Geopolitica

Paura e “complessità”: gli italiani di fronte all’invasione dell’Ucraina

8 Marzo 2022

All’ennesimo giorno di guerra, come intonato dai titoli dei telegiornali, gli italiani hanno risposto all’indagine continuativa ‘LA MISURA DELLE COSE’ restituendo le molte sfumature del sentimento del presente.

L’alta preoccupazione diffusa si combina al tentativo delle persone di comprendere quello che sta accadendo, con la ricerca di informazioni ad ampio spettro e su diversi canali, come già avvenuto nel corso della pandemia. Se ne parla in casa, tra amici, al lavoro, sullo sfondo di uno stream costante e di un media mix personalizzato.

Come già accaduto, all’aumento quantitativo dell’offerta di informazione non corrisponde la soddisfazione. Al contrario si percepisce una distorsione che rende difficile colmare questobisogno. Proprio quando più si ricerca l’unione, più emergono divisioni e un senso di incombente separazione in cui  le parole hanno un grande peso. La definizione condivisa (anche se non unanimamente) è quella di ‘invasione dell’Ucraina’ da parte della Russia.

Il timore principale è quello di un’escalation, ma non si perde di vista anche l’impatto delle conseguenze economiche, che tiene con il fiato sospeso una parte rilevante del paese. Nell’opinione pubblica circolano visioni controverse e alternative, ragioni opposte che trovano comunque spazio in un quadro di tolleranza e convergenza nella compassione per i popoli in guerra e nell’intento di pace comune. Le aspettative prevalenti sono infatti che sia evitato il ricorso alle armi e che siano avviate le trattative diplomatiche dalla UE.

Ed è proprio questa aspettativa riposta nella diplomazia, come scelta costruttiva di confronto e di mediazione, che costituisce il segnale più importante di cambiamento nella mentalità dei cittadini italiani. Ne troviamo conferma nelle tendenze di lungo periodo, in cui prevalgono il rispetto del valore primario della vita e la cultura del dialogo.

È in atto un cambio di mentalità nella direzione di quello che nel management si definisce soft power, contrapposto all’hard power delle armi. Che non significa assenza di responsabilità ma uso della forza come forza della parola, affidata al confronto e orientata al fine del bene comune.

La condivisione, la mano tesa verso l’altro, in questo momento danno più sicurezza dell’esibizione muscolare. Questo significa per gli italiani fare un salto culturale verso la globalizzazione come accettazione della complessità e rinuncia a posizione ideologiche assolute. Al di là della paura, gli italiani riflettono e si confrontano mostrando la disponibilità a vedere i tanti aspetti della crisi in atto.

Questa apertura non deve portarci su un terreno di buonismo retorico. Il mondo che verrà è tutto da scoprire e non è detto che corrisponda agli auspici e agli slogan. E soprattutto, la società non ha ancora elaborato gli anticorpi alle tragiche ferite personali e collettive che si stanno susseguendo.

Oggi le aspettative di intervento della UE non significano necessariamente un rinnovato sentimento autentico di adesione all’Europa e alle sue istituzioni o a un modello di vita occidentale per come lo conosciamo. Al contrario, l’appartenenza dei cittadini è sempre più espressione del territorio, delle comunità e di identità culturali realmente vissuti.

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