Geopolitica
Soli come curdi
C’è un vecchio detto curdo, che in una frase dice una verità tanto grande da essere insopportabile: “i curdi non hanno amici, se non le loro montagne”. E le tappe fondamentali della loro storia, segnata dai tradimenti subiti, stanno lì mestamente a dimostrarlo. La recente crisi tra Russia e Ucraina è stata l’ennesima occasione per riportare alla ribalta la loro situazione, ma nel modo peggiore.
Svezia e Finlandia hanno una tradizione di neutralità che dura da settant’anni ed hanno sempre sostenuto che il modo migliore per preservare la pace fosse quella di spendersi per il disarmo e per la diplomazia – per cui la Svezia ha anche progressivamente diminuito la propria spesa militare. Tutto viene sepolto nel momento in cui i carri armati prendono la strada per Kiev e si ammassano sulle rive di fronte all’isola di Gøtland[1]. Ed ora, anche in questi paesi in cui i curdi venivano accettati, ci si è messi dalla parte di Ankara e li si è dichiarati tutti terroristi. In un lento processo, iniziato nel 2014, con l’invasione della Crimea, la Svezia decide di riarmare[2] e rafforzare un sistema difensivo completamente sguarnito[3]. La crisi attuale porta il Paese scandinavo, assieme alla Finlandia, a compiere un altro passo importante: il 18 maggio 2022 i due paesi hanno presentato la richiesta ufficiale di ingresso nell’Alleanza atlantica[4].
La domanda di candidatura viene accolta con entusiasmo dalla NATO[5], ma la Turchia: “Non diremo sì a quei Paesi che applicano sanzioni alla Turchia […] Nessuno dei due Paesi ha un atteggiamento chiaro e inequivocabile nei confronti delle organizzazioni terroristiche”[6]. Il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavuşoğlu, detta le condizioni per sciogliere le riserve chiedendo “garanzie di sicurezza”: lo stop all’embargo delle esportazioni di armi e la fine del presunto sostegno – sul territorio svedese e finlandese – ai curdi del PKK (il Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e dell’YPG (le milizie curde del Nord della Siria), che il presidente considera organizzazioni terroristiche: “La nostra posizione è perfettamente aperta e chiara. Non è una minaccia, non è un negoziato in cui stiamo cercando di far leva sui nostri interessi”[7].
Il presidente Erdoğan accusa Helsinki e Stoccolma di essere insensibili in tema di terrorismo, rinfacciando di non aver accordato in passato la richiesta di estradizione di 30 terroristi: “Non consegni i terroristi, ma vuoi unirti alla NATO. Non possiamo dire di sì a un’organizzazione di sicurezza priva di sicurezza”[8]. Il riferimento è ad alcuni membri del PKK, la milizia curda che ha conduce una lotta armata contro lo Stato turco sin dagli anni ’80, in esilio in Svezia. Erdoğan accusa Stoccolma anche di ospitare membri del movimento FETÖ, una setta islamica (con a capo Fethullah Gulen, un predicatore e uomo d’affari turco che dal 1999 vive in esilio negli Stati Uniti[9]) responsabile, secondo Ankara, del tentativo di colpo di Stato del 2016 costato 241 morti e 2194 feriti[10].
Il 28 giugno, a Madrid, dopo una serie di schermaglie, le parti sottoscrivono un protocollo d’intesa (MoU)[11] che contiene impegni concreti da parte di Finlandia e Svezia a cooperare con la Turchia nei settori dell’antiterrorismo, della criminalità organizzata e delle minacce alla sicurezza nazionale – in cambio del MoU la Turchia accetta la candidatura NATO di Svezia e Finlandia. Alcuni punti sono però controversi: i paesi scandinavi, nel punto 4 del MoU, respingono la richiesta turca di inserire FETÖ, PYD (Partito dell’Unione Democratica) e YPG tra le organizzazioni terroristiche, ma poco più avanti affermano che “Finlandia e Svezia respingono e condannano il terrorismo nei termini più forti, in tutte le sue forme e manifestazioni” e “condannano inequivocabilmente tutte le organizzazioni terroristiche che perpetrano attacchi contro la Turchia”[12].
Nel paragrafo 5 del MoU si suggella l’impegno degli scandinavi nel prevenire, indagare, reprimere ogni attività, finanziamenti compresi, legate a tutte le organizzazioni terroristiche ed alle loro estensioni, nonché affiliati o gruppi o reti a loro ispirati[14]. Affermazioni molto vaghe e pericolose, poiché in questo modo nessuno potrebbe impedire di censurare e perseguire organizzazioni legittime solo perché ritenute sospette o perché ideologicamente avverse al potere turco.
