Geopolitica
Putin è un aggressore, ma l’Ucraina non ha tutte le ragioni
ART. 11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali
Questa necessaria premessa ci obbliga a rifiutare l’ipotesi di tollerare e condonare un intervento militare russo in Ucraina. Mi sembra comunque opportuno ricordare subito un altro articolo, tra quelli che la nostra Costituzione indica come Principi Fondamentali
ART. 6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
La situazione in Ucraina ci provoca choc perché ci precipita indietro in un tempo che credevamo finito per sempre, quando si concordava con Clausewitz che “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, quindi un mezzo come un altro per raggiungere i propri obiettivi, come sembra ritenere il bellicoso Presidente russo Vladimir Putin.
La sua Russia è uno Stato autoritario, che dunque non condivide DNA con le democrazie che più o meno bene governano il resto dell’Europa, tranne la Bielorussia del suo vassallo Lukashenko. Nell’ormai lontano 1985 Sting cantava “I hope the Russians love their children too”, ma nel regime autocratico di Putin l’opinione del popolo non conta e Vladimir non sottoscrive l’art. 11 della nostra Costituzione. Tuttavia non mi sembra che l’Ucraina sia esente da colpe, perché non rispetta il nostro art. 6, che non è “cosa nostra”, ma una regola necessaria ovunque, come l’art. 11, se si vogliono mantenere la concordia internazionale e la pace, nel caso di Kyiv anche la sovranità e l’indipendenza effettiva.
Pur essendo uno Stato il cui capo è stato scelto tramite elezioni credibili, non come quelle che vince Putin, l’Ucraina è percorsa da un virulento nazionalismo e non ha affrontato le questioni etniche al proprio interno con lo stesso spirito dei nostri Padri Costituenti, costretti a constatare sia i disastri provocati dal regime fascista nelle regioni di confine che il dramma delle popolazoni italofone della Venezia Giulia, dell’Istria e di Zara costrette all’esilio.
La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha tolto agli Europei occidentali il fiato dell’Armata Rossa sul collo, agli Europei orientali la sottomissione al tallone di Mosca, quindi è naturale che riteniamo tutti che tanto più sono lontane le armi del Cremlino, tanto meglio è per noi, perché la Russia, contrariamente a Estonia, Lettonia, Lituania, Germania Orientale, Cechia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Moldavia non ha nemmeno provato a cambiare e diventare un Paese democratico, non militarista È naturale che proviamo simpatia per l’Ucraina perché anche se molto, molto imperfetta è comunque una democrazia e perché ci fa comodo, tenendo i tank russi più lontani da noi. A inquietarci è la sgradevole novità che potrebbero ritornarci vicini, più che le questioni di principio sul mantenimento di un sistema democratico a Kyiv, che probabilmente ci tocca quanto ci toccava a Kabul. Qualche settimana di blabla sui “diritti” nei media e poi si cambierebbe argomento.
La fine dell’Unione Sovietica ha lasciato fra Russia e Ucraina strascichi simili a quelli della fine dell’Impero Britannico nel subcontinente indiano, dove India e Pakistan si fronteggiano da più di settant’anni armati fino ai denti, a Cipro e altrove, con l’aggravante della sproporzione della forza fra i due contendenti.
Certo valgono tutte le belle analisi geostrategiche che leggiamo, ma è innegabile che la politica di derussificazione dell’Ucraina sia stata sia oppressiva all’interno sia folle per le conseguenze nel rapporto con lo strapotente vicino. Europa e America, che oggi si spaventano davanti allo spettro della guerra, hanno guardato imprudentemente altrove e lasciato fare a Kyiv quello che voleva.
L’Ucraina non si è molto sforzata di diventare uno Stato plurietnico, ma ha voluto costruire la sua identità in antitesi con la Russia. Paesi che consideriamo molto avanzati come il Canada e il Belgio ci insegnano che è molto difficile costringere due etnie a convivere pacificamente, in Ucraina sarebbe stato ancora più difficile, ma ignorare totalmente l’orso russo, se si è piccoli, può far molto male. Forse a Kyiv veramente qualcuno ha pensato che bastasse aderire alla NATO per averla dalla propria parte nella lotta contro la popolazione russofona e inevitabilmente poi contro la Russia.
L’accordo di Monaco con Hitler non servì a salvare la pace in Europa e non deve essere la NATO a svendere l’Ucraina alle voglie di Putin, tuttavia i Paesi occidentali dovrebbero, meglio ancora avrebbero già dovuto costringere il governo di Kyiv a una politica più equa nei confronti della popolazione russofona, esattamente come ha fatto nel dopoguerra l’Italia con le minoranze linguistiche di Val d’Aosta, Alto Adige e Venezia Giulia.
Non sappiamo che cosa succederà nell’immediato futuro, ma salvo che non si arrivi a una “piccola Ucraina” a cui non apparterrebbero più le zone dove i Russi sono la maggioranza o una consistente minoranza, sappiamo che Kyiv dovrà abbandonare la derussificazione dell’Ucraina, per evitare che la crisi si trascini per decenni, anche quando Putin sarà solo un lontano ricordo.
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