Geopolitica
Strada san zeno, Fer-menti leontine: giovani cooperative di comunità in Romagna
Il racconto delle comunità di cooperative in Italia, porta Gli Sati Generali in Romagna, a cavallo dell’Appennino forlivese prima, e di Rimini poi. Si viaggia verso due fiumi, il Rabbi e il Marecchia, due vallate, risalendo dal mare verso i monti non sempre docili della dorsale tosco-romagnola da una parte, del Montefeltro dall’altra.
Parto dalla bassa, in provincia di Ravenna, appena sopra il livello del mare, diretto verso Strada San Zeno, borgo in provincia di Forlì-Cesena, dove nel 2018 nasce la prima comunità di cooperative romagnola grazie alla volontà e alla passione di un giovane autoctono di nome Davide Casamenti, classe 1986. Lui, e altri due soci fondano la comunità che andremo a raccontare. Mentre guido e sento la terra piano piano inclinarsi, e scorro segnali che indicano Forlì poi Predappio e quel che ne consegue in termini di simboli e segni della storia, ripenso a questo modello di sviluppo sociale ed economico che ha avuto una genesi spontanea, in risposta ad urgenze di vita, e che ha trovato l’appoggio di grandi realtà nazionali come Confcooperative, Habitat, ma anche delle stesse regioni, in primis l’Abruzzo e la Toscana, ora anche l’Emilia Romagna. Un modello economico e sociale che non inventa nulla di realmente nuovo ma tanto va a rilanciare in termini di storia delle comunità, di sopravvivenza di piccoli centri innanzitutto attraverso il lavoro, la coesione, ma anche di ripopolamenti di strade e case abbandonate verso le città, di recupero e rilancio di spazi comuni con le loro ricchezze e bellezze nascoste, la loro umanità risvegliata.
La radice che genera le due parole in oggetto (comunità, cooperative) è la stessa di consorzio, collaborazione, comunione e comunismo (dal sacro al profano). Eppure, a quanto sentirò durante il sopralluogo, di politico c’è soprattutto il senso della polis, la comunità intesa come unione di persone che lavorano, producono e fruiscono dei loro stessi beni e servizi. Poi, se possibile, li distribuiscono, li vendono.
San Zeno come recita il cartello piantato sulla provinciale 9-ter è poco più di una strada che biforca verso Premilcuore e Galeata, il comune di riferimento. Dire che è un posto isolato è un eufemismo: un pugno di case, un ufficio postale, un’osteria e una pizzeria, una chiesa (forse); il comune più vicino a 7 chilometri di distanza è a sua volta solo una piccola cittadina di duemila abitanti; le corse dei bus si contano su una mano, e gli abitanti residenti arrivano a una cinquantina, dai circa duemila che furono nel momento di “massimo sviluppo”.
Trasformare un circolo ricreativo in agonia in un locale pubblico è stata l’impresa – in tutti i sensi – che Davide Casamenti ha voluto intraprendere, avendo alla fine ragione dei suoi sforzi. Assieme a 3 soci, con l’aiuto di Confcooperative di Forlì-Cesena (un fondo start-up), della CTA (cooperativa territorio e ambiente) e successivamente del Fondo e sviluppo nazionale, ha avviato un locale a doppio ciclo produttivo, la pizzeria “Le forche” la sera, e la produzione di pasta fresca artigianale di giorno, riuscendo così a salvare un posto caro agli abitanti, ma anche a dare lavoro ad alcune persone, tra cui la sua compagna Lucia che dirige la squadra delle “sfogline”.