Al punto 8 si parla della cooperazione giudiziaria in merito alle richieste di espulsione o estradizione di sospetti terroristi. Queste richieste verranno evase “in modo rapido e completo” dai paesi nordici, che “terranno conto delle informazioni, delle prove e dell’intelligence fornite dalla Turchia e stabiliranno i quadri legali bilaterali necessari per facilitare l’estradizione e la cooperazione in materia di sicurezza con la Turchia, in conformità con la Convenzione Europea di estradizione”[15]: nemmeno un vagito sulla difesa dei diritti umani e sulla tutela del diritto dei rifugiati – una questione che dovrebbe essere dirimente.
Corre l’obbligo ricordare che, ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione Europea sull’Estradizione, questa non è concessa per reati politici o quando “è stata avanzata richiesta di estradizione per un reato ordinario allo scopo di perseguire o punire una persona a causa della sua razza, religione, nazionalità o opinione politica, o che la posizione di quella persona possa essere pregiudicata per uno qualsiasi di questi motivi”[16]. Il problema è che la maggior parte dei casi che potenzialmente rientrano nel protocollo d’intesa sono di natura altamente politica. Come denuncia Amnesty International, la Turchia utilizza troppo spesso come arma la legislazione antiterrorismo per reprimere i curdi e per criminalizzare l’esercizio pacifico della libertà di espressione[17]. Questo protocollo consente ad Ankara di estendere i suoi inaccettabili comportamenti al di fuori della propria area giurisdizionale.
L’imbarazzo svedese
È evidente che Svezia e Finlandia hanno offerto una sponda formidabile a Erdoğan: nel suo mirino c’è il popolo curdo, spina nel fianco della Turchia da decenni[19]. Non solo. Nel giugno del 2023 in Turchia si terranno le elezioni e la situazione per Erdoğan non è affatto rosea: inflazione alle stelle, lira in picchiata, sondaggi per lui in drastico calo – gli rimproverano giustamente di essere corrotto ed incapace di gestire l’economia[20], ed allora la politica estera potrebbe rappresentare una leva per rinverdire la sua popolarità[21].
Il 5 luglio 2022, a Bruxelles, i 30 membri dell’Alleanza Atlantica firmano il protocollo di adesione per Svezia e Finlandia, consentendo loro di essere presenti a quasi tutte le riunioni della NATO. Manca solo la ratifica da parte dei parlamentari – un processo che richiede diversi mesi, ed ecco ancora Erdoğan alzare la voce affermando che il parlamento turco non ratificherà le domande di Svezia e Finlandia se non manterranno le promesse fatte: “La Svezia ha promesso che ci darà quei 73 terroristi”[22]. Una promessa mai rivelata prima; non solo, anche la Finlandia sembra aver promesso l’estradizione di una dozzina di curdi che Ankara considera terroristi[23].
In Svezia, il contraccolpo causato dalla diffusione dell’accordo sull’estradizione dei curdi è pesante: in piazza si radunano migliaia di manifestanti con il DKTM (Democratic Kurdish Community Center), e protestano contro l’uso dei curdi come “merce di scambio per garantire gli interessi del governo”[24]. Il presidente del Congresso nazionale del Kurdistan (KNK) Ahmed Karamus dichiara che l’accordo è “molto sporco”, ed è contrario sia al diritto interno che ai criteri umanitari – un “tradimento” per i curdi e per tutti gli svedesi[25]; la parlamentare Aminah Kakabaveh ricorda che “I curdi hanno mostrato una resistenza unica contro l’ISIS e hanno combattuto per il mondo intero”, e considera l’accordo contrario alle promesse fatte dall’Occidente.
Daniel Riazat accusa: “ogni patto con la Turchia porta la morte ai curdi”[26]; Nooshi Dadgostar, leader del Partito della sinistra, si chiede: “La Svezia armerà la Turchia nella sua guerra contro la Siria? Quali oppositori del regime verranno estradati?”[27]. Il Partito dei Verdi invita il ministro degli Esteri svedese Ann Linde a comparire davanti alla commissione per gli affari esteri del parlamento per spiegare cosa il governo abbia ha concesso[28]; Shiyar Ali, rappresentante svedese delle regioni curde della Siria settentrionale, dichiara che la Svezia ha “perso i suoi principi fondamentali di democrazia, diritti umani e libertà” e la sua “reputazione di paese umano e rifugio sicuro per coloro che fuggono dal terrorismo e dall’oppressione”[29].
