Geopolitica

Lo sconosciuto Mal Franzese: alcune cose da discutere con Parigi

1 Aprile 2018

E alla fine, come d’obbligo e come copione, dall’uovo di Pasqua è saltata fuori anche la Procura della Repubblica di Armando Spataro ad aprire una indagine per accertare fatti, protagonisti e responsabilità della invasione di Bardonecchia; ultima ma in compagnia della allegra brigata degli amici di Putin ancora seccati dalla espulsione di diplomatici moscoviti, degli oppositori di un governo che non c’è ancora ma qualunque esso sarà, dei sostenitori del governo che c’è, la Farnesina, il Viminale, la immancabile ONG, l’orgoglio italico che fa in modo che per la prima volta nella sua storia umana e politica Salvini, oltre a scegliere tra Russia e Francia a favore della prima difenda un immigrato, nero, sospettato di spaccio e si dice residente pure a Napoli contro una Europa che quando ci sarà Lui, caro Lei, gli spezzeremo le reni. Una boule de neige di fine stagione sciistica con pecorelle e pastorelli tutti precisi al loro posto a crogiuolarsi nei luoghi comuni della arroganza dei francesi lontani dal voler solo immaginare cosa sia oggi il Mal Franzese e cosa sia per noi oggi la Francia.

Noi ricordiamo bene, e chi non c’era ha scolpito nella mente le immagini televisive, cosa ha significato per gli Stati Uniti l’attentato delle Torri Gemelle. Possiamo dire di aver provato e di provare oggi le stesse emozioni e gli stessi sentimenti di solidarietà per i francesi del Bataclan? E condividiamo nelle nostre menti e nei nostri cuori l’emozione del massacro di Je Suis Charlie o è rimasto solo un cartello archiviato tra le nostre foto profilo di Facebook? Abbiamo un ricordo degli ostaggi nel supermercato kosher parigino? Rammentiamo Nizza per la Croisette, il sole e i week end in Costa Azzurra o facciamo fatica a recuperare nelle nostre menti le immagini di un camion che falcia i passanti? E i gendarmi, questi poliziotti francesi dell’Ispettorato delle Dogane quanto sono lontani dai nostri cuori da quelli vittime delle pistolettate sugli Champs Elysee o dall’eroe di Carcassonne di qualche giorno fa? O forse noi italiani a sinistra pensiamo che un po’ se la siano meritata perché sulla immigrazione il loro modello è fallito e a destra ancora non digeriamo la risatina di Sarkozy e tutti insieme la accusiamo di aver chiuso le porte di Ventimiglia agli immigrati rifilandoci il problema (dimenticando il loro che è alquanto sanguinoso)?
Se ancora comprendiamo lo shock americano inspiegabilmente non ci rendiamo conto e non vogliamo ammettere che la Francia, quella dei gendarmi armati e famosa per la sua arroganza, ha nel suo corpo sociale una ferita profonda quanto quella americana; ha nella classe politica non una Le Pen ma élite autentiche, non come le codardissime nostre, che si fanno carico della paura diffusa nella società francese. Élite che hanno spedito quasi 60.000 uomini nel Sahel, certo a difendere i propri interessi geopolitici ma anche a combattere sparando, non addestrando gli altri con regole di ingaggio da peace keeping. Una Francia che di fronte al poderoso sbandamento nella politica estera americana e al dissolvimento post Brexit di Sua Maestà sa rassicurare con il suo ombrello nucleare i tre baltici e la Polonia con una cena all’Eliseo passata in sordina sulla stampa nazionale ma dal significato preciso. Una Francia che accusiamo (giustamente) di avere scatenato la guerra in Libia senza noi capire bene il perché salvo dire che era per volere il petrolio dell’Eni (ma non scherziamo) ma senza comprendere che quella guerra, ripeto sbagliata, scaturì dalla difesa dell’interesse nazionale francese nell’Africa subsahariana messo in discussione dal tentativo di Gheddafi di sostituire con i suoi petro-dollari il CFA, la moneta con cui da Parigi si regolano le economie delle ex colonie.

La Francia degli intellettuali che più che interrogarsi sul ’68, mica poca roba per loro, produce al Palais de Tokyo una serie di mostre di arte contemporanea sulla violenza e sull’islamismo (si badi, non sull’Islam perché uno Stato vero è uno stato laico, altro che spagnoli con le bandiere a mezz’asta per la Pasqua) che non possono non far capire che se l’arte non è una temporary exhibition per far quattrini ma una manifestazione della coscienza umana, un prodotto intellettuale contemporaneo non può non leggere cosa accade nel profondo dell’animo della società e trasformarlo in una manifestazione artistica.

Una Francia che sta votando la terza legge sulla immigrazione in quattro anni, che ha 19.000 integralisti registrati come tali e 3.000 pericolosissimi da tenere sotto osservazione; una Francia che avverte il suo fallimento sociale nella integrazione e nelle pari opportunità avendo tradito il principio di cittadinanza nato nella Rivoluzione dell’89. Una Francia che incredibilmente manda i giornalisti di Le Monde a studiare come in Italia, a Brescia, si sia riusciti in quella integrazione dove loro hanno fallito. Quei gendarmi forse avranno anche sbagliato ma cosa sappiamo noi del Mal Franzese? Delle sue ferite? Quanta solidarietà abbiamo per loro? Chiediamo ai francesi di comprendere la nostra crisi sulla immigrazione ma che sforzo politico ed intellettuale facciamo per comprendere la loro e ricordare il Bataclan? L’idea di Europa, ancor prima della Unione Europea, vive solo se, parafrasando Renan, la solidarietà e la volontà dello stare insieme è un referendum quotidiano, la voglia di capirsi: ci appigliamo ai caratteri nazionali, alla arroganza o al pessimo loro caffè o prendiamo in mano cuore e mente e storia e gli chiediamo a muso duro di tenere le mani a posto ma di scegliere insieme chi dobbiamo menare? Mi spiace, se devo scegliere oggi chiudo l’incidente dove so bene di avere ragione e guardando negli occhi gli amici francesi dico “Vive la France” perché Je Suis Charlie non mi basta più.

Ne abbiamo di cose geo-strategiche da discutere coi francesi a partire dal lavoro che la commissione bilaterale sta facendo per preparare le carte di un nuovo trattato pari a quello franco-tedesco. Abbiamo da definire i confini marittimi del trattato di Caen che non abbiamo ratificato, comprendere cosa sta accadendo alla nostra quantomeno equivoca missione militare in Niger bloccata si dice dai francesi dopo il voto del Parlamento, gli affari nelle Telecom, nelle televisioni, nelle assicurazioni, nelle banche, nella industria della difesa, nei grandi cantieri navali e nelle infrastrutture ferroviarie. Con questi dossier aperti qualche genio della lampada sostiene che l’orgoglio nazionale implicherebbe espellere diplomatici francesi e non quelli russi. Finché lo dice ci possiamo anche ridere sopra: il problema è che il suddetto genio vuole anche governare… Dico, voi vi sentite sicuri?

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.