Trump umilia Zelensky, confermando la fine del pieno sostegno Usa all'Ucraina. Che farà l'Europa?

Geopolitica

Torniamo alla domanda di partenza: italiani, europei, siete pronti a combattere per Kiev?

La “pace” trumputiniana si avvicina a grandi passi. Il più forte ha sempre ragione, e adesso i potenti del mondo lo dicono senza fingere di scandalizzarsi. È l’occasione per guardare indietro e dirci come europei cosa vogliamo essere, e cosa siamo davvero disposti a rischiare

2 Marzo 2025

Una delle ragioni di fondo dell’esistenza dello stato di diritto, uno dei suoi obiettivi naturali più profondi e fondativi, è di evitare che il più forte abbia sempre “ragione” sul più debole. È, cioè, quello di rendere possibile che chi è meno forte, meno ricco, meno fortunato, meno introdotto, non sia obbligato a soccombere di fronte alla prevaricazione di chi ha ed è di più, per la sola ragione di non essere e non avere. È per questo che ad esempio esistono, sul piano del diritto interno, le garanzie processuali; e sempre per queste ragioni e con questi obiettivi, banalizzando e semplificando, che esiste – o meglio sarebbe dire: esisteva – il diritto internazionale, in tutte le sue articolazioni. Con questi principii siamo cresciuti, e per queste ragioni in fondo abbiamo imparato che le democrazie sono preferibili alle aristocrazie. Naturalmente, questa è sempre stata principalmente la teoria: nella pratica le ingiustizie sono sempre esistite, e nessuno stato di diritto e nessun diritto internazionale hanno reso persone e nazioni davvero libere ed eguali. Anzi, chi critica radicalmente, di solito utilizzando criteri marxisti, i principi costituzionali liberaldemocratici e il diritto internazionale, tende a dire che sono entrambi – le leggi nazionali e quelle sovrannazionali – solo una cosmesi ipocrita che rende più trangugiabile la sostanza della sopraffazione. Fa per questo una certa impressione, nel tempo di oggi, vedere che argomenti simili girano sulla bocca non solo di vecchi arnesi del comunismo che fu, che ma anche di diversi (ex) liberali, misteriosamente affascinati dall’asse autocratico che unisce la Washington di Trump alla Mosca di Putin. Sono forse eccessi di autocritica, episodi comunque marginali rispetto alla fotografia principale, che non è già più quella dello studio ovale nel quale Trump e il suo buttafuori Vance brutalizzano Zelensky, ma quella che abbiamo davanti, tutta da decifrare.

Per capire il futuro della “pace” tra Russia e Ucraina, vale forse la pena, adesso che si avvia forzatamente a chiusura, di riguardare in fila i fotogrammi della guerra cominciata due anni fa. Una mattina di febbraio del 2022, Putin ha deciso di invadere l’Ucraina asserendo la necessità di “denazificare” i territori vicini. Che in Ucraina ci fossero spinte ultranazionaliste, anche violente, e marcatamente antirusse è vero; altrettanto era vero che pezzi di territorio ucraino, con forti componenti demografiche di minoranze russe, erano già stati illegalmente occupati negli anni precedenti dalla Russia senza la comunità internazionale si attivasse, a parte l’irrogazione di sanzioni – queste sì – sicuramente cosmetiche, tanto da non indebolire la Russia nè da scoraggiare l’idea di un’invasione su larga scala, alla quale credevano solo i servizi segreti USA, e che però poi è puntualmente avvenuta.