“Non è stata una passeggiata – ci racconta Davide davanti al bancone del locale mentre ammiro la sua Honda Four CB 750 anni ’70, che splende adagiata a una parete del locale – all’inizio specialmente, abbiamo dovuto autofinanziarci, darci da fare parecchio con le nostre mani, per rifare quasi tutto degli interni, mettere a norma impianti e i servizi. Siamo stati primi a pensare a una comunità in Romagna e di questo devo ringraziare tanto Mauro Neri di Confcooperative che ci ha consigliato e indirizzato verso questa formula. Manca ancora una normativa nazionale, la regione ci riconosce ma in effetti ci sono forse alcune lacune normative. Però bisogna dire che si sono fatti notevoli passi in avanti e adesso siamo entrati dentro una rete che va ampliandosi a livello nazionale. E pensa, sono diventato consigliere nazionale e provinciale di Confocooperative Habitat, mi trovo a parlare di “economia d’impatto” a cui ho sempre creduto, e ho aiutato a far nascere una nuova comunità anche a Galeata, il nostro comune d’appartenenza. C’è anche da dire che il circolo l’avevo acquistato io: una scelta che oggi per fortuna si ripaga, grazie alla pizzeria-bar e ai nostri prodotti artigianali che vendiamo anche nel circuito di e-commerce “Sottobosco”.
Il circolo si è trasformato così in un circuito virtuoso, un cerchio che si apre e si chiude su una comunità che include diversi giovani, circa il 20% degli abitanti, che oggi ha nuovi lavoratori stipendiati, nuovi servizi e una per quanto silenziosa nascente socialità. Se i numeri assoluti sono piccoli, la forza simbolica di queste cifre è senza dubbio grande.
Basta andare alla vecchia osteria che Davide gestisce assieme alla famiglia da oltre dieci anni, per rendersi conto di quanta gente – anche dai paesi limitrofi – scelga questo posto tranquillo immerso nella vallata del fiume Rabbi, per la pausa pranzo e per una gita del fine settimana. Ovvio che il merito è anche delle alacri sfogline, creatrici operose di pasta sfoglia fatta a mano; artiste della pasta fresca che si adoperano nel laboratorio interno alla pizzeria nelle ore diurne.
Davide e i suoi soci non si sono però fermati al primo traguardo. Partecipando al bando della regione per i negozi polifunzionali, la comunità di San Zeno ha avuto le risorse per l’acquisto di 10 bicilette speciali, serie mountain bike adatte ai sentieri montuosi; assieme a Pro-loco di Galeata e altri soggetti (tra cui anche singoli privati) la comunità riesce a noleggiarle spesso in maniera agile e capillare durante i mesi di primavera-estate. Ci racconta Davide: “La cosa successiva all’acquisto è stata quella di seguire la formazione di guide appositamente formate per condurre i turisti lungo i percorsi di montagna… oggi abbiamo – anche grazie alla Pro-loco di Galeata – un certo numero di giovani del posto che sono esperti di ciclo-percorsi sui diversi versanti limitrofi a San Zeno. Di recente poi l’Unione dei Comuni – che vede partecipe anche il nostro di Galeata – si è adoperata per una mappatura del territorio che è un grande aiuto per chi si avventura sul nostro Appennino e magari cerca una fontana o si è semplicemente smarrito e grazie alla mappatura ritrova la giusta via.”
