Geopolitica

È tregua in Ucraina, ma l’Europa non ha ancora una strategia

12 Febbraio 2015

Dopo un’estenuante trattativa durata oltre 16 ore, al vertice di Minsk (Bielorussia) è stato raggiunto un primo accordo sui punti principali del piano di pace per l’Ucraina. La tregua tra forze governative ucraine e separatisti filorussi scatterà alla mezzanotte tra il 14 e il 15 febbraio (22 in Italia). Il presidente russo Vladimir Putin,  quello ucraino Petro Poroshenko, il presidente francese Francois Hollande e la cancelliera tedesco Angela Merkel hanno inoltre concordato il ritiro delle armi pesanti. Per il capo del Cremlino si è riusciti «a trovare un accordo sull’essenziale», ma né Merkel né Hollande nascondono che «ci sono ancora grandi ostacoli» per una pace duratura.

La lunga nottata di Minsk sembra dunque aver prodotto qualche spiraglio nella crisi ucraina. O quantomeno non ha portato ad una rottura totale fra le parti in causa. La strategia dell’Occidente, però, non è circoscritta alle trattative diplomatiche-militari. A queste, infatti, si affiancano azioni in ambito economico volte a rafforzare Kiev e, di riflesso, a tutelare l’Europa dalla morsa russa.

Al momento in cui scriviamo, non sono ancora note le specifiche dell’accordo di Minsk partorito in mattinata né le strategie di implementazione. Dalle prime notizie però sembra che le previsioni di massima siano state rispettate: il conflitto viene congelato nella sua parte più cruenta nel tentativo di aprire nel frattempo una fase politica. Il risultato complessivo è buono, nel senso che l’ipotesi di recrudescenza della crisi è caduta, anche questo un risultato prevedibile. Il problema sarà ora farlo rispettare alle parti. In effetti, alcuni elementi fanno pensare che la soluzione internazionale metta d’accordo Russia, Germania e Francia, ma meno gli ucraini. Poroshenko non ha partecipato ad una fase dei negoziati, dopo aver dichiarato che alcune delle condizioni russe fossero inaccettabili, pur firmando l’accordo finale, mentre i leader dei ribelli Aleksandr Zakharcenko e Igor Plotnitski non avrebbero siglato il memorandum (per quanto è dato sapere al momento).

In pratica, gli attori internazionali imporranno la pace alle parti che rispettivamente supportano, evitando che la crisi implichi il coinvolgimento militare diretto di ciascuno di loro. Come faranno? Ciascuno a suo modo. Germania e Francia, unici Paesi europei ad essersi seduti al tavolo, in mancanza di una posizione comune dei 28 membri dell’Unione, faranno affidamento sulle leve economiche, minacce di ulteriori sanzioni alla Russia e aiuti all’Ucraina, per convincere Poroshenko a rispettare la tregua (se ne parlerà nel pomeriggio di giovedì 11 febbraio a Bruxelles). Per parlare a piena voce con la Russia, invece, è stato necessario il mentoring statunitense, che come sempre ha fornito il peso politico-militare – per procura anche quello, di questi tempi – che i due leader europei non avrebbero altrimenti avuto.

La Russia, dal canto suo, tenterà di forzare i ribelli ad accettare le condizioni dell’accordo, perlomeno sul campo. Il testo non è ancora noto, ma si può presumere che non sia tanto diverso dal primo, quello siglato il 19 settembre, probabilmente una sua evoluzione. La renitenza delle parti ucraine non fa presagire una soluzione definitiva, ma i rispettivi partner internazionali possono reputarsi soddisfatti di non dover intervenire direttamente. Vale la pena sottolineare che questo vale anche per la Russia (che rimane convinta dell’annessione della Crimea ma non vuole i territori del Donbass e di Lugansk, se non come alleati) e, magari, sperare in una soluzione politica nel lungo periodo.

Il lungo, periodo, appunto, è l’orizzonte sul quale è proiettato il secondo asse strategico di Europa e Stati Uniti, quello economico. L’impostazione europea è quella di evitare lo scoppio di un conflitto armato “dichiarato”. Le azioni sul piano economico sono dunque un pilastro essenziale nella strategia occidentale, e anche dell’Italia, per risolvere la crisi ucraina. E non ci riferiamo solamente alle sanzioni. Queste ultime sono l’aspetto più evidente e di impatto sull’opinione pubblica, ma non sono la soluzione preferita in quanto stanno danneggiando da quasi un anno non solo l’economia russa (che quest’anno potrebbe patire una recessione del 4%), ma anche quella di chi le sanzioni le applica. Il riferimento è innanzitutto a Italia e Germania: partner privilegiati di Mosca, hanno avuto un ruolo importante nel frenare l’adozione di una nuova ondata di sanzioni da parte dell’Unione europea in occasione della riunione del Consiglio dei ministri degli Esteri UE che si è tenuto il 29 gennaio.