La denazificazione dell’Ucraina era evidentemente una bugia della propaganda putiniana. L’obiettivo era un controllo su un pezzo più ampio di territorio ucraino, e far sentire a europei e americani che con la Russia, militarmente, non c’era da scherzare. C’è chi immaginava e ancora lo fa che l’attacco all’Ucraina fosse prodromico e ulteriori mire espansionistiche russe su pezzi di Europa orientale o sui paesi baltici. È possibile, ma nessuno può averne certezza: del resto, il precario equilibrio sulla faglia Ucraina ha retto per un pezzo, prima di saltare rapidamente, in pochi anni. Ha retto, fondamentalmente, fino a quando, dopo gli anni nei quali Putin era vezzeggiato e coccolato da molti leader occidentali ed europei, non solo quelli più pittoreschi, si era trovato un modus vivendi che trovava il suo perno in Angela Merkel, nella sua strategia della procrastinazione e nella dipendenza energetica del suo paese. Finito quello, finita – sembrava per sempre – l’era di Trump e del suo esplicito isolazionismo, Putin ha attaccata. Diverse voci, non certo tutte putiniane, hanno suggerito che – ferma l’evidente ingiustizia dell’inteno russo – fosse saggio cercare un rapido appeasement, cedendo qualcosa sui terreni e sui principi, ma evitando l’incancrenirsi di una guerra, le sue conseguenze umane e quelle economiche. Era questo, ragionevolmente, l’obiettivo col quale – era giugno del 2022, per molte ragioni sembra il secolo scorso – Draghi, Macron e Scholz vanno a Kiev a incontrare Zelensky. Nessuna pace giusta si può fare senza che stia bene a chi è stato aggredito, lo ha ribadito Giorgia Meloni ancora poche settimane fa. E tre leader dei paesi fondatori d’Europa, probabilmente, erano andato a offrire la disponibilità e il supporto per il futuro europeo di un’Ucraina mutilata ma – si sperava – senza più sangue, e comunque sovrana. Inglesi e americani – quelli che hanno la vera capacità di sostegno militare – promisero sostegno illimitato, “fino alla vittoria”, e fu così che la guerra continuò fino a oggi, senza che più nessuno, mai mettesse in discussione la traiettoria della vicenda, ma neanche i principi di fondo. Cioè, sostegno militare fino alla vittoria, come se davvero fosse stata possibile e realistica, a un paese che è stato ingiustamente aggredito.

Questo fondamento dell’azione e del sostegno è stato rapidamente sfaldato e sovvertito con l’arrivo di Donald Trump. Che, sicuramente stanco di spendere soldi per la lontanissima Ucraina, del tutto indifferente a funzioni di influenza geopolitica, non ostile a Putin e alle sue eventuali smanie che ragionevolmente non riguarderanno gli USA, per rendersi più semplice la vita ha anche invertito il segno del racconto, di fatto aderendo fondativo, sostanzialmente abbracciando la narrazione russa dell’aggressività ucraino-europea da contenere. La plateale umiliazione dell’altrogiorno è solo la sanzione finale di un processo sostanziale che era già chiaro e che ci riporta, in fondo, alle domande che ci ponevano appunto tre anni fa. In un momento nel quale l’uomo più potente del mondo sembra dire, guardando a ogni latitudine, che il più forte ha sempre ragione, e che con lui la generosità interessata made in USA inaugurata durante la seconda guerra Mondiale e proseguita col piano Marshall sarà archiviata per sempre; in un momento nel quale sulla natura dell’invasione dell’Ucraina si vota all’Onu, e assieme alla Russia vota Israele, mentre gli USA più pudicamente si astengono, la domanda – prima dell’antichissimo “che fare?” – riguarda cosa vogliamo essere e rischiare. Prima delle istituzioni, in fondo, riguarda ciascun cittadino cosciente che deve sapere che maggiore spesa e investimento in armi significa più tasse o tagli ad altro, anzitutto. Ma poi, anche, che immaginare un’Europa che si rimilitarizza con obiettivi di potenza globale, significa immaginare un luogo tutto diverso da quello che immaginarono i padri nobili e dei quali godemmo noi, figli, fossimo anche ignobili. E tornando indietro, per andare avanti, significa anche trovare un’igiene del discorso pubblico nel quale si dica che il compromesso e la politica, le vere armi europee, meritano di essere trattate con rispetto e cura, anche quando ci sporcano le mani e la coscienza. Per capirci: immaginate per un attimo che Draghi Scholz e Macron fossero tornati con un sì di Zelensky in tasca, che il patto reggesse, che si arrivasse prima a un cessate il fuoco e poi a un qualche compromesso di pace, per quanto ingiusta. Certo, Putin non sarebbe stato sconfitto. Ma non avebbe nemmeno potuto trovarsi nella posizione del vero vincitore, appena tre anni dopo.