Tra l’indignazione pubblica e nel totale imbarazzo, Ann Linde è costretta a mentire, negando che il suo Paese si sia “inchinato” al volere di Erdoğan: “I curdi non hanno motivo di pensare che siano in gioco i loro diritti umani o democratici”[30]. Il ministro della Giustizia Morgan Johansson afferma che qualsiasi decisione relativa alla possibile estradizione di sospetti terroristi verrà presa da “tribunali indipendenti”[31]. Malgrado queste rassicurazioni, alle cinque di mattina di venerdì 19 agosto viene arrestato Zinar Bozkurt, un attivista curdo di 26 anni, una settimana prima della visita di Erdoğan a Stoccolma[32]: sarà il primo curdo pronto per essere consegnato nelle mani del presidente.
In Svezia da 8 anni, Zinar è perseguitato in Turchia a causa della sua identità curda, della sua omosessualità e del suo coinvolgimento nell’HDP (Partito Democratico del Popolo). La sua domanda di asilo viene respinta dall’ufficio immigrazione svedese poiché ritenuto legato al PKK, considerato oramai una organizzazione terroristica[34]. Il suo avvocato si appella alla Corte di giustizia dell’Unione Europea poiché considera questo mandato di estradizione “illegale”[35]: una volta deportato in Turchia, Zinar rischia la tortura e una pesante detenzione.
Nel frattempo il governo svedese vuole estradare Okan Kale, un uomo condannato per frode con carta di credito apparso in un elenco pubblicato dai media turchi di persone ricercate da Ankara, ma la risposta del governo turco è stupefacente: di quello non sappiamo che farcene, non è nella lista dei nemici del regime[36]. Solo in Svezia, i curdi fuggiti dalla tortura e l’assassinio in Turchia superano le 100’000 unità, ma i numeri della diaspora curda sono enormemente più grandi, e riguardano quasi tutti i paesi occidentali
La lunga scia di tradimenti
L’etnia curda è la più grande al mondo a non possedere uno stato nazionale: si pensa siano tra i 25 e i 35 milioni, sparsi in tutto il Medioriente, in un’area di ben 450’000 km2, a cavallo tra Turchia, Iraq, Siria, Iran e Armenia, all’interno di confini (immaginari) che delineano il Kurdistan, cancellato dalla storia militare di mezzo millennio. La lingua curda è di ceppo iraniano, quindi indoeuropea. Oggi, nuove ricerche scientifiche credono che il Kurdistan fosse già abitato dalla stessa odierna etnia nel neolitico, principalmente nella fertile mezzaluna capovolta che va dal Mar Caspio alla Siria[38].
La loro conversione dalla religione cristiana all’Islam avviene nel VII secolo, e oggi la maggior parte dei curdi è musulmana sunnita, mista a comunità aleviti, cristiane, ebree e yazide. In ogni caso, in un’area di forti fondamentalismi, i curdi sono conosciuti come una delle poche culture che pratica la tolleranza religiosa, e che abbraccia valori moderni come il riconoscimento dell’identità della donna, della laicità, della giustizia ecologica, della centralità dei diritti all’istruzione e alla salute.
Forse è proprio per questo che vengono perseguitati. Tra il XVI e XVIII secolo, vaste porzioni del Kurdistan vengono sistematicamente devastate e un gran numero di curdi deportato negli angoli più remoti degli imperi safavide e ottomano: tali persecuzioni non fanno che radicare nei curdi il sentimento di appartenenza nazionale[39]. Nel 1867, gli ultimi principati curdi autonomi vengono letteralmente sradicati dagli ottomani e persiani che ormai governano l’intero Kurdistan[40]. Da allora gli equilibri mondiali sono cambiati molte volte, ed ogni volta i curdi hanno sperato, e sono stati delusi – la persecuzione continua, più feroce che mai.
Sei anni dopo la fine della prima guerra mondiale, la Turchia diviene il diretto successore del disciolto impero ottomano. Nel 1919, alla conferenza di pace di Parigi, il trattato di Sèvres garantisce ai curdi la possibilità di creare uno Stato indipendente nei territori stabiliti da una commissione dell’allora Società delle Nazioni. Ma la Siria e la Mesopotamia – l’odierno Iraq – diventano protettorati francesi e inglesi, sbarrando così la strada ad uno Stato curdo in quelle aree.
