.  E forse abbiamo realizzato di essere totalmente dipendenti dall’importazione di energia da paesi coi quali abbiamo anche questioni politiche aperte, mentre gli USA potrebbero essere autosufficienti e la Cina coi suoi fornitori di energia ci va d’accordo.

Le sfide sono chiare, soprattutto alla Commissione europea che ha il tempo e l’opportunità di pensare oltre la scadenza elettorale del mese prossimo.  Le risposte però sono vaghe o controproducenti.

Siamo sicuri per esempio che il focus ossessivo dell’Unione Europeasulla riduzione delle emissioni di CO2 non finirà per danneggiare l’industria europea ulteriormente, a favore di quelle di altri paesi?  E ci siamo chiesti se l’ideona per ridurre questo danno, tassare i prodotti in entrata in Europa se nel ciclo produttivo hanno emesso troppa CO2, non sia per caso impraticabile (come si fa a controllare in che modo sono stati fatti e da chi e quando tutti i componenti di un auto americana?), ed esponga anche i nostri esportatori a contromisure che li penalizzeranno nei mercati più importanti?  E siamo sicuri che le norme contro gli aiuti di Stato, pensate per non sfavorire un paese membro UE nei confronti dell’altro, non siano invece un laccio alla gamba per quei settori dove invece un po’ di sano aiuto governativo (leggi: soldi) sarebbe opportuno?  La Commissione parla di fondi a favore dello sviluppo delle tecnologie chiave, come i semiconduttoridove siamo indietro rispetto a USA e Asia orientale.  Ma siamo certiche in “questa” Europa il successo globale di un’azienda francese in questo campo, magari realizzato grazie a fondi europei, verrebbe visto da un italiano come un successo anche suo? E viceversa?

Presa da problemi interni, con alcuni paesi dell’Est disallineati su molte scelte, ostaggio sempre di elezioni nazionali per cui ogni mossa ambiziosa deve attendere i risultati in Germania o Francia, l’UE fa fatica anche ad indirizzare in maniera univoca i suoi sforzi. Da un lato, per esempio, dice che vuole avere una “sua” strategia per l’Asia. Dall’altro però il Parlamento Europeo blocca un accordo bilaterale sugli investimenti con la Cina che dava alle aziende europee più vantaggi di quelle americane sul mercato più importante di quel continente.  Da una parte continuiamo a dire che per stare su quei mercati serve una dimensione adeguata, dall’altra blocchiamo le concentrazioni di aziende europee (come quella tra Siemens ed Alstom sui treni) guardando solo agli effetti sul mercato europeo, e continuiamo a coccolare e osannare le nostre PMI.

L’Europa eventualmente troverà una sua strada, dopo il nuovo governo tedesco, dopo le elezioni francesi, dopo quelle italiane, ma forse sarà già troppo tardi. Nel frattempo, erige muri. Le mosse protezioniste dei singoli paesi membri e della Commissione sono palesi, quella dei dazi menzionata sopra è solo una ma ce ne sono altre: un protezionismo che però fa male ad un continente che ha un mercato interno importante ma limitato.   In questa situazione non resta che ai singoli paesi valutare attentamente le loro mosse, specie in quell’area che sarà il nuovo baricentro del mondo, per non perdere ulteriori treni.

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