Geopolitica
Taiwan: il difficile mandato per Lai Ching-Te
A Taiwan, una delle regioni iconicamente più importanti del mondo, Sabato 13 gennaio Lai Ching-te vince le elezioni presidenziali. Il suo Partito Democratico Progressista (DPP) ottiene un terzo mandato dopo la doppia elezione della presidente uscente Tsai Ing-wen in carica dal 2016.
La vittoria, in verità in larga parte annunciata, è sugellata dal 40% delle preferenze. Il candidato del partito di opposizione Kuomintang (KMT) Hou Yu-ih raccoglie il 33,49% dei voti, mentre il candidato del Partito popolare di Taiwan (TPP) Ko Wen-je ottiene il 26,45%. Partecipano più di 14 milioni di persone e l’affluenza alle urne è di poco superiore al 71%.
Anche se già da tempo si profilava una vittoria quasi certa per Lai, per via dell’elevatissima posta in gioco l’elezione era attesa non con poche preoccupazioni ed aveva addosso gli occhi puntati del mondo intero. Taiwan rappresenta un unicum dal punto di vista geostrategico ed industriale: in quest’area si producono il 60% dei semiconduttori di tutto il mondo ed oltre il 90% di quelli più avanzati, la maggior parte è prodotta da un’unica società, Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation (TSMC)[1].
Ciò che focalizza l’attenzione mondiale su Taiwan è che sulla propria testa pende da decenni una temibile spada di Damocle: la Repubblica Popolare Cinese, che ne rivendica con toni sempre più aggressivi l’annessione. L’isola si separa di fatto dal continente cinese dopo la seconda guerra civile, quando i separatisti del Kuomintang vi si rifugiano creando uno stato autonomo, dotandosi negli anni di un proprio sistema politico, di un proprio governo, di una propria Costituzione, di un esercito e di una propria moneta, ovviamente senza il consenso della RPC che si ostina a non voler riconoscere.
L’atteggiamento ostile della Cina assume toni preoccupanti soprattutto sotto il governo di Xi Jinping, il quale giura di riannettere l’isola con le buone o con le cattive, non perdendo occasione per mettere in scena spettacolari quanto provocatorie azioni dimostrative, sconfinando con caccia e navi militari nei cieli e nei mari taiwanesi numerosissime volte negli ultimi anni, addirittura lanciando missili verso l’isola senza però mai colpirla.
Il clima somiglia ormai a quello di una imminente dichiarazione di guerra al quale il mondo guarda con seria preoccupazione: in gioco non c’è soltanto il controllo industriale della regione – immaginare un paese come la Cina che abbia il pieno controllo mondiale della produzione di chip elettronici apre già di per sé scenari terrificanti – ma anche il controllo geostrategico: la posizione di Taiwan, isola che è situata al centro della cosiddetta Prima Catena di Isole che va dal Giappone verso sud attraverso Taiwan e le Filippine e poi verso l’Indonesia e la Malesia, rappresenta una importante barriera per la Cina che ne impedisce il dominio del mare[2].
Senza questa barriera sarebbe per la Cina più facile uscire dai propri porti in direzione del Pacifico e poter esercitare così pressioni verso il Giappone, le Hawaii o addirittura verso le coste occidentali degli Stati Uniti.
Cosa accadrà con Lai Ching-te
Per Xi Jinping Taiwan deve essere riannessa al più presto possibile, ma non ha certo il consenso degli abitanti dell’isola, dove i separatisti sono la stragrande maggioranza e dove i cittadini continuano a dimostrare di aver costruito una democrazia molto solida e di amarla profondamente. Inoltre le ultime elezioni indicano ormai da anni una direzione molto chiara verso l’apertura al mondo, un sentimento impermeabile ad una propaganda battente che la RPC mette in campo da anni: social, media, politica, guerra informatica, come anche le pressioni militari e commerciali, tutte azioni che non sembrano scalfire la scelta democratica.
