Clima
Quanto è noiosa la fine del mondo
Ci siamo, ma non è spettacolare.
Le trombette dei telegiornali hanno sostituito quelle del giudizio e apocalissi quotidiane vengono salmodiate come inevitabili bollettini di una guerra perduta. Questa è la condizione in cui viene comunicata l’ecatombe australiana come la notizia dell’ennesima specie estinta o del ghiacciaio che perenne non sarà più.
Nella desolazione dell’impotenza c’è da chiedersi anzitutto perché non risulti efficace la diffusione dell’emergenza e come mai questa apparente condivisione faccia scivolare la testimonianza in noncuranza per rendere tutto fiction.
Mezzo secolo di telegiornali sono volati sopra le nostre minestre eppure sembrano solo aver spianato la strada a quella spettacolarizzazione della realtà che il web e soprattutto la sua deriva social hanno sancito.
Passando dal koala ustionato al buffone che ne fa la parodia, e sovvertendo la tipica scansione dei notiziari in cui si iniziava con gli allarmismi per chiudersi su tette e ricette, il popolo dello smart-web colleziona notizie come brandelli che cuce addosso a una coscienza che non prende nessuna forma.
C’è da pensare che se il Manifesto del Partito Comunista venisse pubblicato oggi, al massimo diventerebbe una serie Netflix.
Per sciogliere questo nodo basta rivolgersi a chi si è avventurato sugli insidiosi confini che separano o forse separavano l’informazione dall’intrattenimento: David Foster Wallace; che nel suo Infinte Jest non fa altro che raccontare la società dello scherzo e oggi probabilmente del meme per l’appunto infinito.
Dando alle stampe nel 1996, agli albori di internet, Infinite Jest, l’ultimo romanzo possibile, Wallace è riuscito a ricostruire con le parole un mondo che delle parole si stava liberando, ma soprattutto ha sciolto il nodo dal quale forse non è riuscito a salvarsi per salvare noi.
Salvarci da cosa ?
Dal rischio di restare invischiati nella dialettica forsennata tra la realtà e la sua smart-izzazione. Da quell’ironia che prima fluidifica e poi corrode, da questa insensata e perenne oscillazione tra fare una cosa e fare una stories.
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