Circa il caso offerto dal vertice alla White House, il mainstream parla a pié sospinto, sui social, di bulli e bullizzati, scene da saloon e atteggiamenti da gangster. Vero, solo che sono aspetti reali di un raffronto politico ridotto alla sostanza e privato di ogni senso estetico, a cui è stato tolto il velo patinoso della circospezione. L’incontro tra il presidente degli Stati Uniti d’America e quello dell’Ucraina inaugura il nuovo format della politica estera che gli States adopereranno nei confronti dei loro servi e fantocci sparsi per il mondo. Avevano iniziato, in verità, con la nostra Giorgia Meloni, relegata ai margini, tra il pubblico cerimonioso, nel giorno dell’insediamento di Trump. Ma in tanti, anche gli osservatori più attenti e di fine pensiero, hanno fatto finta di non accorgersene per non dover affrontare il tema dello svilimento del peso politico italiano nei rapporti internazionali.
Che i conflitti di qualsiasi ordine vengano provocati da affaristi e irresponsabili è fuor di dubbio, ma è altrettanto vero che a parlarne e a scriverne ai livelli più visibili sono persone che prendono posizioni di parte e si spendono per interessi specifici. Diamo per scontato, non fosse altro perché lo dà a intendere in ogni sua manifestazione dello spirito, che Trump abbia confermato, in mondovisione, l’indole di un leader inelegante e arrogante, tanto più malsicuro in quanto rappresentante del potere più condizionante al mondo. Cosa potremmo dire, invece, di Zelensky? Ha mai mostrato, tangibilmente, la responsabilità del comando e delle conseguenze delle sue azioni? Risulta sbagliato chiedersi se sia stato mai attraversato dalla lotta interiore tra il desiderio di potere e la compassione umana che, almeno in teoria, dovrebbe tormentare il capo di una nazione e un popolo in guerra? A quanto pare, i tradimenti, gli intrighi e il populismo si intersecano, a compattarsi in una giustificazione formale che non ha niente a che vedere con l’etica di una “guerra giusta” tra Russia e Ucraina. E nessuna rappresentazione, men che meno fuori dal campo di battaglia, glorifica il momento dello scontro a fuoco, poiché tanti di noi hanno imparato a prefigurarne l’impatto distruttivo sulla psiche umana. La continua richiesta e l’esaltazione delle buone armi che consentono di sfidare il nemico lascia spazio, nella nostra memoria, allo strazio delle morti, ai resti umani da raccogliere per terra, all’aria irrespirabile rarefatta dagli agenti chimici, a segnare una dimensione funerea e nefasta della vita, dove viene meno finanche il senso della parola, per far posto al buio più totale.
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