Ultima e recentissima impresa della Comunità, è stata partecipare alla gestione rinnovata – in avvio proprio tra poche settimane – del museo archeologico di Pianetto (un’altra frazione di Galeata) trasferito all’interno del rinascimentale Convento dei Padri Minori. Sempre attraverso a un bando del comune sarà presto attivo un piccolo negozio polifunzionale interno al museo, aperto tutta la settimana grazie a due collaboratori della comunità di San Zeno. Un’avventura – racconta Davide – iniziata recentemente, a fine 2022, quando appunto il Comune ha deciso di dare impulso a questa raccolta di rilevanti reperti archeologici di epoca romana e non solo, che “Pensa, fu fondato dal parroco di Galeata, Mons. Domenico Mambrini, il quale morendo ha donato tutto al Comune, che inizialmente aveva uno spazio al suo interno dedicato proprio al lavoro di questo particolare “archeologo”, il Museo Mambrini. “Noi ad oggi siamo riusciti a portare nel chiostro interno del convento di Pianetto sede del museo, questo piccolo negozio polifunzionale con prodotti locali e un bar dove la stessa persona che lo gestisce fa anche da guida per i visitatori. In questo modo la comunità ha altri 2 dipendenti che si aggiungono ai 4 che lavorano tra pizzeria e laboratorio di pasta. Inoltre, abbiamo stimolato presso il comune la nascita di un nuovo sito internet del museo che include anche noi come comunità San Zeno, le sue attività e le proposte, insomma un sito anche questo comunitario diciamo così (sorride). C’è comunque sempre molta partecipazione da parte dei singoli, anche al di fuori del ruolo istituzionale. Pensa che deve arrivare a giorni una comitiva di turisti svedesi in zona e gli verrà fatto visitare anche il museo, ma di sera, e quindi ci sarà qualcuno del comune che nonostante l’orario improbabile andrà ad aprire e ad accoglierli. Per dirti che qui da noi la partecipazione è fondamentale, e si creano spesso situazioni di mutuo aiuto e di grande coesione. Ti racconto anche questa: l’anno scorso siamo riusciti a coinvolgere una scuola tecnica di Galeata, l’Ipsia Vassallo, in un progetto di restauro di una vecchia Moto Guzzi Airone Sport 250; assieme a noi e a un’officina di un amico, alcune classi hanno partecipato – come attività supplementare di doposcuola naturalmente – a questo bel progetto. E’ stata un’esperienza bellissima, per noi ma soprattutto per i ragazzi che col passare dei giorni e l’avanzare del restauro, vedendo uscire fuori uno splendore dal rudere di partenza, si sono sempre più appassionati a fare qualcosa di concreto e non così tanto tecnologico ma più meccanico; qualcosa che alla fine hanno potuto ammirare di persona, toccare con mano, altro che in digitale! Anche in questo caso sono stati tutti contenti, la scuola, i professori, gli studenti, e anche io perché ho investito qualcosa di personale per avere poi alla fine un cimelio Moto Guzzi ristrutturato e ora esposto proprio dentro l’istituto.”
Mi accorgo, parlando con questo giovane uomo, di quanto entusiasmo e di quanta fiducia porti – assieme a soci e amici – in questa vallata in apparenza desolata, invece piena di fermento ed energie, quelle che spesso in città sono piuttosto frenesie, elettricità scomode. Davide torna subito a raccontarmi di altre idee e potenziali progetti: un agricampeggio lungo il parco fluviale che si stende per oltre due chilometri lungo il fiume, progetti di albergo condiviso che prevede una struttura centrale con una reception operativa che gestisce non solo le proprie camere ma anche quelle di altri punti di ricezione meno visibili; e ancora, la gestione delle tante case vuote e delle costruzioni popolari ad esempio assieme ad una realtà di settore come Habitat, per proporre a condizioni agevolate affitti o acquisti alle giovani famiglie che vogliano venire a vivere a San Zeno. Davide ha in mente tantissime cose ed è molto probabile che la sua comunità riuscirà ancora a fare molto per San Zeno e per tutta la vallata del Rabbi. Ma a forza di parlare e sognare ci è venuto un certo appetito, specie nel sentire parlare sua moglie di cappelletti e lasagne con un cliente appena entrato. Allora usciamo e lo seguo alla Vecchia Osteria in fondo alla strada, da cui uscirò contento sia degli ottimi cappelletti al ragù che di questa nuova conoscenza umana e geografica che io, pur romagnolo d’origine, mio malgrado ignoravo e già comincio ad amare.
Mi rimetto in viaggio scendendo a valle cullato dai tornanti, diretto a San Leo, in visita all’altra comunità di cooperative, Fer-Menti Leontine. Altro fiume, Il Marecchia, altra vallata, altra provincia. Si va verso il riminese, verso una località già molto rinomata in Romagna per il suo forte che svetta sul cucuzzolo di un monte; un piccolo comune di altissima frequentazione turistica, anch’esso destinato a un progressivo spopolamento.
Gli ultimi chilometri sono inquietanti, vedi alte pareti di roccia imbragate in reti metalliche, monti che s’impennano sempre più acuminati, fino a vedere finalmente l’immensa fortezza leontina, luogo di scontri e battaglie storiche oggi meta annuale di migliaia di persone, con punte fino a 70mila visitatori.