Nemmeno nel nord le cose vanno meglio: con l’ascesa al potere di Mustafa Kemal Atatürk, primo presidente della Repubblica di Turchia ed estremo nazionalista[41], la Turchia costringe le potenze occidentali a rivedere i termini del trattato di Sèvres e nel 1923, col Trattato di Losanna[42], vengono cancellate tutte le concessioni date alle minoranze etniche, curdi compresi. La nazione del Kurdistan viene quindi divisa, e i suoi territori inclusi negli Stati limitrofi: Siria, Iran, Iraq e Turchia. Nascono così quattro diverse regioni curde con ciascuna una diversa bandiera: è l’inizio di una lunghissima lotta per il diritto all’autodeterminazione del Kurdistan occidentale dalla Siria, del Kurdistan Orientale dall’Iran, del Kurdistan meridionale dall’Iraq e del Kurdistan settentrionale dalla Turchia.
L’esistenza dei curdi, così diversi dai popoli delle monarchie arabe, è vista come un elemento destabilizzante, in grado di minare l’unità nazionale degli stati nei quali vivono – facendone il bersaglio dell’odio dei paesi circostanti. Tra gli anni ’30 e ’40 la ribellione curda, sotto la guida del comandante Mustafà Barzani[44], è rivolta soprattutto verso i regimi iraniani ed iracheni. Dopo la guerra, nel gennaio del 1946, sotto l’egida dell’Unione Sovietica, c’è un nuovo tentativo di formazione di uno stato curdo, la Repubblica di Mahabad[45], guidato dal Partito Democratico del Kurdistan Iraniano (KDP-I) con a capo Qazi Muhammad[46]. La Repubblica è autonoma ed è situata al confine nord occidentale dell’Iran, ma di fatto è parte di questo Stato. Questo delicato equilibrio crolla con l’abbandono dell’area da parte dell’Unione Sovietica, e la Repubblica di Mahabad, lasciata a sé stessa, viene prontamente riconquistata dall’Iran dopo appena 11 mesi dalla sua costituzione[47]. I curdi sono stati traditi di nuovo.
A seguito di nuove promesse non mantenute, nel 1961, sotto il governo del primo ministro iracheno Abd al-Karim Qasim, Mustafà Barzani lancia una ribellione che continua per un decennio. Nel 1962, nel governatorato di Al-Hasakah, sede della più alta concentrazione di curdi in Siria, viene avviato un censimento col quale vengono privati della cittadinanza tutti i curdi che non possono dimostrare la loro residenza in Siria prima del 1945. Oltre 120’000 curdi divengono apolidi e senza la possibilità di viaggiare; viene inoltre negato loro ed ai loro discendenti il diritto al voto, di possedere proprietà o attività commerciali o di sposarsi legalmente[48]. In un rapporto pubblicato nel 2005, Amnesty International ha affermato che, a causa del naturale aumento della popolazione, il numero di curdi privati della nazionalità siriana, in quell’anno, variava tra le 200’000 e le 360’000 persone[49]. In Iraq sale al potere il Partito Baath di Saddam Hussein, che pianifica l’autonomia curda[50]. Ma quei piani rimangono carta straccia. Ancora un tradimento[51].
Nel 1974 ancora un duro colpo: considerati come “non patriottici e non fedeli alla loro patria”, contro di loro viene attuato il piano “cintura araba”: vengono sequestrati terreni agricoli e villaggi lungo la striscia di confine tra Siria e Turchia – una striscia lunga circa 250 km e profonda 15 km – ed al loro posto vengono insediati contadini arabi portati dai governatorati di Raqqa e Aleppo, evacuati dalle terre sommerse dal lago Assad; in meno di sei anni, il governo iracheno evacua un quarto di milione di uomini, donne e bambini curdi[52]: il progetto è volto a distruggere completamente l’identità e la cultura curda[53].
Il genocidio
Il 1974 è l’anno della nascita del PKK, il Partito dei Lavoratori del Kurdistan, che cerca di fondere il marxismo con il nazionalismo curdo, con alla guida Abdullah Öcalan e con l’obiettivo di costruire un Kurdistan indipendente nel sud-est della Turchia. Il Partito guadagna velocemente consensi, diviene la casa di tutti quei curdi ai quali sono stati strappati i diritti civili, ma nello stesso tempo diventa il nemico numero uno della Turchia con la quale entra in guerra nel 1984 – una guerra che non è mai cessata. Il PKK viene considerato una organizzazione terroristica dalla Turchia[55], dagli Stati Uniti[56] e dall’Unione Europea[57].