3 Commenti
  1. Mi sembra ci sia un fraintendimento di fondo sulla vicenda ucraina. Che non nasce nel 2022 con l’ invasione russa, ma ben prima, nel 2014 (o forse anche prima). A Maidan (ci piaccia o meno) il presidente filorusso regolarmente eletto viene cacciato da forze paramilitari nerovestite. Questo (qualunque possa essere la nostra simpatia per le parti in causa) si chiama colpo di stato. A cui segue il divieto di parlare russo (lingua madre di un terzo della popolazione) o l’ intenzione di aderire alla NATO. Ora, la politica di allargamento ad Est della NATO (estesa alle repubbliche baltiche a Nord e ora in prospettiva anche a Sud) è esattamente quello che allarma la Russia. Fin dai tempi degli Zar infatti la politica difensiva russa dagli attacchi europei (che è quello che è successo: sono stati gli Svedesi, i tedeschi, i francesi, gli inglesi ad attaccare storicamente i russi, non viceversa) è quella di avere vaste “zone cuscinetto” (Polonia, Bielorussia, Ucraina, Finlandia ecc) in cui le forze nemiche si disperdessero prima di arrivare al cuore della nazione (vedi Poltava, ecc.). L’ allargamento della NATO mette a rischio questo sistema, la diffidenza è inevitabile. E non è che i russi non ci tentino, con la via diplomatica: accordi di Minsk (disattesi), segnali, minacce. Ma senza esito: perché? Ricordiamoci che quando Krushchev portò i missili a Cuba, Kennedy non si fece problemi a minacciare la guerra; e Krushchev saggiamente si ritirò. Qui invece le diplomazie occidentali non hanno fatto nulla: perché? Perché pensavano di mettere in ginocchio la Russia, semplicemente. Di batterla militarmente ed economicamente, che non avrebbe retto al conflitto (quante ne abbiamo lette e sentite?), che così sarebbe finita la sua influenza in Medio oriente (be’, questo un po’ è successo), che si sarebbe messa mano sulle sue risorse naturali. E invece non è successo. E continuare nella guerra, senza gli Stati Uniti che ne sono stati i veri promotori, non porterà alla vittoria. Non solo: porterà verso similmente ad accentuare il declino europeo. Avere sostenuto le follie di Biden è stato il peggior errore che potessero fare i governanti europei. È ora di rendersene conto (non di continuare a seguire una politica che non ha funzionato).

  2. Dimenticavo un aspetto importante. L’ altra grande continuità della politica territoriale russa, dagli Zar in avanti, è l’ accesso ai mari. L’ unico sbocco marittimo della Russia originaria era Archangel’sk sul Mar Bianco (gelato molti mesi all’ anno). Quindi via via si è affacciata sul Baltico (San Pietroburgo), sul Mar Nero (Crimea), sul Pacifico (Vladivostok). Pensare che rinunciasse senza colpo ferire allo sbocco sul Mar Nero è idiozia pura. La possibile soluzione? Ucraina in UE (senza adesione alla NATO), garanzie militari reciproche, riconoscimento dello sbocco russo sul Mar Nero.

  3. Le mezze verità equivalgono sempre a bugie intere. Euromaidan è stata una rivolta popolare, contro Janukovyc, che era il pupazzo corrotto e cleptomane di Putin. Quella del nazismo in Ucraina è una macroscopica bufala, propalata storicamente dalla Russia, frutto di coda di paglia (che è un meccanismo potente), tant’è che è stata la Russia a sottoscrivere il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop o patto Hitler-Stalin, a sterminare milioni di persone, a fare le pulizie etniche attraverso i travasamenti coatti di intere popolazioni o “scambi” con russi (che poi sono diventati il pretesto per denunciare vessazioni e discriminazioni e giustificare le aggressioni e le invasioni) e ad anticipare i lager nazisti con i gulag per gli oppositori e i milioni di asseriti “matti”. Ora, è vero che il democratico Prodi sosteneva la neutralità dell’Ucraina, onde evitare la reazione della Russia. Ma è anche vero che, dopo la fine dell’Unione Sovietica, nessuno dei Paesi europei dell’ex Patto di Varsavia ha scelto di associarsi alla Russia. Per la semplice ragione che conoscevano benissimo i Russi e il loro imperialismo crudele e, potendo scegliere, hanno semplicemente scelto la libertà e la democrazia, che i filorussi putiniani, estimatori di un autocrate ladro e sadico, aborrono. Conseguenza che ha l’eziologia in una pessima educazione familiare nell’infanzia e nell’adolescenza e quindi indica anche il modo più adeguato per tentare di risolverla.

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