Nonostante la fama nazionale, il suo richiamo dantesco e le lodi dello stesso Umberto Eco alla “città più bella d’Italia”, anche San Leo si spopola e soffre il mancato passaggio generazionale di alcune attività fondamentali. Qui, la comunità di cooperative Fer-menti Leontine è nata proprio per salvare un antico forno che stava per chiudere i battenti. Ci racconta la storia un altro giovane, questa volta under 30, Samuele Mucci, socio fondatore della comunità: “Questo vecchio forno che dava il pane alla comunità, nel 2018 ha annunciato la chiusura per il pensionamento dei proprietari, nell’amarezza di tutti noi che abitavamo a San Leo. Io, che mi sentivo già fortemente legato al borgo da diversi anni e mi ero impegnato tempo prima nella nascita di una piattaforma digitale turistica – pensa che avevo solo 17 anni! – mi sono sentito chiamato a fare qualcosa per evitare questa chiusura. Perdendo l’unico forno di San Leo, oltre che un alimento indispensabile a tutti, avremmo perso altre persone e un altro pezzo del tessuto del paese.
Parla anche lui con forte emozione ed entusiasmo, come Casamenti a Strada San Zeno; siamo saliti nel piccolo ufficio sopra al forno che andremo a raccontare. Samuele è fluviale nel suo racconto e mentre parla, di sotto proseguono i lavori di panificazione e di vendita di prodotti dolciari; l’effetto è quello di essere immersi contemporaneamente nella recente storia di una comunità di cooperative e nel suo effettivo presente fatto di lavoro, di prodotti per la comunità e soprattutto di nuova gioia e vitalità nel paese.
“Pensa che uno dei due fornai che hai visto viene da Bergamo e ora vive qui con la sua famiglia, quindi abbiamo anche “ripopolato” si può dire il paese.
Poi riprende a raccontarmi: “All’inizio ero perplesso rispetto all’idea di una comunità di cooperative. Non volevo, nonostante i ripetuti solleciti, andare agli incontri partecipati che Confcooperative di Rimini assieme ai vecchi proprietari andati in pensione (Vittorio e Giacomina) promuoveva nel 2019. Pensavo che ci fosse troppa distanza tra le persone, troppa tensione ed eterogeneità. Ma alla fine ho detto sì, supportato anche molto da Confcooperative e da un ottimo business plan che prevedeva una rigenerazione completa del vecchio forno – nato nel ’39 e prima ancora forno comune dove la gente portava a cuocere il proprio pane – in un’attività d’impresa con finalità sociali, che avrebbe poi dato anche lavoro a nuove persone oltre che produrre un pane artigianale oggi distribuito in tutta la vallata fino a San Marino. Così mi sono unito ai fondatori e l’1-8-2019 è nata Fer-Menti Leontine, saldando mentalità diverse, storie e provenienze varie, capace nel raggio di pochi anni di rigenerare in pieno il forno, con nuovi macchinari e nuove tecniche di produzione biologiche e innovative. All’inizio eravamo solo 33 soci, oggi se ne contano oltre 70 e abbiamo molti soci sovventori e anche donazioni.”