Il 12 settembre 1980 l’esercito turco, guidato dal generale Kenan Evren, rovescia il governo democratico[58]. Il colpo di Stato è incruento, ma la massa scatenata, in strada, se la prende con la sinistra ed i curdi[59]: 50 persone vengono giustiziate e circa mezzo milione arrestate, molte muoiono per le torture subite, migliaia scompaiono[60]. Una Costituzione provvisoria consegna poteri illimitati ai militari, sospende le libertà civili e l’attività politica[61]. La spirale di repressione verso i curdi aumenta: l’intera parte sud-orientale dell’Anatolia, la parte turca del Kurdistan ai confini siriani, iracheni e iraniani, viene occupata militarmente. Gran parte della popolazione delle campagne viene deportata nelle periferie delle città, molti curdi continuano a finire in carcere ed essere torturati: la brutale repressione spinge molti di loro ad ingrossare le fila del PKK[62].
Verso la fine della guerra Iran-Iraq, dal 23 febbraio al 6 settembre 1988, il governo di Baghdad lancia la campagna di Anfal contro i curdi, sotto la direzione di Ali Hassan al-Majid, cugino di Saddam Hussein, soprannominato “Chemical Ali” per la sua passione verso le armi chimiche: è lui il responsabile, il 16 marzo, di un bombardamento aereo con armi chimiche su Halabja e sui villaggi circostanti[63]. La campagna di Anfal è un chiaro atto genocida, vengono uccisi oltre 100’000 curdi (182’000 secondo alcune fonti[64], molti corpi successivamente verranno rinvenuti in fosse comuni dislocate in tutto l’Iraq[65]), vengono distrutti migliaia di villaggi, provocando lo sfollamento di centinaia di migliaia di persone, uomini donne e bambini finiscono vittime di arresti di massa, torture e sparizioni[66].
Alcuni dei curdi si stabiliscono in “insediamenti collettivi”, mentre altri vengono deportati nel sud dell’Iraq o fuggono negli stati vicini, in particolare verso l’Iran[67]. Il Kurdistan iracheno è letteralmente devastato. Dopo la guerra di liberazione del Kuwait, iniziano rivolte su larga scala contro Saddam Hussein, supportate dagli Stati Uniti[68]. I curdi, approfittando del caos e della debolezza militare irachena, si reimpossessano di molte delle aree che considerano storicamente di loro proprietà, compresa Kirkuk. Ma gli Stati Uniti cambiano alleato, e l’Iraq si vendica con migliaia di assassinii[69]. Unica risposta alle atrocità irachene è dichiarare una “no-fly zone” nel nord dell’Iraq che rimarrà in vigore fino alla caduta di Saddam Hussein[70].
Soltanto nell’ottobre del 1991 il governo iracheno ritira le sue truppe e gli amministratori civili dai governatorati settentrionali di Dohuk, Sulaimaniyya e Arbil, garantendo così l’autonomia ai curdi di quell’area: questi instaurano una propria amministrazione avviando un’alleanza tra il Partito Democratico del Kurdistan (KDP), guidato da Mas’ud Barzani, e l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK), guidata da Jalal Talabani, nonché con un numero di altri partiti politici minori[71]. Ciò consente il ritorno in patria di molti curdi, anche se gran parte di loro continua a vivere in squallidi campi per rifugiati.
La repressione irachena continua anche dopo le rivolte del 1991: due milioni di curdi fuggono in Iran, in Turchia e nelle aree montuose ancora sotto il controllo curdo[73]; alcuni quartieri di Kirkuk vengono rasi al suolo e il governo combatte contro i curdi e altre minoranze, rifiutando il permesso alle Nazioni Unite di monitorare l’area[74], che viene sottoposta ad un processo di arabizzazione: curdi, turcomanni e assiri vengono costretti a firmare moduli di “correzione dell’identità etnica” (Tashih al-qawmiyya), rinunciando alla loro etnia e registrandosi ufficialmente come arabi[75].
Abdullah Öcalan viene arrestato a Roma dalla Digos nel novembre del 1998: l’Italia rifiutata di estradarlo in Turchia, lì c’è la pena di morte, e questo crea una crisi diplomatica tra Ankara e Roma. Nel gennaio del 1999 Öcalan esce dall’Italia in cerca di protezione, sino a quando viene scortato dai servizi segreti greci nell’ambasciata ellenica di Nairobi[76]. Qui viene catturato dalle forze speciali turche e condannato a morte per terrorismo – pena poi commutata in ergastolo. Da allora Abdullah Öcalan è rinchiuso in isolamento nell’isola-prigione di İmrali dove dimorano soltanto atri tre detenuti[77].
