Geopolitica

Rafah: la Dunkerque politica di Biden e la Guerra Cognitiva

10 Maggio 2024

La ridda di notizie che in queste ore si sono accavallate hanno messo in evidenza una sola cosa: comunque vadano a finire le cose, la carriera politica di Biden si può dire conclusa oggi nel peggiore dei modi e la sua riconferma alla Casa Bianca decreterebbe la totale perdita di credibilità degli Stati Uniti in campo internazionale, una perdita di credibilità che il ritorno di Trump non potrebbe che rendere ancora più gravosa sia per gli Stati Uniti che per quanti, tra i leaders occidentali, si sono a vario titolo resi disponibili a seguire l’establishment statunitense in questa avventura.

Due le notizie di agenzia di maggior rilievo, diffuse rispettivamente alle 17:49 e alle 17:59 del 9 Maggio 2024, che testualmente recitano:

1)    “Gli Stati Uniti propongono a Israele “metodi alternativi per sconfiggere Hamas” e le conversazioni “sono in corso”. Lo ha riferito il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, John Kirby, ribadendo la contrarietà di Washington a un’operazione militare su larga scala contro Rafah”

2)    “L’amministrazione Biden “condivide l’obiettivo di una durevole sconfitta di Hamas ma entrare a Rafah non lo garantisce”. Lo ha detto il portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby”

per quanto condivisibili possano apparire sono così di orientamento diametralmente opposto a quanto sin qui operativamente fatto proprio dall’amministrazione Biden da risultare palesemente il frutto di calcoli politici che traggono la loro ragion d’essere da esigenze che nulla hanno a che spartire con quelli degli Stati Uniti, di Israele, dei Palestinesi di Gaza, con gli ostaggi in mano alle milizie di Hamas (ammesso e non concesso a questo punto che siano ancora per lo più ancora vivi) e men che mai con la Pace in Medioriente dove, allo stato attuale, un soluzione diplomatica che porti alla nascita di due Stati risulta palesemente inattuabile per molteplici ragioni, a cominciare dalla presa in considerazione del fatto che la Striscia di Gaza risulta essere pressoché del tutto rasa letteralmente al suolo grazie –ed è qui che le affermazioni di Biden e di John Kirby appaiono alquanto risibili– alle massicce forniture di armi e munizioni di fabbricazione statunitense.

In questo senso, detto per inciso, il Presidente Zelensky farebbe bene a prendere atto della situazione che in alcun modo gli consente di ipotizzare per lui ed il suo Paese un diverso esito di un conflitto che ha già perso politicamente prima ancora che militarmente in quanto, e questo a mio avviso è il dato più preoccupante, il ritiro del più volte dichiarato sostegno incondizionato a Israele per effetto delle proteste popolari palesemente mediaticamente eteroguidate al punto di aver azzerato qualsivoglia logica presa in debita considerazione tanto dei fatti accaduti il 7 Ottobre 2023, quanto di cosa realmente siano le milizie armate palestinesi e di quale danno abbiano arrecato sia Hamas che l’Autoritá Palestinese ai Paesi che si sono disposti ad accoglierle (Giordania e Libano ne sono un evidente esempio), nonché alla stessa popolazione Palestinese che da decenni –esattamente come ora– è tenuta in ostaggio da personaggi che hanno fatto della propria presunta lotta in difesa del loro buon diritto ad esistere, così come di vedere la nascita di uno Stato Palestinese sovrano e riconosciuto a livello internazionale, la fonte principale della propria agiatezza.

Tanto per non parlare dell’aver gli Stati Uniti mostrato la propria profonda debolezza  –e per la verità non solo propria– dimostrandosi facilmente attaccabili dall’interno anche solo facendo leva sull’emotività delle persone stimolandone l’impegno mediante una efficace narrativa proposta e riproposta per mezzo di quegli strumenti di comunicazione che, qualora adottati ed adeguatamente professionalmente gestiti, ci permettono di parlare, come in questo caso, di una vera e propria Guerra Cognitiva.

Della cosiddetta Guerra Cognitiva non parla praticamente nessuno anche perché si tratta di una tematica relativamente recente che, stando a quanto riportato in un articolo pubblicato da Le Monde il 7 Giugno 1999 con il titolo “Les doux penseurs de la cyberguerre”, un chiaro riferimento a John Arquilla e David Ronfeldt, i due padri fondatori di questa nuova strategia militare, tutto avrebbe preso le mosse nel 1992  nel corso di una loro conversazione avvenuta nell’ufficio di David Ronfeldt alla Rand Corporation, un istituto di ricerca specializzato in questioni militari rimasto inattivo dopo la Guerra Fredda, ma all’epoca strettamente legato al Pentagono, alla CIA e all’establishment militare in generale.

Detto per inciso, dei due, ai più ignoti, personaggi or ora menzionati vale citare una frase emblematica la cui valenza appare quanto mai prima d’ora sottolineata e comprovata dai fatti: “Non sarà più chi ha la bomba più grande a prevalere nei conflitti di domani, ma chi racconta la storia migliore…”.
Storicamente il la alla conversazione di cui sopra lo avrebbe dato, aneddoticamente parlando, John Arquilla con un semplice quesito posto a Ronfeld circa le sue conoscenza sulla guerra informatica. In precedenza David Ronfeldt si era occupato dell’evoluzione delle società sotto l’influenza delle tecnologie dell’informazione, mentre John Arquilla, ex marine, rifletteva sui problemi della guerra dopo la caduta del Muro di Berlino, entrambi forti di un dottorato in scienze politiche conseguito all’Università di Stanford, nel cuore della Silicon Valley.

