Geopolitica

Siria, la soluzione politica è una farsa

12 Dicembre 2018

Sono passati quasi otto anni da quel fatidico 6 Marzo 2011, quando centinaia di migliaia di siriani per le strade di Daraa – e nei giorni successivi a Damasco e Aleppo – hanno cominciato a protestare contro il regime di Bashar al-Assad.

Oggi l’esercito lealista controlla il 60% circa della Siria, del quale il 43% riconquistato solo dopo l’intervento militare russo nel settembre 2015.
Le Forze Democratiche Siriane, non strettamente opposte ad al-Assad e affiancate da Stati Uniti, Francia e Inghilterra, controllano un altro 28% dei territori.
Tutte le altre sigle d’opposizione (jihadisti inclusi) detengono meno del 10% della Siria, mentre l’ISIS, asserragliato ovunque, circa l’1%.
Questa partizione territoriale è sostenuta da diversi accordi e cessate il fuoco, siglati dagli sponsor internazionali dei vari attori politici e militari locali.

La situazione corrente (12/12/2018) in Siria – Fonte: https://syriancivilwarmap.com/

Il dibattito internazionale sta quindi mutando: ai vari meeting e conferenze tra ufficiali e politici il conflitto siriano non è più affrontato da un punto di vista prettamente bellico, bensì l’obiettivo è divenuto porre formalmente fine alla guerra attraverso una soluzione politica.

Il dimissionario Staffan de Mistura, inviato speciale dell’ONU per la Siria, sta lavorando assiduamente alla formazione di un Comitato Costituzionale Siriano, il cui scopo sarà redigere una nuova costituzione legittimata sia dalle Nazioni Unite sia dal Trio di Astana (Russia, Turchia e Iran).
L’obiettivo di diversi paesi occidentali è, una volta ottenuta una nuova costituzione, chiamare il popolo siriano alle urne per esprimersi democraticamente su un nuovo leader.
Solo successivamente problematiche come quella dei rifugiati o la ricostruzione del paese verranno discusse dall’Occidente.

L’idea di un nuovo processo costituzionale nasce con la Risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ed è stata successivamente ripresa il gennaio scorso al Congresso del dialogo nazionale siriano, sponsorizzato dalla Russia e tenutosi a Sochi.
Dopo un iniziale scetticismo tutte le varie potenze coinvolte in Siria hanno deciso di supportare la piattaforma russa, tuttavia ognuna di loro punta a salvaguardare i propri esclusivi interessi.
Di conseguenza non vi è una comune intesa su quali attori siriani possano partecipare, in che proporzione le varie delegazioni vadano divise e soprattutto quali saranno i compiti di questo comitato.

Il Ministro degli Affari Esteri russo Lavrov alla Conferenza di Sochi – Fonte: MoFA russo.

Gli sherpa del regime di Damasco pretendono il diritto di nomina di più della metà dei delegati dell’intero comitato, riservando al resto degli attori in gioco una ristretta minoranza ciascuno.
Alla fine dell’ottobre scorso gli ufficiali di al-Assad hanno categoricamente rifiutato una proposta delle Nazioni Unite che contemplava la formazione di una lista di leader tribali, donne, esperti e indipendenti, interamente nominata dall’ONU.
La lista dei delegati governativi è già stata redatta e inviata a Staffan de Mistura e la maggior parte di essi sono membri del Parlamento siriano, facenti parte del Baath o cosiddetti “indipendenti”.

Dall’altro lato della barricata i delegati delle opposizioni siriane sono stati nominati dall’Alto Comitato di Negoziazione (HNC), di base a Riad, in Arabia Saudita.
Il comitato è composto da diversi partiti e formazioni militari opposte ad al-Assad e all’Esercito Arabo Siriano.

L’HNC gode però di scarsissimo sostegno popolare.
Nelle aree controllate dai ribelli è stato ultimamente oggetto di vive proteste da parte della società civile che lo accusa di essere un’organizzazione illegittima, incapace di implementare le politiche concordate con l’ONU e di essere in combutta coi nemici della rivoluzione.
Alcune personalità al suo interno sono infatti ritenute vicine alla Russia e al regime siriano.

Alcuni bambini nella regione ribelle di Idlib con un cartello che recita: “L’Alto Comitato di Negoziazione non ci rappresenta”.

Non hanno tutti i torti.
Diversi partiti in seno all’HNC condividono posizioni politiche controverse nei riguardi del Presidente al-Assad, il suo governo e la Russia.
Fra i partiti più controversi vi è, di base a Mosca, il “People’s Will Party” del curdo-siriano Qadri Jamil, ex Vice Ministro agli Affari Economici.
Il giornale di partito ha recentemente appoggiato la poi scongiurata offensiva militare lealista verso la provincia di Idlib, sostenendo che l’area fosse interamente controllata da “terroristi” e che i civili andassero “liberati”.
Addirittura in un precedente editoriale il partito di Jamil ha etichettato come mera propaganda le accuse occidentali riguardo l’utilizzo di armi chimiche da parte del regime.