Per dare l’idea del danno economico che le nostre imprese stanno subendo, la SACE, società governativa che assicura il credito all’esportazione, ha stimato per il periodo 2014-2015 un calo dell’export compreso tra 1,8 e 3 miliardi di Euro: il settore più colpito sarebbe la meccanica strumentale. Come dimostrano i dati dell’ICE, da gennaio a settembre 2014 le esportazioni sono diminuite di oltre 600 milioni di euro, con una flessione di circa il 10% rispetto al 2013.

È una strategia sostenibile nel lungo periodo? Evidentemente no, ma è figlia dell’impostazione a vocazione economica dell’UE. Inoltre, nella speranza che la Russia convenga a più miti consigli, i Paesi europei congiungono all’attivismo contro la Russia l’assistenza economica all’Ucraina. Questa azione è orientata su due direttrici. La prima è quella del supporto macroeconomico finanziario ed è guidata dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).

Kiev è in grossa difficoltà economica: il 2014 si è chiuso con una recessione di oltre l’8%, l’inflazione sta salendo alle stelle, il debito pubblico è schizzato in pochi anni al 90% del PIL e la banca centrale rischia di esaurire le proprie riserve valutarie (a dicembre erano scese fino ad appena 6 miliardi di dollari). Il FMI sta fornendo assistenza con un piano di prestiti condizionali, ma per colmare i fabbisogni da qui all’inizio del 2016 mancano all’appello ancora 15 miliardi di dollari. In base a recenti aggiornamenti, il Fondo potrebbe mettere a disposizione anche maggiori risorse, mentre gli USA contribuiranno con 2,1 miliardi, l’UE con 2 miliardi e la Germania con 500 milioni.

La seconda direttrice è invece quella energetica. Dall’Ucraina transitano 40mila chilometri di gasdotti, che collegano la Russia all’Unione Europea: l’Italia e la Germania importavano fino a pochi anni fa il 30% del proprio fabbisogno da Mosca (nel 2014 la percentuale è scesa a circa il 20%). Le parole d’ordine, dunque, sono due: efficienza e sicurezza energetica. Ecco perché il G7 (non a caso tornato al formato senza la Russia) ha varato l’anno scorso l’iniziativa di Roma per la Sicurezza energetica, che vede nell’Ucraina uno dei principali beneficiari. Kiev sta ricevendo in questi mesi assistenza tecnica da parte dei membri G7 (per l’Italia conduce la partita il Ministero dello Sviluppo Economico), con l’obiettivo di migliorare le performance e provvedere ad una diversificazione delle fonti di approvvigionamento, puntando su quelle rinnovabili.

Qual è la ragione di fondo di queste politiche? Rafforzare l’Ucraina rendendola meno vulnerabile e attaccabile da Mosca. Il governo Poroshenko sta dimostrando l’intenzione di compiere quelle riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno da anni, e l’Occidente ha deciso di aiutarlo. Come ha ricordato anche Martin Wolf sul Financial Times, un’Ucraina più forte potrebbe indurre Mosca a ripensare le proprie azioni e, soprattutto, manterrebbe al sicuro e “al caldo” gli Stati europei che non sono autosufficienti dal punto di vista energetico.

Il canale politico-militare si muove in parallelo rispetto a quello economico. Il primo è fondamentale per l’evoluzione quotidiana della situazione. Dall’altro lato, il canale economico continua a muoversi, sulla base del ragionamento che un’Ucraina più forte è funzionale all’interesse dell’Europa. Questa strategia potrebbe essere efficace, ma ha due limiti: in primo luogo, i tempi necessari per dare frutti sono molto più lenti, e inoltre essa non tiene adeguatamente conto che qualunque soluzione, per essere accettabile, dovrà anche garantire un equilibrio di lungo termine nei rapporti tra Paesi Europei e Russia. E questo vale anche per l’atteggiamento che dovrà tenere l’Italia.

(ha collaborato Marco Giulio Barone)

 

Gli autori sono tra i responsabili de Il Caffè Geopolitico, associazione culturale che promuove la cultura degli esteri in Italia

 

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.