Geopolitica
Siria 2017, la fine delle guerra lentamente si avvicina
In pochi se ne saranno accorti, ma in Siria sembra esservi sottotraccia un accordo non scritto fra l’obiettivo statunitense e quello russo, che in questo momento più che mai collimano.
L’obiettivo sempre più coordinato e chiaro è quello di terminare entro il 2017 l’esistenza del califfato.
Questo obiettivo comune non implica che Washington e Mosca condividano armi, strategie e intelligence, ma che sempre più le loro agende vadano ad intrecciarsi, fatti sul terreno alla mano.
Quello che è successo recentemente, ovvero un paio di settimane fa a Palmira è emblematico, infatti per la prima volta le truppe lealiste di Assad hanno avuto un supporto aereo diretto da parte americana e non soltanto quello russo. Anche per tale motivo Palmira è stata persa e riconquistata nel giro di soli due mesi.
Altro caso emblematico è quello che sta succedendo nel nord della Siria con i Curdi. I Russi, che hanno fatto in modo che i Curdi collaborino con Assad in funzione anti-integralisti, stanno iniziando ad avere anche “basi di addestramento” sul territorio controllato dalle forze curde. È giusto ricordare che i Curdi per anni sono stati e sono ancora alleati degli Americani nella lotta per la propria sopravvivenza nel Nord Iraq e Siria. Sebbene le frizioni tra le comunità curde incomincino a diventare forti tensioni interne tra gli stessi clan, con rischi futuri di lotte interne.
Questi due esempi sarebbero stati impossibili solamente pochi mesi fa, ovvero quando Trump non era ancora Presidente degli Stati Uniti d’America.
Guardando agli altri attori del conflitto siriano, dato che ormai la guerra in atto non è più da qualche anno una ribellione/rivoluzione interna alla Siria, possiamo notare che il ruolo dell’Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo – che per anni hanno foraggiato i ribelli con armi e denaro – va via via diminuendo, anche a causa di quanto accaduto nel mondo arabo negli anni successivi alle rivoluzioni del 2011 e al crollo del prezzo del greggio.
Il ruolo dell’Iran è a strascico rispetto al ruolo russo, fornendo certamente mezzi e truppe, come gli alleati Sciiti libanesi, ma rimanendo poco presenti nelle stanze dei bottoni.
Diventa invece molto interessante analizzare il ruolo della Turchia.
Fino alla fine del 2015 la Turchia ha foraggiato, armato e coccolato i ribelli facendo passare migliaia di guerriglieri da tutto il mondo islamico (“i cosiddetti foreign fighters”) e ha avuto dubbie relazioni con il califfato soprattutto per quanto riguarda la compravendita sottobanco di petrolio siriano e iracheno.
Dopo i primi contrasti con la Russia divenuti eclatanti con l’abbattimento dell’aereo di Mosca da parte turca, anche a seguito delle sanzioni economiche poste in essere dal Cremlino, Ankara è divenuta sempre più accomodante verso le esigenze russe. Anche in questo caso le agende non si sovrappongono completamente, ma non vogliono neppure confliggere come era successo poco più di un anno fa. Vi è stata infatti l’accettazione da parte russa alla creazione di una piccola enclave filo turca nel nord della Siria che tenesse separati i cantoni curdi, con il tacito accordo che mano a mano i rapporti tra Turchi e ribelli fossero meno dannosi per Assad e soprattutto che Ankara non confliggesse ulteriormente con Damasco nella lotta al califfato e ai rami siriani di Al Qaeda. Il fatto che Erdogan in questo momento sia più concentrato sugli eventi domestici, Referendum Costituzionale e sommosse curde in particolare, ha reso più semplice concludere gli accordi coi russi.
Pertanto è molto probabile che nel 2017 vedremo la sconfitta del califfato con la definizione di un assetto della Siria successivo alla guerra di questi anni, in cui è evidente, gli Europei non avranno voce in capitolo.
Nel contempo, e proprio e principalmente a causa di ciò, è probabile che gli attentati fuori dai confini siriani e in particolare in Occidente aumentino.
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