L’ennesimo tradimento
Il 20 marzo 2003 gli Stati Uniti entrano in guerra contro l’Iraq, con l’obiettivo dichiarato di rovesciare Saddam Hussein e combattere il terrorismo islamico: il pretesto, poi risultato totalmente inventato, è il presunto possesso da parte del regime baathista di armi di distruzione di massa[79]. Le forze speciali statunitensi, piazzate nell’Iraq settentrionale controllato dai curdi, chiedono e ottengono dalle forze peshmerga (forze militari curde della regione autonoma del Kurdistan dell’Iraq) del KDP e del PUK una stretta collaborazione[80]: l’obiettivo viene raggiunto e, dopo la caduta di Saddam Hussein, viene formalizzata l’autonomia curda, portando alla creazione del governo regionale del Kurdistan, con l’appoggio statunitense al PDK e all’Unione patriottica del Kurdistan (UPK) attraverso la Coalition Provisional Authority (CPA)[81].
Durante il 2013 esplode, soprattutto in Siria, la lotta degli alleati di Al Qaeda: sia YPG che PYD difendono le posizioni militari occidentali. Nel 2014 gli attacchi dei jihadisti si estendono anche in Iraq ed i peshmerga hanno la peggio: Sinjar viene assediata dal’ISIS[82], ed Obama autorizza attacchi aerei iracheni contro i combattenti islamici[83] ed invia armi e supporto logistico ai peshmerga[84]. In aiuto giungono anche YPG e PYD, che da decenni si battono per l’autonomia curda. Nel gennaio del 2015, dopo combattimenti che costano la vita ad almeno 1’600 curdi, l’area d’occupazione viene liberata[85]. I curdi combattono al fianco di diverse milizie arabe locali sotto la bandiera dell’alleanza delle forze democratiche siriane (SDF) e, aiutati da attacchi aerei e armi degli Stati Uniti, cacciano l’ISIS da decine di migliaia di chilometri quadrati di territorio[86].
Nell’ottobre 2017 la SDF occupa la capitale dell’ISIS, Raqqa[87], e avanza verso sud-est nella vicina provincia di Deir al-Zour[88], l’ultimo grande punto d’appoggio dei jihadisti in Siria – finché, nel marzo del 2019 la SDF conquista l’ultima sacca di resistenza, intorno al villaggio di Baghouz[89]. La guerra si può considerare conclusa, il califfato viene dichiarato sconfitto, è ora giunto il momento del grande tradimento: il 6 ottobre del 2019 la Casa Bianca, nel quadro di un accordo tra Donald Trump e il presidente Erdoğan, annuncia un cambio di strategia in Siria: ritira le proprie forze dal nordest del paese, dove si trovano i curdi siriani, appena pochi mesi prima così preziosi nella vittoria contro il jihadismo. La Turchia sferra l’operazione “sorgente di pace”, prendendo il controllo dei territori curdi e stabilendo una specie di zona di sicurezza tra il confine turco e i curdi siriani[90]. Gli Stati Uniti, ancora una volta, scaricano i curdi siriani dopo aver loro promesso amicizia e protezione, e li lascia in balia del peggior nemico.
Dopo quattro giorni di combattimenti, i curdi concordano con il presidente Bashar al-Assad il dispiegamento dell’esercito siriano lungo il confine settentrionale, contro le forze turche; anche la Russia, fedele alleata di Assad, invia i propri militari nei punti chiave[91]. A questo punto gli Stati Uniti, dopo le reazioni sdegnate della Comunità Internazionale, ma anche dello stesso Partito Repubblicano per via dell’abbandono dei curdi[92], decidono di convincere Erdoğan a mettere in pausa l’offensiva della Turchia per consentire il ritiro delle forze delle YPG dalla “safe zone” turca: il cessate il fuoco viene mantenuto sino al 22 ottobre con il completamento del ritiro[93].
Lo stesso giorno Erdoğan e Vladimir Putin suggellano un accordo per porre fine all’offensiva[94]: a) le forze turche vengono autorizzate a rimanere nella striscia di territorio lunga 120 km conquistata tra Ras al-Ain e Tal Abyad; b) Le truppe russe e siriane possono prendere il controllo del resto dell’area di confine assicurando il ritiro dei combattenti del YPG ad almeno 30 km dal confine; c) dal 29 ottobre 2019 le truppe turche e russe possono iniziare pattugliamenti congiunti all’interno di una zona profonda 10 km lungo il confine.
La Turchia però non demorde: Erdoğan avvia una stagione di campagne aeree e terrestri contro obiettivi nel Kurdistan iracheno[95]: Baghdad si limita ad una critica, il KRG (il Governo Regionale del Kurdistan) lamenta le vittime civili[96]. Le operazioni si susseguono[97]. Il 18 aprile 2022 Ankara insiste con una massiccia serie di attacchi aerei e di artiglieria, supportati dallo sbarco delle forze speciali, nel cuore operativo del PKK in Iraq: entro la fine di luglio, il ministero della Difesa turco stima le perdite del PKK in 289 morti e 330 grotte e bunker distrutti[98].