Di lì a sette anni l’idea chiave della loro visione strategica basata sul soft power –forte del suo mix di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in contrapposizione all’hard power, la Realpolitik, che privilegia la forza bruta, in altre parole una filosofia che privilegia la mente piuttosto che la materia, la conoscenza piuttosto che i computer e l’informazione piuttosto che le bombe– aveva fatto sì che i due producessero i libri, gli articoli e i rapporti che pretendevano di porre le basi per la “rivoluzione negli affari militari”, attirando l’attenzione del Pentagono, che da quel momento ha iniziato alacremente a lavorare alla guerra del futuro: una guerra  vista come un qualcosa che si veniva a trovare basata su di un pensiero sofisticato che comprende questioni tecnologiche, militari, sociali, etiche e filosofiche in quanto la nuova guerra, la guerra cognitiva, utilizza strategie psicologiche e informatiche volte a influenzare le percezioni, le credenze e i comportamenti delle persone così da influenzare anche i Governi.

Solitamente si ritiene, direi alquanto semplicisticamente, che uno degli aspetti chiave della Guerra Cognitiva sia la mera manipolazione dell’informazione per creare narrazioni che favoriscano gli interessi dell’attaccante, la diffusione di notizie false o distorte attraverso i social media o altri canali di comunicazione, e lo sfruttamento delle vulnerabilità cognitive umane, come la conferma delle proprie convinzioni pregresse (bias di conferma, dove con questa espressione in psicologia si fa riferimento a quel bias cognitivo umano per il quale le persone tendono a muoversi entro un ambito delimitato dalle loro convinzioni acquisite, tentando di ricondurre a tale ambito qualsiasi situazione si trovino a sperimentare)

Solitamente questa strategia presuppone l’uso di mezzi di comunicazione di massa, discorsi pubblici, articoli di opinione, e altri strumenti che cercano di plasmare la percezione pubblica su determinate tematiche mediante i quali gli attaccanti cercano di influenzare le opinioni e le emozioni delle persone per promuovere un’agenda specifica utilizzando gli opportuni canali per mezzo dei quali le informazioni vengono acquisite dai singoli.

Per una maggiore efficacia, per non parlare di una reale concreta efficacia, occorre però avere a disposizione non tanto i canali di diffusione più idonei allo scopo, ma anche le informazioni necessarie sulle caratteristiche dei gruppi di soggetti cui indirizzare i messaggi più idonei a sfruttare il naturale condiviso bias di conferma: un qualcosa che abbiamo visto può essere fatto solo da chi è nella condizione di acquisire i dati necessari ed effettuare le analisi degli stessi per tradurli in strumenti operativamente efficaci: sicché a questo punto sorge spontanea la domanda relativa a chi abbia reso possibile tutto questo visto che trattasi di cose che presuppongono conoscenze e mezzi non certamente alla portata di Hamas, ossia di quella struttura operativa che in tutto quanto accaduto ha assunto il solo ruolo ad essa possibile: quello della bassa manovalanza e fa riguardare l’attacco del 7 Ottobre 2023 come la molla che ha fatto scattare la trappola in cui, a quanto pare, sono caduti Netanyahu, il suo Governo, gli Stati Uniti nonché gli alleati di questi ultimi.

Nello specifico la Guerra Cognitiva ha vasti ambiti di utilizzo ed  dei casi in cui ha mostrato più che ampiamente i propri effetti li abbiamo registrati nella cosiddetta Primavera Araba, nel caso della Brexit (che ha visto il fattivo coinvolgimento di Cambridge Analytica) e nel caso delle rivolte dei Gilet Gialli che non poco imbarazzo hanno creato alla Francia allorché la stessa si è fatta promotrice di un eccessivo europeismo poco gradito al di fuori dei confini del Vecchio Continente.

Se la cosiddetta disinformazione, ovverosia la deliberata diffusione di notizie false o alterate al fine di confondere, destabilizzare o influenzare l’opinione pubblica occupa un posto di rilievo nel panorama attuale, non di minore importanza risultano essere le operazioni psicologiche in quanto queste mirano a influenzare le percezioni, le emozioni e i comportamenti delle persone attraverso una serie di strategie psicologiche come la diffusione di messaggi persuasivi, la manipolazione delle emozioni, la creazione di divisioni all’interno di gruppi o comunità e la costruzione di un senso di identità collettiva o di appartenenza che adeguatamente sfruttate possono essere un valido strumento di promozione delle cosiddette Proxy Wars.

Le tecnologie digitali hanno amplificato notevolmente l’efficacia della guerra cognitiva per due ragioni principali delle quali:

1)    l’una fa riferimento all’uso di algoritmi e piattaforme di social media per mezzo dei quali gli attaccanti possono prendere di mira con estrema precisione perfino i singoli individui con messaggi progettati per influenzare le loro opinioni nonché i loro comportamenti
2)    e l’altra fa riferimento alla velocità e quindi alla portata della diffusione dell’informazione online che rendono più facile per gli attaccanti diffondere rapidamente la propaganda e la disinformazione su scala globale.

Tra le altre tecniche utilizzate nella guerra cognitiva occupano un posto di sicuro interesse quelle che includono la manipolazione delle percezioni visive attraverso l’uso di immagini e video manipolati digitalmente, l’uso di influenzatori e troll per diffondere messaggi specifici, e l’attuazione di operazioni di infiltrazione per influenzare organizzazioni, gruppi o istituzioni dall’interno, per non parlare degli effetti della proposizione acritica di immagini che creano disagio in chi le guarda e stimola la stigmatizzazione di coloro che quelle situazioni hanno generato.

A questo punto credo sia doveroso invitare a prestare attenzione e a non sottovalutare quello che stiamo vedendo anche in questi giorni nelle nostre piazze: il più grosso errore che si possa commettere è pensare che tutto avvenga spontaneamente. .

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