Geopolitica

quale futuro per l’UE: Lacerata o diversificata?

18 Giugno 2018

Se è corretto considerare la questione migrazione come primaria, oltre che globale, appare improvvido privare il dibattito di un approfondimento circa le diversità di comportamento degli Stati membri. Isolare il problema dal contesto globale non aiuta a capire la dimensione del fenomeno Europa di oggi.

La mancanza di una politica unitaria dell’UE, tanto invocata quanto rimandata, pone come questione urgente il futuro stesso dell’Unione che potrebbe trovare sulla questione migranti lo scoglio finale su cui infrangersi. E dunque si pone la necessità di un’alternativa alla stessa organizzazione europea.

Sono numerose- gli analisti ne contano fino a 40- le situazioni politiche locali a spinta centrifuga, con una diversità di accenti e di forza che va dalla pulsione autonomistico- amministrativa alla forma di indipendenza collaborativa fino anche alla secessione ribelle e dimostrativa. https://www.glistatigenerali.com/enti-locali_politiche-comunitarie/autonomia-indipendenza-secessione-liberta-o-mito/. Per ciascuna di queste tre varianti politico-amministrativo ci sono esempi rappresentati in tutto il Continente.

La tesi è la seguente: può essere utile capire e motivare le spinte autonomistiche prima che il populismo indifferenziato si sparga per l’Europa intera? 

In questo biennio abbiamo celebrato il 70° anno dell’Autonomia a Statuto Speciale di Sicilia prima e Sardegna dopo, che con Friuli, Val d’Aosta e Trentino-Alto Adige, formano il quintetto autonomista. La genesi per ciascuna regione è stata diversa: su base linguistica, per motivazioni fiscali etc.

Già il privilegio di trattenere le imposte viene considerato arrogante da parte delle Regioni non speciali. Peraltro detto privilegio non è uguale tra le cinque: la Sicilia trattiene il totale delle imposte, Valle d’Aosta e Trentino i nove decimi, la Sardegna i sette decimi, il Friuli i sei decimi. In soldoni, per la sola Sicilia, l’Irpef vale più di 5 miliardi, mentre per la Sardegna è pari a 2,8 miliardi. Le diversità, dunque, persistono e si accentuano le spinte a modificare in senso più regionale il potere fiscale. Gli esempi recenti nascono da Lombardia e Veneto a trazione leghista, che vorrebbero autonomia totale e non differenziata. Tra non molto sentiremo parlare di Zona Franca per la aree distanti e se si verificherà in Sardegna bisognerà rifondere tassazioni già pagate. E in Europa esistono ben 8 “regioni ultraperiferiche ”(RUP), territori geograficamente distanti dal continente europeo, ma che sono parte integrante degli stati membri ai quali appartengono.

Il nostro è un percorso Costituzionale largamente incompiuto, lo dimostra che non si sia data piena attuazione alle Regioni, tanto che il Titolo V della Costituzione, che è certo da rivitalizzare, è spesso oggetto di tentativi di modifica. Risultato: conflitti di competenze su tematiche vitali per il Paese come Sanità, Istruzione e Trasporti, ossia alcuni dei servizi pubblici essenziali.

Negli altri paesi le cose non vanno meglio. La Catalogna è al centro dell’attenzione europea per la sua spinta secessionistica. In vero oggi, la motivazione è esclusivamente economica. Se da un lato vanta un’identità culturale e linguistica, francamente autonoma dalla Castiglia madrilena, gode di un PIL che la porrebbe in condizioni di franco vantaggio autonomo. Inoltre ha contratto con le aree del Mediterraneo occidentale, Sardegna compresa, una fitta rete di connessioni turistiche e di scambi commerciali che la pongono in una condizione di piena autonomia. Certo non da oggi ma dal XV secolo, fa parte integrante della Spagna e solo nel 1931 ha potuto godere della Generalitat, una primordiale forma autonomistica che poi venne massacrata dall’avvento della dittatura fascista, vincente sulla rivoluzione civile spagnola. Solo a far tempo dalla Costituzione democratica del 1978 è stata concessa autonomia, che poi ha trasformato di piena diversità. Basta recarsi a Barcellona per verificare la differenza dalla lingua spagnola quanto l’indifferenza nei confronti dei cugini madrileni.

Quello che rende davvero autonoma la Catalogna, è un PIL pari al 20% dell’intero prodotto spagnolo, con una popolazione pari al 16%. Il PIL si conta numericamente ma si pesa anche con la qualità dello sviluppo industriale. Fabbriche come Nissan e SEAT e ben 7 mila multinazionali insediate sono più di fiori all’occhiello. Turismo all’avanguardia con due aeroporti internazionali, Barcellona e Gerona, il gran Premio di F1 sul circuito di Mont Melos, completano il quadro.

Era in errore l’ex ministro dell’Economia spagnolo Luis de Guindos, dal marzo 2018 Vicepresidente della BCE, secondo il quale la secessione avrebbe potuto determinare un crollo del 25-30% dell’economia, per mancanza di sostegno europeo. Va precisato che queste parole furono affermate in tempo non sospetto di ventata populistica vincente come quella attuale. Finora il Governo centrale ha mostrato polso durissimo. Nel 2010 il Tribunale Costituzionale spagnolo ha annullato alcuni tratti dell’Autonomia e, nel 2012, il governo di Madrid ha respinto la richiesta di maggiore autonomia fiscale. Poi la contesa politica è esplosa nel 2016/17 con l’affare Puigdemont.

