Geopolitica
Prima ammettiamo che non vogliamo la guerra in casa, poi parliamo di tutto
A leggere i giornaloni e a seguire i dibattiti sui social network, a fidarsi solo di quel che si apprende lì, si potrebbe credere che l’Italia è popolata da una maggioranza – o almeno da una minoranza molto rilevante e influente – di amici di Putin che sostengono l’invasione e credono alle fandonie della propaganda russa. Sono giorni infatti in cui l’onda di denuncia indignata è sempre più alta, mentre si fa sempre più parsimoniosa la distribuzione di patenti che attestino la sana e robusta affiliazione democratica nonchè la limpidezza del sentimento anti-invasione di ciascuno. Prima, per essere accusati di filoputinismo serviva almeno applaudire agli argomenti di chi – colpevolmente invitato tutti i giorni in tv – sosteneva come sincera l’intenzione putiniana di “denazificare” Kiev e sobborghi. Col passare dei giorni basta meno, molto meno. Basta, ad esempio, avere dei dubbi sulla lungimiranza ed efficacia – calma, ho detto “dubbi”, non “certezze” – della strategia fondata sulla fornitura di armi all’Ucraina invasa, per essere accomunati a negazionisti e giustificazionisti.
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C’è in giro – tra gli opinionisti di punta come tra le voci che twittano con costanza e seguito; tra gli analisti della domenica come tra parlamentari cui un po’ di continenza in più sarebbe richiesta – un misto di buona coscienza ed emotività a costo zero che ormai sembrano precludere di ragionare politicamente di una questione che era, resta e sarà – comunque vada – una questione eminentemente politica. Perchè una volta che si siano ribadite, ancora una volta, i torti (dell’invasore russo) e le ragioni (dell’invaso ucraino) che dall’inizio di questa guerra non possono non essere chiare e riconosciute, alla politica sarà necessario tornare. Vale ovviamente – ed è la cosa più importante – per chi può e deve decidere. Ma vale anche – e non è irrilevante – per i cittadini, lettori/elettori, e per le èlite culturali che avrebbero il compito di orientare il dibattito in maniera sensata.
E quindi, non può non essere legittimo chiedersi se sostenere con l’invio di armi la resistenza ucraina sia una idea buona, solida e lungimirante, oppure no. Non può ovviamente bastare l’argomento – sacrosanto – per il quale la resistenza ucraina è legittima da ogni punto di vista, e che anzi attira il nostro pieno sostegno giuridico, razionale, emotivo ed empatico. Perché – è la storia della politica mondiale che ce lo ricorda, e il nostro presente di umani ogni giorno fa altrettanto – passiamo la vita di cittadini ed esseri senzienti a sostenere con l’emozione e la razionalità molte cause, decidendo però in maniera successiva quanto farlo attivamente, e come farlo. È chiaro, questo uso del bisturi ci sembra particolarmente urticante ed emotivamente intollerabile di fronte alle immagine e alle notizie che arrivano dall’Ucraina, eppure è esattamente quello che stiamo facendo anche stavolta. Anzi, potremmo dire, più che mai stavolta.
Già, perché a parte qualche avanguardista che senza troppo curarsi delle conseguenze può invocare una “no fly zone” perchè questa è la richiesta del presidente Zelensky, tutti i leader dell’occidente pur condannando e sanzionando duramente la Russia di Putin, hanno esattamente fatto questo. Cioè, hanno scelto quali strumenti attivare, e quali no. Hanno fatto una valutazione politica concreta, con due obiettivi non subordinati tra loro: cercare di fermare l’invasione di Putin, da un lato, ed evitare un conflitto mondiale, dall’altro. Ed è per questo che, finora, una “no fly zone” non è stata nemmeno valutata da chi potrebbe proclamarla. Perché la sua violazione da parte russa obblighere o ad attaccare l’aviazione di Putin con conseguenze incalcolabili, o a perdere la faccia. Quindi, esattamente come si è deciso che l’occidente non vuole o non può permettersi le conseguenze di un intervento militare diretto, è sicuramente legittimo interrogarsi sull’utilità e le conseguenze del supporto alle milizie ucraine. Sul punto, personalmente, non ho una risposta precisa, perché non sono un esperto di strategia militare nè tantomeno conosco le dinamiche di quella guerra. Ma vedo che tra colleghi politici e semplici cittadini moltissimi hanno grandi competenze. Sono, spesso, le stesse persone che insultavano i virologi della domenica, fino a pochi mesi, ma probabilmente la contraddizione tra i due atteggiamenti non risulta lampante come dovrebbe.
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Resta, e non è cosa di poco conto, la questione della giustizia di una posizione, a prescindere dalla sua sostenibilità in concreto. Si può dichiarare un sostegno totale, puramente ideale, e svincolato dalle sue conseguenze, alla giusta causa del popolo ucraino. Si può volere che il supporto alla loro resistenza sia ancora più pieno, e contempli perfino l’ipotersi di una guerra che diventi anche la nostra, che entri nelle nostre vite non solo sotto forma di inflazione galoppante. Si può insomma ammettere di volere una guerra europea vera, in nome di un torto subito e che non può in alcun modo essere accettato. Costi quel che costi. È una posizione che ha una sua dignità, e che meriterebbe – questa sì – di essere dibattuta. Attendiamo, a questo punto, intellettuali e politici che la sottoscrivano per poterne parlare. Nel frattempo, per favore, risparmiateci l’indignazione a comando e l’offesa di considerare putiniano chiunque ha un dubbio. O, quantomeno, non prendetevi troppo sul serio. In questa storia quel che diciamo sui giornali e su twitter conta perfino meno del solito. Per fortuna.
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