Geopolitica
Nostalgia per nostalgia, perché non il Gran Partito?
Il 4 Dicembre si è chiusa una fase. Il 60% dei cittadini italiani si è espresso non solo sul governo Renzi attribuendogli un giudizio estremamente severo, ma anche sugli oltre 20 anni appena trascorsi di strategie politiche nazionali. Il referendum costituzionale è stato dunque il funerale della II Repubblica. Sono stati infatti bocciati direttamente o indirettamente tutti gli assi portanti di quella stagione: riforme istituzionali per una migliore governabilità del Paese; assetto bipolare della dialettica politica; leggi elettorali di impianto maggioritario; integrazione nel quadro europeo.
Il segretario del Pd infatti non è stato un innovatore, ma solo l’esecutore testamentario di un programma che il centro-sinistra come il centro-destra avevano da sempre auspicato. Per suoi demeriti si è ritrovato da solo a concludere l’ultimo miglio di questo percorso facendosi affibbiare responsabilità che erano a carico delle disastrose classi dirigenti precedenti, finendo fagocitato dalla rabbia, dal rancore e da una frustrazione sociale sempre più incalzanti, alimentati dalla stagnazione economica in cui la nazione è impantanata. I meriti invece possono essere stati frutto proprio dall’ambizione quasi insolente con cui Matteo Renzi ha guidato nei 1000 giorni il suo governo. Senza di essa infatti non avremo oggi in Italia le unioni civili, molte leggi di giustizia sociale (dal Dopo di Noi all’istituzione dell’Anac di Raffaele Cantone, dal reato di omicidio stradale agli eco-reati, dal Foia alle norme contro i furbetti del cartellino, etc.), un minore carico fiscale per imprese e lavoratori, una lotta all’evasione fiscale seria ed effettiva (è proprio di oggi il dato record di 19 miliardi di riscossione nel 2016), un efficientemento della spesa dei fondi europei. Tutte cose che in un’epoca di normalità gli sarebbero valse come stellette da appuntarsi al petto del buon governo, ma che in un’epoca di cambiamenti non hanno prodotto altro che rifiuto e revanscismo sociale.
Il programmo dell’Ulivo portato a termine con il Pd di Renzi infatti cosa è se non un progetto moderato, di classico riformismo da terza via blairiana-clintoniana? Con l’ascesa della Reazione Globale il centrosinistra italiano ha ancora bisogno di tali ricette? Di questo dovrebbe avere nostalgia? Un Ulivo 4.0 è la soluzione? Uno schema che si è impantanato nella sua stessa attuazione (le vicende dei governi Prodi) e che storicamente ha fallito proprio riguardo i due pilastri su cui era fondato, cioè modernizzazione istituzionale del Paese e convinto europeismo? Che poi a rimpiangere quella stagione siano gli attori protagonisti che l’hanno aiutata ad affossare rende tutto ciò grottesco.
Nostalgia per nostalgia, perché allora non resuscitare – proprio nell’anno del centenario dell’ascesa storica del suo perno ideologico – il Gran Partito? Nei tempi della Reazione Globale non è forse più attuale un serio strumento politico che sappia delimitare il campo, riconoscere la propria parte e costringere il capitalismo a rientrare negli schemi delle democrazie sane, libere e solidali come lo è stato per l’Occidente dalla fine della II° guerra mondiale fino alla caduta del muro di Berlino? Non è più contemporaneo un partito che sappia essere avanguardia e sviluppo diffuso di competenze per guidare processi profondi, invece che essere un comitato elettorale permanente?
Una stagione, in definitiva, è irrimediabilmente conclusa. Per questo oggi più che mai è fondamentale aprire il congresso del Partito democratico. Come si può pensare di gettarsi in una nuova fase storica senza un discussione politica seria, addirittura fondante, che ri-posizioni il partito dentro l’inedito quadro che si è venuto a delineare? Si può andare al voto dicendo “tutto va bene, madama la marchesa”, andiamo avanti così, non è successo niente? Come si possono raccontare le frottole agli elettori parlando di un governo eletto dal popolo quando invece il Paese è ripiombato in un sistema proporzionalista? In futuro il governo sarà possibile metterlo in piedi solo facendo accordi tra partiti diversi, quando si chiarirà questo ai cittadini?
E l’Europa poi? E’ possibile andare avanti in tali condizioni? E’ auspicabile una stretta all’integrazione come paventato dalla Merkel? Ma su quali basi? Un maggiore coordinamento vuol dire abbandonare definitivamente il sistema economico del Paese alla più sfrenata ortodossia dell’austerity? Dobbiamo ripetere gli errori della rincorsa al sogno europeo degli anni ’90, segnati da una profonda subalternità alle ricette liberiste? O forse non sarebbe più giusto proporre un’alternativa radicale? L’Ue germanocentrica ha fallito, non è forse auspicabile la creazione concordata di 2 sistemi monetari europei: uno per l’Europa continentale, l’altro per quella mediterranea? L’Unione infatti già esiste come sistema politico ed economico in cui convivano più valute. Tutto ciò non renderebbe più facile e condivisa la necessaria esigenza di modernizzare le strutture economiche, politiche e sociali del Paese?
A questo dovrebbe servire un congresso. Non certo una mera resa dei conti, ma come posizionare nel nuovo millennio e nell’era della Reazione globale il più grande partito riformista italiano. Una sfida per giganti della politica. Astenersi dunque perditempo.
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