Inarrestabile, mi racconta che è stato fondamentale l’aiuto non solo di Confcooperative, ma anche del Foncooper della regione attraverso cui la comunità ha ottenuto un alto finanziamento a tasso agevolato per il progetto. Oggi il consiglio di amministrazione della comunità ha al suo interno solo giovani under 35, il progetto si regge bene attraverso una rete di cooperazione locale e l’energia scorre. Il forno, nel cuore del centro storico del paese in via Leopardi, mette a frutto antiche ricette come quella tradizionale del “pane toscano” senza sale; l’incontro con I Panificatori agricoli urbani nel 2020 a Rimini, ha permesso alla neonata attività di saper valorizzare vecchie varietà di grano e di trasformare così cereali prodotti proprio in Valmarecchia, secondo un principio che unisce economia a ecologia, campi coltivati del territorio (oltretutto a rischio di frane) e artigianalità. Inoltre – continua Samuele – qui da noi si lavora di giorno, l’orario di chi panifica è da mezzogiorno alle otto e questo permette a chi fa un mestiere per antonomasia notturno, di stare con la propria famiglia la sera, e a noi di richiamare giovani che non devono “sacrificarsi” per svolgere una professione che amano. Le nostre collaborazioni inoltre guardano anche al mondo del commercio equo solidale, quindi ci forniamo da cooperative che seguono percorsi fair trade per lo zucchero o il cacao ad esempio. Il forno è l’unico punto vendita della vallata, ma distribuisce il suo pane – lievitato solo in ore diurne attraverso un lavoro quotidiano con la sua pasta madre – donataci all’inizio da un fornaio della vallata, Lorenzo Cagnoli – a diverse rivendite esterne, da Villa Verucchio a San Marino.”
Oggi il forno gestito da Fer-Menti Leontine ha cinque dipendenti, è diventato quello che Samuele con orgoglio definisce un brand, simbolo della stessa comunità che ora si avvia a nuovi progetti. Perché dopo la crisi generazionale che ha colpito il vecchio forno, ora è la volta del minimarket del paese, un piccolo alimentari in fondo alla via, dove le due anziane gerenti non riescono più a far fronte da sole ai costi dell’attività. Così la comunità, nelle prossime settimane, prenderà in gestione anche il minimarket, con l’obiettivo di trasformarlo e possibilmente ampliarne l’offerta, inserendovi anche altri servizi ormai scomparsi da San Leo: un’edicola, forse un tabacchi polifunzionale. “Anche in questo caso – racconta Samuele – siamo tanti e diversi soggetti, non mancano il sostegno di capitali sociali, lo stesso Foncoper e ci sono anche finanziatori privati; questo è bellissimo succeda, non me l’aspettavo davvero.”
Quando gli chiedo ingenuamente se in questo caso siano ammesse finalità di lucro, Samuele storce il viso e mi fa capire che la comunità non ha finalità di lucro, e che semmai alcune aziende – pur scaricando il finanziamento concesso a bilancio – forniscono un capitale che va inteso come capitale di rischio. Il pane, ma anche il minimarket, sono da ritenersi progetti ad “alto impasto sociale” conclude sorridendo. Torniamo di sotto, dove sono arrivate due signore a dare una mano ai fornai che infornano e sgambettano dietro la parete a vetri. Al banco, un’altra arzilla leontina mi porge la mano contenta di ricevere l’ennesima visita “della stampa”. Sembra davvero che la comunità sia felice, dentro una giornata particolarmente tenue e luminosa, che accende le pietre chiare che rivestono omogeneamente l’intero borgo.
Rientrando dopo questa bella chiacchierata con Samuele, penso alla forza e alla passione che occorrono per vivere distanti da cinema, teatri, librerie, ma anche più prosaicamente da supermercati e ospedali, e allo stesso tempo essere interconnessi, uniti, sereni dentro il flusso economico. Come se fosse comunque giunto qui al borgo un mondo essenziale, solo apparentemente ridotto. Spiovono minacciose cime sulla mia testa, la strada corre veloce a valle, verso Santarcangelo di Romagna poi verso la bassa costiera. Tutto – dentro e fuori – è contemporaneamente intriso di energie e di fatica, di asprezza e di lievità; vince su tutto la vita che muove i cuori dei più giovani in queste due storie di una Romagna a tanti remota, lontana dall’immaginario comune che la raffigura costiera se non solo balneare. Sul declivio rischioso della retorica, direi che ho assistito a uno spettacolo umano e sociale che mette assieme linfa vitale, economia intelligente, lungimiranza politica, terra e radici della storia, nello scenario naturale dei monti romagnoli, a tratti minacciosi e oscuri, ma oggi, in particolare oggi, accesi di un luminoso fermento.
(Per leggere tutti i nostri viaggi nelle cooperative di Comunità clicca qui)
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