Geopolitica
Paese per paese, la mappa del riarmo in Europa
L’Europa ha risposto alla guerra in Ucraina armandosi. Una reazione generalizzata che ha coinvolto quasi tutti i Paesi del Vecchio Continente, i cui leader, capi di Stato e di governo hanno preso l’impegno di aumentare le spese nel settore della Difesa. A convincere le capitali europee è stato il timore di un allargamento del conflitto e – soprattutto – la certezza di un futuro più instabile a prescindere da come finirà l’invasione russa.
L’Italia è stata tra i primi, con il presidente del Consiglio Mario Draghi che ha dichiarato a più riprese di voler raggiungere la quota del 2% del Pil nelle spese securitarie. Percentuale richiesta da anni dalla Nato e dagli Stati Uniti, desiderosi di un maggior sforzo da parte degli alleati oltreoceano. Secondo i dati del Sipri, lo Stockholm International Peace Research Institute nel 2020 l’Italia ha speso 28 miliardi per le spese militari, pari all’1,6% del Pil. Il previsto aumento potrebbe portare la cifra a 35 miliardi annuali, secondo le stime dell’Osservatorio Milex. Un tema che ha – prevedibilmente – scatenato polemiche all’interno del Paese. La posizione di Draghi, appoggiata da alcune componenti della maggioranza parlamentare e anche da Fratelli d’Italia, ha trovato l’opposizione “interna” di alcuni singoli rappresentanti del centrosinistra e del Movimento Cinque Stelle di Giuseppe Conte, nonostante in passato lo stesso ex premier avesse preso l’impegno con la Nato a raggiungere il 2 per cento. Inoltre alla Camera dei Deputati solo qualche giorno fa è stato votato anche dai cinquestelle un ordine del giorno che impegnava il governo ad aumentare le spese difensive. Seppur non strettamente politica, la voce che più di tutte si è alzata contro il riarmo è stata quella di Papa Francesco, che ha definito da “pazzi” la volontà di aumentare gli investimenti nella difesa.
Ma, come detto, l’iniziativa non è stata presa solo da Roma. La prima a muoversi è stata la Germania di Olaf Scholz, con la creazione di un fondo speciale da 100 miliardi per rinnovare le forze armate tedesche, ancora oggi indietro rispetto ai colleghi europei. La scelta annunciata di Berlino di correre verso il 2% di spese securitarie rispetto al Pil è potenzialmente dirompente visti i livelli dell’economia tedesca. Nel 2020 la Germania ha destinato al settore circa 52 miliardi di dollari, pari all’1,4% del Pil. Se dopo i proclami seguiranno i fatti, con il 2% diventerebbe il terzo Paese al mondo – dietro a Stati Uniti e Cina – per spesa militare, superando Regno Unito ma soprattutto Russia e Francia e cambiando gli equilibri europei.
Proprio Emmanuel Macron, impegnato nella campagna elettorale per l’imminente voto francese, ha sottolineato la necessità per il proprio Paese, così come per tutto il continente, di prepararsi adeguatamente per un conflitto che potrebbe allargarsi e arrivare – ancora di più – all’interno dell’Europa. La spesa militare della Francia, al 2020, è stata pari al 2,1% del proprio Pil, un impegno che Parigi ha raggiunto anche con l’obiettivo di spingere verso un’autonomia strategica europea a trazione francese.
E il timore del conflitto, per evidenti motivazioni geografiche e storiche, viene percepito in maniera particolare dalle nazioni dell’Europa dell’est vista la vicinanza con la Russia. La Polonia, che sempre secondo i dati Sipri nel 2020 spendeva il 2,2% del Pil in ambito difensivo, ha dichiarato di voler raggiungere entro il prossimo anno la quota del 3 per cento. Il presidente Andrzej Duda ha infatti firmato la legge sulla “difesa della patria” che ha come obiettivo quello di raddoppiare il numero di forze armate e raggiungere le 300 mila unità. Un aumento immediato, emblematico di come la guerra in Ucraina abbia accelerato e stravolto il corso politico e sociale di molti Paesi. Varsavia ha fin da subito tenuto un atteggiamento duro nei confronti di Mosca, simile a quanto fatto dalle tre nazioni Baltiche, confinanti con la Russia e in prima linea nel chiedere pesanti contromisure allo scoppio della guerra. Inoltre, la conferma di un cambiamento epocale è arrivata dalle mosse dei Paesi nordici e scandinavi. La Svezia, per tradizione pacifica, ha dichiarato di voler aumentare le spese militari, nel 2020 pari all’1,2% del Pil, così come la Danimarca che svolgerà un referendum popolare per decidere se impegnarsi maggiormente all’interno dell’Unione europea nei progetti comunitari di Difesa e Sicurezza.
Tuttavia, non sono solo i singoli Stati a volersi rafforzare dal punto di vista militare. L’Ue ha infatti pubblicato lo Strategic Compass, un documento che di fatto pone le basi per un possibile esercito comune. La bussola strategica ha delineato la creazione di un corpo di 5.000 unità, pronto ad essere dispiegato in maniera rapida in diversi scenari e con differenti finalità. Per usare le parole di Josep Borrell, l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza: “L’Unione europea deve imparare a usare il linguaggio della potenza”. Una pubblicazione attesa da tempo e quindi indipendente dalla guerra scatenata da Vladimir Putin, ma che per tempismo si inserisce plasticamente in un quadro di riarmo europeo. Non è possibile capire se l’Europa si dimostrerà realmente più unita al termine del conflitto o se – difficile – avrà veramente un ruolo geopolitico indipendente e di rilievo. Senza dubbio quello che il Cremlino si troverà vicino sarà un continente più armato e sospettoso. Non proprio l’effetto che si auspicava Putin.
(Foto: 7th Army Training Command from Grafenwoehr, Germany)
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