Geopolitica
Turchia: stampa in arresto, ma non è regime
La percentuale con cui l’AKP ha vinto le elezioni sfiora la quota legittima per cambiare la Costituzione. L’eco dei risultati del primo novembre sembra tutt’altro che democratico. Il bavaglio messo alla stampa nelle ultime ore ne è la prova: una copertina di Nokta che annuncia in modo provocatorio l’inizio della guerra civile ha fatto infuriare il Presidente, che ha provveduto all’arresto del direttore e del caporedattore accusati di istigazione a delinquere. Il sito della rivista era già stato bloccato due settimane fa per aver diffamato l’AKP.
Il Partito conservatore per la Giustizia e lo Sviluppo (in turco: Adalet ve Kalkınma Partisi) ha conquistato 316 dei 550 seggi del Parlamento con il 49,41%. La campagna elettorale dell’AKP è stata incentrata sulla paura degli attentati, della guerra in Siria, dei migranti e del ripreso scontro contro i curdi portato avanti dal PKK nel sud est dell’Anatolia. Ciò significa che la Nazione si rispecchia in islamisti e curdi ultraconservatori. L’AKP ha convinto i nazionalisti che hanno sempre sostenuto l’Mhp, convincendoli con i duri provvedimenti degli ultimi tre mesi contro i ribelli separatisti curdi del PKK.
Portando il conflitto curdo bei discorsi di piazza, urlando il motto «una nazione, una bandiera, una terra, uno stato», l’osmosi di voti è stata fisiologica.
Il consenso che fa leva sulla paura è una forma tipica della propaganda. Quella cattiva, che fa credere che non esistano né alternative né futuro oltre il partito. L’uomo solo al comando, quello che zittisce la stampa a lui contraria, che fa commissariare gruppi editoriali causando il licenziamento di 58 giornalisti, non ha niente a che fare con la democrazia.
Per avvicinarsi ai paradigmi europei, Erdogan ha promosso dal 2003 misure riformiste come l’abolizione della pena di morte e il riconoscimento dei diritti della minoranza curda (comunque perseguitata tutt’oggi militarmente).
Ad oggi, l’assetto politico turco sta invece prendendo le distanze non solo dalle logiche democratiche occidentali ma dalla stessa Unione Europea, che per fronteggiare l’emergenza umanitaria che la sta investendo dovrà pagare un prezzo molto caro in cambio di cooperazione.
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