Le Combattenti della YPJ
Le donne curde, come membri del PKK, prendono le armi per la prima volta all’inizio degli anni ’90. Si ritiene che dal 30% al 40% dei combattenti siano donne, e che godano di grande considerazione e rispetto tra i commilitoni di sesso opposto. Impugnare le armi è il risultato di un processo complesso, che ha origine dalla volontà delle donne curde di liberarsi dai vincoli patriarcali. Dice un motto siriano: “I jihadisti dell’ISIS sono terrorizzati dall’essere uccisi dalle donne, perché credono che così non andranno in paradiso”[100]: in molte aree del Medio Oriente, soprattutto in Turchia, le donne vengono considerate strumenti riproduttivi, sottomesse all’uomo, escluse da ogni processo decisionale. Il leader del PKK Abdullah Öcalan, ispirato dal filosofo americano Murray Bookchin[101], ha così cercato di dare potere alle sue compagne: “possiamo descrivere con precisione i 5000 anni di storia della civiltà come una cultura dello stupro”[102], dice Öcalan, le cui idee vengono abbracciate anche dal resto dei leader curdi.
È soprattutto merito del leader curdo, con il suo libro “Amore curdo” del 1999, se si innesca un processo di emancipazione femminile. l PKK contribuisce così a fornire loro mezzi politici e militari per avviare un processo di presa di coscienza e sviluppo culturale. Öcalan, malgrado sia agli arresti dal 1999, riesce a conservare la sua leadership nel partito grazie anche alla lealtà dell’Unità di Protezione delle Donne (YPJ). La YPJ diviene popolare dopo l’invasione della Siria da parte dei miliziani dello Stato Islamico: le immagini di donne che imbracciano fucili in azioni di guerra, combattendo a fianco delle YPG (Unità di Protezione Popolare), circolano in tutto il mondo. Vedere donne combattenti in Medio Oriente per molti è impensabile, eppure l’Unità di Protezione delle Donne Curde si distingue per la sua determinazione ed efficienza, al punto da richiamare la partecipazione di altre donne non curde dal resto del mondo, come avviene anche per l’esercito tradizionale del PKK[103].
In prima linea, la YPJ combatte feroci battaglie contro l’ISIS, collezionando vittorie su vittorie, guadagnandosi una solida reputazione anche in occidente: il presidente francese François Holland, nel 2015, non esita ad accogliere all’Eliseo Nasrin Abdullah, comandante dell’YPJ, nella sua uniforme militare[104]. I risultati più significativi si ottengono in Rojava (la regione autonoma nel nord della Siria) dove i curdi hanno organizzato la società sui principi del femminismo, dell’ecologia sociale e del municipalismo libertario che prende il nome di Confederalismo Democratico[105]. Le donne dell’YPJ diventano così un’icona mondiale, un modello da imitare, un esempio di come la determinazione può incidere profondamente sulla cultura di un popolo, sovvertendo antichi paradigmi che sembravano immortali.
Una persecuzione senza fine
Riassumere in poche pagine la complessa storia millenaria di un popolo senza commettere omissioni non è ovviamente possibile: ho cercato di dipingerne a grandi tratti la persecuzione turca, le atrocità subite, la diaspora (si stima che le comunità curde soltanto in Europa siano composte tra due e tre milioni di persone, più della metà delle quali si trova in Germania[107]), la mia personale indignazione per come questo popolo, che ha sempre difeso i valori dell’Occidente, sia stato trattato da quelli (noi) che dovrebbero essere i suoi naturali alleati.
Così come Israele si pone come obiettivo a lungo termine quello di cancellare il popolo palestinese, così la Turchia mira al genocidio dei curdi. Che sono soli, non li aiuta nessuno, e forse anche per questo sono così orgogliosi e così moderni[108]. Per intanto il governo di Ankara combatte ad ogni livello la parte di popolazione curda che risiede in Turchia, persino quella, affiliata alla HDP, che rifiuta la lotta armata e chiede l’integrazione dei curdi nella terra che li ospita. Il 21 giugno 2021 la Corte costituzionale ha messo sotto accusa la HDP di terrorismo, chiede la proibizione a svolgere attività politica a 451 membri del partito ed il congelamento dei suoi conti bancari[109]. Il processo è ancora in corso, ma possiamo aspettarci di tutto. Certo è che, in caso di esito sfavorevole per il partito, nessuno sa cosa potrebbe accadere: senza più nessuna rappresentanza pubblica, lo sterminio dei curdi della Turchia continuerebbe senza che nessuno, all’estero, riesca a percepirlo. Per ciò che vale, visto che abbiamo permesso a Erdoğan di commettere qualsiasi crimine impunemente.