Anche l’opposizione politica di base in Egitto è seriamente compromessa.
Il principale partito, “Syria’s Tomorrow Movement”, ha in passato mediato diversi cessate il fuoco e accordi di riconciliazione fra il regime e le forze d’opposizione, ed è sempre il benvenuto a Mosca.
Fra gli invitati al party di inaugurazione in Egitto vi erano diversi ufficiali governativi russi e siriani.

Questi due partiti, assieme alla opposizione di base a Damasco (accusata di essere un pupazzo nelle mani del regime), condivideranno una quota di delegati nel futuro Comitato Costituzionale Siriano, garantendo quindi alla Russia degli infiltrati nella rappresentanza d’opposizione.

Recentemente un nuovo scandalo ha colpito l’HNC: le dimissioni del suo Vice-Presidente Khalid al-Mahamid in ottobre, accusato di intrattenere rapporti sia con la Russia sia con gli Emirati Arabi Uniti.
Mahamid avrebbe mediato un accordo di riconciliazione a Daraa fra le forze governative e alcune milizie ribelli finanziate dagli emiratini.

Grande assente al tavolo costituzionale è la “Democratica Federazione della Siria settentrionale (DFNS)”, con il suo corpo amministrativo, la “Amministrazione Autonoma della Siria Nord-Orientale”, e la sua milizia militare, le “Forze Democratiche Siriane (SDF)”.
La DFNS si estende lungo la maggior parte della Siria nord-orientale, che ha liberato dal giogo dell’ISIS, e il cuore del suo apparato militare sono le “Unità di Protezione Popolare (YPG)”.
Le YPG assieme alla brigata “sorella” esclusivamente femminile, “Unità di Protezione delle Donne (YPJ)”, sono milizie curde affiliate al “Partito dell’Unione Democratica (PYD)”, anch’esso curdo.

Miliziane YPJ festeggiano la vittoria a Raqqa.

La Turchia ha imposto il veto a una delegazione di rappresentanti della DFNS a Ginevra poiché ritiene che le YPG/J, e nel complesso le SDF, non siano che delle semplici emanazioni siriane del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), da decenni in guerra contro la Turchia e in prima linea a difendere i diritti del popolo curdo.
Il PKK è stato ufficialmente designato come organizzazione terroristica dalla Turchia, dall’Unione Europea, dagli USA e dalla NATO.

La Turchia e gli Stati Uniti, quest’ultimi i principali sostenitori delle forze curdo-siriane, sono da tempo ai ferri corti in Siria, e riguardo le forze curdo-siriane si trovano ai lati opposti della barricata.
Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha recentemente affermato che le YPG “sono state un grande partner [nella lotta contro l’ISIS]” e ha affermato di essere al lavoro “per essere sicuro che abbiano un posto al tavolo [dei negoziati]”.

L’autore al riguardo ha contattato una fonte attendibile e informata dei fatti, la quale in condizione di anonimato ha rivelato che gli Stati Uniti sono al lavoro dietro le quinte.
Una delegazione americana, guidata dall’inviato USA in Siria James Jeffrey, ha visitato la regione il mese scorso e tenuto diversi meeting in più città e villaggi.
La fonte sostiene che gli statunitensi abbiano discusso con diverse personalità locali una eventuale lista di delegati da presentare a Ginevra.

I turchi hanno un’opinione diametralmente opposta e il Ministro degli Esteri Mevlüt Çavuşoğlu ha messo in chiaro che la Turchia mai permetterà una rappresentanza curda al Comitato Costituzionale Siriano.
L’assenza delle forze curdo-siriane, principali responsabili della disfatta dell’ISIS in Siria, invaliderebbe completamente qualsiasi soluzione politica.

Le problematiche finora discusse sono solamente la punta dell’iceberg.
Né la Russia né gli Stati Uniti, o chiunque altro, hanno realmente chiarito quale tipo di costituzione debba essere elaborata, se una completamente nuova o semplici emendamenti a quella già esistente, quanto tempo sarà necessario perché i lavori giungano a compimento e, in linea anche solo generale, che aspetto istituzionale avrà la Siria del futuro.

Sorge poi spontanea una domanda, ma il problema della Siria è la sua costituzione?
Quella attuale garantisce uno Stato democratico e pluralista, la libertà di espressione e la difesa dei diritti umani di ogni siriano.
Forse la comunità internazionale, più che concentrarsi sulla costituzione, dovrebbe rivolgere la propria attenzione a chi oggi governa in Siria e le sue relative responsabilità.

FABRIZIO CHEVRON

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.