Geopolitica

Si scrive pace, si legge resa

29 Marzo 2022

Alessandro Orsini, docente universitario, nonché valido analista in ambito geopolitico, è stato recentemente oggetto di boicottaggio da parte di alcune forze partitiche sedicenti democratiche. Mobilitatesi, tramite esplicite pressioni, per mandare all’aria l’accordo economico stipulato dal contestato professore con il servizio pubblico. Colpevole, a detta dei boicottatori, di aver programmato una serie di ospitate televisive, “a spese degli italiani”, orientate a concedere sin troppo spazio a una linea di pensiero giudicata filo-Putin, quindi irricevibile.

Una vicenda da maccartismo a bassa intensità, si direbbe. Da grammatica del potere tirata a lucido. Con tutti i crismi. Perché Orsini non sarà Kissinger, per dirla con Magri. Sarà pure velatamente giustificazionista nei riguardi del “purificatore” Putin (per chi non sa distinguere tra analisi e giudizio o per chi ritiene che le esercitazioni Nato in Ucraina non possano motivare in alcun modo l’aggressione militare russa). Sarà convinto che il telespettatore medio accenda la TV solo per seguire le sue previsioni. Sarà persino troppo critico nei riguardi dell’operato statunitense in ambito internazionale (viva Dio!). Ma non per questo può essere escluso dal dibattito.

I suoi appelli alla complessità, come tutti gli appelli alla complessità finora registrati, conterranno anche la presunzione d’indecenza dell’interlocutore di turno, trasformantesi in semplicistico o sempliciotto guerrafondaio per il solo fatto di avere un’opinione discorde. Ma narcisismo e sdegnosità non appaiono condizioni sufficienti per veicolare la dipartita mediatica di un opinionista competente. Smontare l’Orsini-pensiero, infatti, è prassi che necessiterebbe di controargomentazioni e non di odiosi tentativi di censura.

Ad esempio, si potrebbe mettere in evidenza l’ombra indicibile proiettata dal pacifismo radicale di cui l’analista si fa portatore, ossia la condizione di possibilità non negoziabile di cui si compone la sua proposta strategica per una corretta risoluzione del conflitto tra Russia e Ucraina: sostenere astrattamente gli invasi abbandonandoli però all’ineluttabile disfatta sul piano pratico, con tutto ciò che un simile scenario comporta in sede negoziale.

Un’ombra indicibile che nel transito dal pacifismo radicale al pacifismo metafisico – così definibile in quanto del tutto privo di adattamento dinamico al contesto storico – contiene elementi addirittura più sbalorditivi. Tra i quali spicca per importanza la diminutio lessicale del resistente in corso d’opera, curioso concetto secondo cui chi resiste acquisisce lo status di resistente solo quando passa dalla cronaca alla storia, solo quando trapassa nelle ardue sentenze dei posteri, solo quando trapassa: diminutio lessicale che, viene da sé, vorrebbe tradursi in una diminutio politica, anzi, ontologica.

Gli ucraini la guerra la perderanno comunque, si ripete il metafisico della pace che ama commemorare i partigiani a cadenza regolare, quindi è giusto che la solidarietà scenda a patti con le bassissime quotazioni della disfatta dell’invaso, decidendo per un eroismo a tempo determinato che lasci la coscienza intonsa, decidendo per un sovradimensionamento delle contraddizioni interne al fronte degli aggrediti che miri a igienizzare la narrazione leggerina del conflitto, con torbidi battaglioni spacciati per manifesto perentorio di un’intera nazione che non vuole piegarsi.

Si rischia l’escalation, la terza guerra mondiale, tuona l’Orsini-pensiero, la Russia ha le armi tattiche nucleari e può usarle, aggiunge, seguito a ruota dai pacifisti intransigenti.
Pronti ad acconsentire, se la logica del ricatto atomico non inganna, alla cessioni di vari ed eventuali territori reclamabili in futuro da Kim Jong-un et similia. Pronti a ridacchiare, nel bel mezzo di sapienti ricostruzioni controfattuali, dell’infruttuosa strategia dell’appeasement made in Chamberlain che illo tempore permise al regime nazista di strappare pezzi d’Europa senza grosse pene.

Si è fatto poco per i negoziati, l’Orsini-pensiero rimprovera, ma è un dato incontrovertibile che con le sole pacche sulle spalle al posto delle armi non ci sarebbe mai potuto essere un solido fronte di resistenza e non si sarebbe mai potuta costruire la possibilità di negoziare una pace duratura accettabile da ambo le parti.

Quindi, a onor di chiarezza, di definitiva chiarezza sul tema, la guerra fa orrore a chiunque non abbia cinici interessi da proteggere. Fa orrore a Orsini, fa orrore a chi scrive, fa orrore agli ucraini che la stanno combattendo e ai molti soldati russi ammutinati o disertori. Ma quando è in atto bisogna prenderne atto, rispettando fino in fondo la posizione di chi, direttamente coinvolto, ripudia l’idea che l’Ucraina debba infeudarsi alla Russia, di chi vuole difendere legittimamente il proprio spazio politico con annessi limiti, di chi vuole difendere il proprio spazio vitale, la propria casa, la propria terra, e ragionare all’interno del quadro specifico, all’interno delle tante variabili psicologiche, culturali e sociali che, probabilmente, non amano piegarsi all’igienico candore da sistema chiuso del pensiero pacifondaio.

Ammonivano i latini, “se vuoi la pace, prepara la guerra”. Una massima tragica, fallibile, controintuitiva, ma, purtroppo, non necessariamente fallimentare, non sempre.

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