Geopolitica
Quanto è difficile (e redditizio!) lavorare con la Cina post-Covid
Ora che è stato chiarito oltre ogni ragionevole dubbio che l’interdipendenza economica tra Cina e resto del mondo non può che continuare, come si stanno rendendo conto pian piano anche gli americani, e si è anche capito che la Cina sta di fatto rispettando (come altri paesi asiatici) le sanzioni adottate dall’Occidente verso la Russia, forse possiamo tornare ad occuparci di problemi concreti nei rapporti tra l’Italia e la seconda economia al mondo. Partendo da quelli che toccano le aziende italiane e cinesi.
Cominciamo dal problema dei viaggi: nonostante l’apertura sui visti e l’allentamento delle misure di quarantena, il viaggiatore d’affari italiano è ancora sottoposto, come tutti quelli che arrivano in Cina, ad un periodo forzato di isolamento di sette giorni in una struttura che non può scegliere e altri tre presso la sua residenza. Non solo: il suo volo rischia di essere cancellato con poco preavviso se sul volo di linea precedente sono stati trovati dei casi positivi al Covid, e magari il successivo diventa disponibile solo dopo tre settimane. Infine, nel caso risulti positivo mentre si trova in isolamento o durante uno dei test obbligatori, il viaggiatore dovrà trascorrere settimane presso strutture ospedaliere che di nuovo non può scegliere.
Questa situazione ha inciso profondamente soprattutto sulle aziende italiane molte delle quali non hanno una struttura solida in Cina, rendendo difficile anche la ricerca di personale disposto a viaggiare verso il paese per brevi periodi. Il tormento dei voli colpisce ovviamente anche imprenditori cinesi che viaggiano verso il nostro paese, perché ad oggi esistono ancora collegamenti diretti molto limitati con l’Italia, meno di 1/5 del periodo pre-Covid.
Passiamo poi alle difficoltà di chi già opera in Cina e soprattutto degli investitori diretti. Su questo, si può dire che la Cina abbia fatto passi avanti nell’apertura di settori all’investimento estero negli ultimi due anni, riducendo la “negative list”progressivamente. Dall’altro lato però, come segnalato da unsondaggio della EU China Chamber of Commerce tra le aziende europee pubblicato a marzo, le barriere regolamentari ed operative ancora esistono e risultano essere più ardue, di fatto, per le aziende straniere. Un tema questo che l’accordo sugli investimenti tra UE e Cina siglato in linea di principio nel dicembre 2020 e mai ratificato dal Parlamento Europeo cercava di risolvere. Forse da questo bisognerebbe ripartire prima o poi e l’Italia senz’altro deve spingere in tal senso, in quanto si tratta di problemi comuni a tutte le aziende europee specie di medie dimensioni: l’unione fa la forza.
A questo si aggiunge che la ricerca di personale espatriato, essenziale specie in face di avviamento delle operazioni, è diventata più ardua non solo a causa della politica zero covid ma anche perché alcuni benefici fiscali che erano però importanti soprattutto per chi portava la famiglia con sé, sono in fase di smantellamento. Metà degli intervistati infine lamenta anche una progressiva “politicizzazione” dell’ambiente degli affari nel paese che non tocca solo le aziende straniere ma anche quelle locali.
Nonostante ciò, 2/3 delle aziende europee che hanno partecipato al sondaggio summenzionato hanno però visto i loro ricavi aumentare in Cina nel 2021. Resta da vedere come andrà il 2022 data la congiuntura economica non favorevole, che le tensioni sullo Stretto di Taiwan rendono più complessa.
Più difficile avere il polso delle aziende cinesi che operano in Italia ed in Europa in generale. L’ultimo rapporto della Camera di Commercio Cinese in Unione Europea indicava però tra le difficoltà generali la stessa “politicizzazione” sentita da alcune aziende straniere in Cina. E chi più di noi in Italia sa di cosa si parla, visti i cinque veti consecutivi ad operazioni di acquisizioni cinesi in meno di due anni. Su questo punto, è forse venuto il momento di chiarire alle nostre controparti in quali settori l’apporto che le aziende cinesi possono dare in termini di capitali, esperienze ed accesso a mercati diversi è benvenuto. Magari dando un’occhiata alla sussistenza del requisito della reciprocità e tenendo a mente che la “negative list” cinese (settori in cui l’investimento straniero è proibito o limitato a quote di minoranza) si applica a tutti gli investitori stranieri indistintamente, non solo quelli di un particolare paese.
Mi sembra che l’agenda di temi sia fitta, anche se è difficile capire se il prossimo governo italiano avrà il tempo o il desiderio di occuparsene
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