Geopolitica
Ecco perché Trump minaccia la Danimarca e dice di volersi prendere la Groenlandia
Ieri il prossimo presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha minacciato un paese europeo e membro della NATO, nonché fedele alleato: la Danimarca. Un paese di neanche 6 milioni di abitanti che si è schierato con Washington anche nei momenti più bui della storia statunitense (come durante la tragica invasione dell’Iraq nel 2003: Copenaghen fece parte della cosiddetta Coalizione dei volenterosi), che nell’estate del 2017 ha nominato un tech ambassador per la Silicon Valley (Casper Klynge) e che ha aumentato in modo massiccio la spesa militare, come chiedeva con ben poca diplomazia l’ambasciatrice statunitense (di nomina trumpiana) Carla Sands qualche anno fa.
Non soltanto Trump non ha escluso l’uso della forza per ottenere la Groenlandia (territorio autonomo che costituisce, con la Danimarca propriamente detta e le isole Fær Øer, il Regno di Danimarca), ma ha anche messo rozzamente in dubbio la legittimità dell’appartenenza della Groenlandia al Regno di Danimarca, e ha minacciato di applicare significativi dazi alle merci danesi qualora il paese nordico non si decidesse a cooperare con gli Stati Uniti accettando di vendergli l’isola artica.
Trump ha avanzato le sue richieste in nome della “sicurezza nazionale” statunitense. In realtà la Groenlandia è de facto un protettorato militare statunitense da quando, durante la Seconda Guerra Mondiale, la Danimarca fu occupata dalla Germania nazionalsocialista. Di fronte al pericolo che il Reich si impadronisse della Groenlandia e la trasformasse in una base per aggredire le nazioni americane, truppe statunitensi vennero inviate nell’isola. Nel 1941, a Washington, Henrik Kauffmann, ambasciatore danese, e il segretario di stato Cordell Hull firmavano un accordo per la difesa della Groenlandia; accordo in cui gli Stati Uniti riconoscevano in toto la sovranità della Danimarca sull’isola artica. Dopo la guerra Washington cercava di comprare l’isola, invano, e nel 1951 stipulava con Copenaghen un accordo per la difesa della Groenlandia (emendato nel 2004) che gli dava «quite a free hand in Greenland». Anche a numerosi non-addetti ai lavori è nota la Thule Air Base, struttura militare strategica durante la Guerra Fredda, che oggi è conosciuta come Pituffik Space Base.
I danesi sono sempre stati molto accomodanti con le richieste del Pentagono, e i groenlandesi hanno avuto con le forze statunitensi di stanza nell’isola un rapporto ambivalente, simile a quanto accade ad Okinawa. Se Trump nutrisse soltanto preoccupazioni di natura militare, a Copenaghen troverebbe la massima collaborazione. Ma non è così. La sicurezza nazionale è solo un pretesto.
Trump è interessato alla Groenlandia prima di tutto per motivi ben più prosaici. L’isola artica, che è molto estesa (oltre due milioni di chilometri quadrati: più di Germania, Francia, Italia e Spagna messe insieme), è ricca di giacimenti di terre rare, uranio, oro, platino; guarda caso, le terre rare sono essenziali per le industrie ad alta intensità tecnologica, ad esempio quelle delle auto elettriche. Nell’inner circle di Trump c’è per caso un imprenditore attivo nel settore? Ancora, le acque della Groenlandia sono oltremodo pescose, e i giacimenti offshore di gas e petrolio sono potenzialmente molto cospicui, specie nell’area della Baia di Baffin.
Naturalmente gli Stati Uniti non possono comprare la Groenlandia dalla Danimarca, come invece accadde con l’Alaska nel 1867 e con le Indie occidentali danesi nel 1917. Gli imperi coloniali sono finiti da tempo, anche se leader di estrema destra come il presidente neoimperialista russo Vladimir Putin sembrano pensare il contrario. La Danimarca non potrebbe vendere la Groenlandia agli Stati Uniti neanche se volesse (e non vuole): sarebbe illegale, l’Atto sull’autogoverno della Groenlandia del 2009 è chiaro. Se Trump intende impadronirsi della Groenlandia, e farne una sorta di Portorico artica, ha un’unica strada realisticamente percorribile senza causare crisi epocali: corrompere i groenlandesi, coprendoli di denaro (lo ha pure fatto intendere). Tuttavia il premier groenlandese Múte Egede è stato nettissimo a riguardo: «la Groenlandia appartiene ai groenlandesi. Il nostro futuro e la lotta per l’indipendenza sono affari nostri».
Naturalmente Trump, presto comandante in capo delle più potenti forze armate della storia, potrebbe occupare con relativa facilità la Groenlandia. Tutto è possibile, ma chi scrive ritiene una tale eventualità molto improbabile, per svariati motivi. E allora a cosa mira Trump? Un businessman spietato e politico demagogico del suo calibro da un lato vuole entusiasmare gli elettori MAGA (si parva licet, come quando un certo senatore minacciava di scatenare i venti milioni di padani contro Roma…), dall’altro mira a strappare quante più concessioni possibili ai danesi, ai groenlandesi e agli europei. In altre parole, la sua è una tattica intimidatoria. Da Copenaghen si aspetta molto probabilmente commesse a beneficio delle industrie statunitensi (anche della difesa); da Nuuk, dove al potere c’è un governo di sinistra attento alla natura e ostile alla distruzione degli ecosistemi (nonché molto preoccupato per la crisi climatica), diritti di esplorazione e produzione a vantaggio delle grandi aziende energetiche e minerarie statunitensi; da Bruxelles concessioni di ogni tipo. Del resto Trump ha detto chiaramente che gli europei non comprano abbastanza merci dagli Stati Uniti. «We have a trade deficit of $350 billion. They [the Europeans] don’t take our cars, they don’t take our farm product, they don’t take anything». Le cifre non sono corrette, ma il messaggio è palese e inquietante.
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