A ovest nella Spagna dei Pirenei Atlantici, il territorio basco non ha minori pulsioni autonomistiche. Sin dal 1978, i Paesi Baschi hanno goduto di ampia autonomia amministrativa con lo Statuto di Guernica del 1979. La polizia e le finanze pubbliche sono gestite a livello regionale senza alcun intervento da parte del governo spagnolo. Il Partito nazionalista Basco e quello Socialista Operaio, si alternano alla guida della Regione ma non hanno prerogative sul Governo della Comunità Autonoma della Navarra. Tuttavia spinte centrifughe di notevole portata.

Se rivolgiamo lo sguardo nel Nord Europa, troviamo la Brexit e in seno ad essa la Scottexit. La spinta autonomista degli scozzesi non ha la genesi religiosa o pseudo-tale dell’Irlanda di Belfast ma poggia su solide basi economiche né il piglio della premier Surgeon è da meno di quello della Theresa May. Sturgeon, leader indipendentista dell’Snp, vorrebbe sottoporre agli elettori entro due anni un referendum bis sull’indipendenza,  prima che il percorso della Brexit sia completato. Il voto, secondo la Primo Ministro scozzese, sarebbe da convocare tra l’autunno 2018 e la primavera 2019. Cosa gioca a favore della Sturgeon? Il Brent che potrebbe riversarsi in maggior copia sulle coste scozzesi intercettando una quota parte destinata a Londra.

Ed infine la Baviera. Dopo anni di pacifica convivenza, come quella inaugurata da Strauss ed Adenauer, i Cristiano-Sociali bavaresi  (CSU) accendono le micce sulla questione migranti.

E’ Horst Seehofer che ha scatenato il conflitto mettendo il precario Governo di Grosse Koalition in difficoltà. Una spinta simil-xenofoba che nasconde in realtà pulsioni fortemente autonomistiche. Certo gioca anche la necessità di arginare a destra l’AFD ma è da tempo che la Baviera, forte della sua Industria, cerca di spiccare il volo. Il pretesto dei circa 890.000 migranti, arrivati in Germania in gran parte incontrollati, appare un’ottima motivazione.

Non va meglio in Belgio. Il più antico movimento indipendentista è il Movimento fiammingo che già nel 1870 vedeva intellettuali, scrittori come Conscience, Rodenbach e Gezelle protestare contro la francesizzazione delle Fiandre. Non fu dunque solo un problema linguistico ma di valenza politica pro o contro la Francia. Anche il nazismo contribuì a creare divisioni politiche in Belgio. Alla fine della guerra furono fatti i conti con i fiamminghi collaborazionisti ma questo non li demotivò nella ricerca indipendentistica.

Adesso questa esploderà anche il Belgio? In questo contesto tutto è possibile

Da tempo immemore, Valloni Francofoni e Fiamminghi si contendono il passo. I fiamminghi godono di ben due partiti a favore dell’indipendenza della Fiandre, Alleanza neo fiamminga (Nieuw-Vlaamse Alliantie) e Interesse fiammingo (Vlaams Belang) ben rappresentati entrambi nel Parlamento federale belga. Tutti questi partiti fanno parte dell’area di centro destra, anche se le posizioni di Interesse fiammingo sono più spostati all’estrema destra, simil-populisti, con maggior vigore reattivo dopo i recenti attentati che hanno colpito il Belgio. Blocco dell’immigrazione e ripulizia dei quartieri-base del terrorismo che ha colpito Bruxelles e il Paese sono lo schema d’attacco all’establishment.

Queste le posizioni autonomistiche-indipendentistiche più eclatanti di un’Europa che non trova pace e che su due motivazioni tende a spaccarsi sempre di più. La Questione Migranti e la Questione Energetica di cui più volte in questa sede si è richiamata l’attenzione.

La sottovalutazione sarebbe esiziale perché aumenterebbe la spinta populista. Che comunque va tenuta nella massima considerazione perché in totale di queste situazioni loco-regionali se possono annoverare ben 40 in tutto il Continente. Senza considerare Visegrad, e le Nazioni del suo patto (Polonia, Paesi Baltici, Ungheria, Romania, Montenegro e Croazia) che del passato ex-sovietico conservano la spinta decisionista al limite dell’autoritarismo alla Putin, al quale peraltro sono tutti avversi.

In prossimità delle revisione del Bilancio Comunitario e delle Elezioni Europee che redistribuiranno i 72 seggi britannici, varrebbe la pena di dedicarsi meno a fenomeni pur gravissimi come Acquarius e ripensare in termini propositivi come ristrutturare un Continente che necessita di una guida comunitaria capace di governare queste tendenze prima che il “populismo” dominante provveda a lacerare piuttosto che a diversificare.

 

Biblio

Flaminio de Castelmur. Le Regioni a statuto speciale non hanno più senso. Blog Fatto Quotidiano, 2 aprile 2017

Fraquelli V. Fiandre, la lunga lotta dei fiamminghi per l’indipendenza dai valloni. Report Difesa, 9.10.2017

Graglia P. Un’Unione centrifuga. ISPI 9 maggio 2016

 

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