Geopolitica

Obama provoca e Castro risponde con la dottrina marxista dei diritti umani

25 Marzo 2016

A pochi giorni dalla storica visita di Barack Obama a Cuba, la prima di un presidente USA nell’isola dopo 88 anni (di cui 55 di guerra fredda tra dirimpettai) è sicuramente troppo presto per tirare le fila di una svolta – davvero epocale – che ancora lentamente prende forma, lasciando per ora soltanto intravedere il traguardo sperato: la fine dell’embargo e il pieno riconoscimento reciproco dei due governi. Le tappe intermedie sembrano però scivolare via in uno slalom senza falli – liberazione di prigionieri, stretta di mano ufficiale tra i presidenti, riapertura delle ambasciate – fino alla due giorni del Presidente americano a la Avana, fittissima di incontri. Tutto liscio come previsto quindi?

Quasi. La conferenza stampa di lunedì sera al Palazzo della Rivoluzione ha infatti regalato, finalmente verrebbe da dire, un fuori programma. Il che ha dato all’evento, forse per la prima volta, un valore che travalica il simbolico e dona alle menti più fervide qualche spunto per fantasticare su tutti i possibili, originali esiti dei nuovi rapporti tra la democrazia liberale per antonomasia e il più romantico regime comunista sopravvissuto. Se n’è accorto subito Politico (ripreso in Italia solo da il Post), che già poche ore dopo annunciava entusiasta “How Obama set a trap for Raúl Castro“. Di che trappola si tratta?

Stando alla lettura che ne da il sito di news politiche statunitense, Obama avrebbe lasciato che fossero i giornalisti al suo seguito, prima Jim Acosta di CNN e poi Andrea Mitchell di NBC, a incalzare Castro sui due temi che tengono banco nell’opinione pubblica (e nel dibattito delle primarie) USA quando si parla di Cuba: i prigionieri politici e le violazioni dei diritti umani. Scatenando due reazioni imprevedibili e contrapposte di Castro.

Sulla prima (imbarazzata, balbettante e brusca) basti il resoconto di Politico (e per il resto si possono consultare le trascrizioni in inglese del Time e in spagnolo di Cubadebate, oltre al video integrale della conferenza stampa).

È la seconda risposta che desta maggior interesse: Castro raccoglie la provocazione della giornalista statunitense (“Qual è il futuro dei nostri due Paesi, considerate le differenze su questioni profonde come democrazia e diritti umani?”) per prendersi una rivincita non solo oratoria ma soprattutto politica, lanciando un messaggio nemmeno tanto velato al vicino e apertamente rivendicativo ai media.

“Andrea, le farò io una domanda. Nelle istituzioni sono riconosciuti oggi 61 strumenti internazionali. Quanti Paesi nel mondo, Andrea, rispettano questi 61 diritti umani e civili nel loro insieme? Lei lo sa? Io si: nessuno. Nessuno, alcuni ne rispettano alcuni, altri ne rispettano altri, e tra questi ci siamo noi. Dei 61 menzionati, Cuba ne rispetta 47, ce ne saranno alcuni che ne rispettano di più, e molti altri che ne rispettano di meno. Non si può politicizzare il tema dei diritti umani, non è corretto. Se si continua con questi fini, continueremo a rispettare sempre gli stessi. Per esempio, per Cuba, che non li rispetta tutti, il diritto alla salute. Mi sa dire un diritto più sacro del diritto alla salute, che milioni e milioni di bambini non muoiano per mancanza di un semplice vaccino, di una qualunque medicina? Per esempio, lei è d’accordo con il diritto all’istruzione gratuito per tutti i nati in qualunque Paese? Credo ci siano molti Paesi che non lo considerano un diritto umano. A Cuba partiamo dal fatto che tutti i bambini nascono in ospedali e nello stesso giorno vengono registrati, perché quando le madri sono in stadio avanzato di gravidanza vengono portate in ospedale con molti giorni di anticipo, affinché tutti nascano in ospedale, non importa su che elevata montagna vivano o quali siano le loro condizioni economiche. E abbiamo molti altri diritti. Consideri quest’ultimo esempio: crede che per un lavoro uguale un uomo possa guadagnare più di una donna, per il solo fatto di essere donna? Bene, a Cuba le donne guadagnano come gli uomini se fanno lo stesso lavoro. E posso continuare con decine e centinaia di esempi, quello che voglio dire è che non si può continuare a utilizzare questo argomento nel dibattito politico, non è giusto, non è corretto. Non voglio dire non sia onesto, fa parte del confronto. Ma lavoriamo insieme affinché tutti possano rispettare tutti i diritti umani, questo si”.

Tra le righe delle provocazioni sul sistema sanitario ed educativo cubano e statunitense, ciò che emerge dopotutto è un punto di vista marxista classico sui diritti umani, con l’annessa critica rivolta storicamente dal blocco socialista e più di recente dal Movimento dei Paesi non allineati alle democrazie liberali: come si può rivendicare il rispetto dei diritti civili se non sono prima realizzate le condizioni materiali che sono il presupposto indispensabile per il pieno godimento ed esercizio di quei diritti, “la libertà dal bisogno”, per dirla con le celebri parole di un presidente USA, Franklin Delano Roosevelt, senza la quale ogni altro diritto è solo un enunciato formale? E, di conseguenza, chi ha stabilito la priorità dei diritti civili e politici rispetto a quelli economici e sociali?

Una dialettica assolutamente non nuova certo, ma incuriosisce il contesto, questo si nuovo: che il recupero delle relazioni tra USA e Cuba si riveli l’occasione per rilanciare finalmente questo dibattito e portarlo a un punto di sintesi più avanzato dei suoi approdi attuali, spesso insoddisfacenti?

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