Il precario equilibrio si gioca anche con le sapienti relazioni diplomatiche tra le due realtà: malgrado le ostilità ed i rapporti costantemente tesi, la presidente uscente sembrava comunque aver trovato un certo equilibrio seppur faticoso, riuscendo ad ammorbidire alcune asperità con Xi Jinping, anche se considerata dal regime una separatista e malgrado la presidente abbia scelto di promuovere la modernizzazione e l’ampliamento delle difese militari con ingenti investimenti e con la parte attiva degli Stati Uniti, politica considerata inevitabilmente una inaccettabile provocazione per Pechino.
Ma con il nuovo leader Lai Ching-Te i rapporti potrebbero peggiorare: il neoeletto, considerato dal regime un pericoloso separatista[4], è di fatto uno dei più convinti nell’attuale panorama politico taiwanese nel portare avanti un programma indipendentista. Le posizioni decise e chiare di Lai sono certamente il motore principale della sua popolarità e che lo hanno portato alla sua elezione, ma possono però rappresentare l’ostacolo più grande nelle relazioni con Xi Jinping.
Nel suo primo discorso durante l’annuncio della vittoria, Lai ribadisce di aver scelto di “stare dalla parte della democrazia” in opposizione all’autoritarismo. La notte successiva l’Ufficio cinese per gli affari di Taiwan minimizza la vittoria affermando che tale risultato non può in alcun modo rappresentare l’opinione pubblica tradizionale di Taiwan, aggiungendo che queste elezioni non fermeranno la “tendenza inarrestabile verso l’eventuale riunificazione della madrepatria”[5].
Le tensioni tra due sponde sembrano destinate quindi ad intensificarsi: Chang Wu-ueh, esperto di relazioni tra i due paesi, è convinto che “Le misure pre-elettorali di intimidazione militare e di pressione economica hanno molte più probabilità di essere rafforzate nell’era post-elettorale”, ed è l’opinione più diffusa tra gli analisti[6].
La domanda che tutto il mondo continua a farsi è fino a che punto le tensioni potranno arrivare e se queste potranno mai sfociare nella temibile opzione di una aggressione militare tanto minacciata dalla Cina. Quest’ultima sarebbe disastrosa per tutti gli attori coinvolti per via delle vaste implicazioni che porterebbe naturalmente con sé: questo Xi Jinping lo sa bene ed è forse il maggior freno per ora. Il tempo che scorre però viene utilizzato da entrambe i contendenti per un crescente rafforzamento militare: secondo un rapporto statunitense del Pentagono[7] la Cina, altre ad incrementare tutti gli altri armamenti, starebbe per aumentare in modo molto rapido il suo arsenale di armi nucleari, con l’intenzione di quadruplicarle entro il 2035. Non sono certamente manovre che suggeriscono buoni auspici.
A Lai Ching-Te è stato quindi conferito un incarico a dir poco titanico ed in una fase particolarmente complessa: cercare di proseguire verso l’indipendentismo assecondando la volontà popolare ma nel contempo mantenere le relazioni con Pechino meno tese possibili, con uno Xi Jinping sempre più determinato a riannettere l’isola prima della scadenza del proprio mandato senza voler scendere a patti con nessuno.
Al mondo non rimane che stare a guardare, anche perché attori esterni in grado di poter contribuire ad una mediazione sembrano allo stato attuale non esistere e la storia insegna che rimettersi alla buona volontà dell’uomo, soprattutto nelle questioni politiche, raramente rappresenta una efficace soluzione.
[1] https://theglobalpitch.eu/it/2023/11/12/taiwan-the-perennial-anguish-of-invasion/
[2] https://theglobalpitch.eu/it/2023/11/12/taiwan-the-perennial-anguish-of-invasion/
[3] https://it.euronews.com/2022/10/23/cina-il-presidente-xi-jinping-confermato-leader-del-partito-comunista-continueremo-ad-apri
[4] https://www.dw.com/en/china-says-taiwan-presidential-favorite-a-severe-danger/a-67948558
[5] https://www.dw.com/en/how-will-taiwans-new-leader-shape-relations-with-china/a-67976109
[6] https://www.dw.com/en/how-will-taiwans-new-leader-shape-relations-with-china/a-67976109
[7] https://media.defense.gov/2023/Oct/19/2003323409/-1/-1/1/2023-MILITARY-AND-SECURITY-DEVELOPMENTS-INVOLVING-THE-PEOPLES-REPUBLIC-OF-CHINA.PDF
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