Il presidente, che ha l’abitudine di torturare e uccidere i suoi carcerati[110], mostra l’arretratezza democratica della Turchia, nonostante le modifiche costituzionali introdotte negli anni 2000 nell’ambito del processo di adesione all’Unione Europea: la Costituzione turca sembra sempre più un contenitore di promesse disattese[111], ed il resto del mondo deve tenerne conto. Qui non si tratta solo della scomparsa di un popolo di tradizioni millenarie, senza nessuna colpa. Qui si tratta di accettare che qualcuno, in qualche parte del mondo, con il nostro consenso, uccida milioni di persone. La seconda guerra mondiale e l’Olocausto, evidentemente, non ci hanno insegnato nulla.
[1] GØTLAND, DOVE COMINCIA LA NUOVA GUERRA MONDIALE | IBI World Italia
[2] https://www.government.se/globalassets/government/dokument/forsvarsdepartementet/sweden_defence_policy_2016_to_2020
[3] https://euromaidanpress.com/2015/03/22/gotland-the-danzig-of-our-time/
[4] https://www.theguardian.com/world/2022/may/17/finland-parliament-approve-nato-sweden-turkey
[5] https://www.nato.int/cps/en/natohq/opinions_195472.htm
[6] https://it.euronews.com/2022/05/16/veto-di-erdogan-no-finlandia-svezia-nella-nato-non-hanno-posizioni-chiare-su-terrorismo
[7] https://it.euronews.com/my-europe/2022/05/20/l-adesione-di-finlandia-e-svezia-alla-nato-il-si-turco-come-merce-di-scambio
[8] https://www.ft.com/content/3d1ab5d0-19a6-41bd-83a4-7c7b9e2be141
[9] https://www.aljazeera.com/news/2017/7/15/turkeys-failed-coup-attempt-all-you-need-to-know
[10] https://www.aljazeera.com/news/2017/7/15/turkeys-failed-coup-attempt-all-you-need-to-know
[11] https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2022/6/pdf/220628-trilat-memo.pdf
[12] https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2022/6/pdf/220628-trilat-memo.pdf
[13] https://www.trtworld.com/turkey/t%C3%BCrkiye-s-memorandum-with-sweden-finland-paves-way-for-nordic-nato-entry-58387
[14] https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2022/6/pdf/220628-trilat-memo.pdf
[15] https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2022/6/pdf/220628-trilat-memo.pdf
[16] https://rm.coe.int/1680064587
[17] https://www.amnesty.org/en/location/europe-and-central-asia/turkey/report-turkey/
[18] https://medyanews.net/protests-in-stockholm-against-trilateral-memorandum/
[19] COSÌ LA TURCHIA TORTURA E UCCIDE GLI INTELLETTUALI | IBI World Italia
[20] QUANDO IL CRIMINE SI FA STATO: LA TURCHIA DI KAMER E ERDOĞAN | IBI World Italia ; GEZI PARK: IL SIMBOLO DELLA TURCHIA AL COLLASSO | IBI World Italia
[21] https://www.tag43.it/erdogan-sondaggi-elezioni-presidenziali-turchia-inflazione-russia-ucraina-infrastrutture/
[22] https://www.rudaw.net/english/world/300620221
[23] https://www.euronews.com/2022/07/28/us-ukraine-crisis-nato-turkey
[24] https://anfturkce.com/avrupa/stockholm-de-binlerce-kisi-nato-daki-kurt-pazarligi-ni-protesto-etti-172797
[25] https://hawarnews.com/en/haber/swedes-demonstrate-against-decisions-of-nato-agreement-on-kurds-h31713.html
[26] https://anfturkce.com/avrupa/stockholm-de-binlerce-kisi-nato-daki-kurt-pazarligi-ni-protesto-etti-172797
[27] https://www.macaubusiness.com/relief-and-concern-in-sweden-after-nato-deal-with-turkey/
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[29] https://www.macaubusiness.com/relief-and-concern-in-sweden-after-nato-deal-with-turkey/
[30] https://medyanews.net/swedish-fm-linde-denies-bowing-down-to-erdogan-amid-protests/
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[111] https://www.hrw.org/world-report/2022/country-chapters/turkey
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