Geopolitica
Nel giorno della caduta del Muro di Berlino, torna il doping da guerra fredda
È una casualità, ovviamente. Ma è una casualità che non passa inosservata: proprio nel 26esimo anniversario della Caduta del Muro di Berlino, sui giornali di tutto il mondo è in primo piano una storia di (presunto) doping di Stato, che evoca la guerra fredda simbolicamente finita proprio il 9 novembre 1989. La pratica fa riaffiorare alla memoria quanto accadeva nella Ddr, la Germania dell’Est, dove venivano ‘allevati’ sportivi a suon di sostanze illecite, lo steroide Oral-Turinabol, talvolta a loro insaputa. Il tutto sotto la supervisione della Stasi, i famigerati servizi segreti della Repubblica Democratica Tedesca. L’obiettivo era quello di migliorare le prestazioni e mostrare un’immagine vincente al mondo. Venti anni dopo va in scena un film simile, solo con qualche variante nella sceneggiatura. Ma nello stesso clima da guerra fredda.
Questa volta le ombre si stagliano sulla Russia e vengono sollevate dalla World Anti-Doping Agency (Wada), sul mondo dell’Atletica con un il coinvolgimento anche dalla Iaaf, la federazione internazionale. La Wada, che per anni ha tallonato Lance Armstrong fino all’ammissione pubblica dell’ex ciclista texano, è un organismo reduce proprio dal un successo di aver smascherato il comportamento illegale dell’americano sette volte vincitore del Tour de France. La richiesta è tranchant: squalificare i russi dalle competizioni di Atletica a ogni livello, dall’Europeo all’Olimpiade del 2016. Una sanzione pesantissima.
Il rapporto, molto corposo, è così sintetizzabile in un principio: la Russia non avrebbe un sistema antidoping conforme agli standard internazionali. E non per mancanze di strumenti, bensì per un piano premeditato. «Sarebbe ingenuo pensare che tale azione sistematica possa essere avvenuta senza l’esplicita o tacita approvazione della autorità governative russe. L’infiltrazione di agenti dell’FSB testimonia la diretta intimidazione russa alle attività del laboratorio di Mosca», sostiene la Wada, tirando in causa direttamente la politica. Insomma, il caso è destinato a provocare conseguenze che travalicano l’ambito sportivo. Da Mosca il ministro dello Sport, Vitaly Mutko, uomo molto vicino a Putin è arrivata la secca smentita: «La Wada non ha il diritto di sospendere. Le conclusioni della commissione non sono sostenute da prove e non contengono fatti nuovi. Se si legge il rapporto è scritto più o meno così: secondo le nostre informazioni c’è l’influenza dello Stato, rappresentato dal ministero, su tutto questo sistema. Non abbiamo le prove, però allo stesso tempo riteniamo che ci sia un’influenza. Ma che tipo di accusa è?».
L’analogia con l’epoca della guerra fredda, e quindi con la Ddr, è quasi da brividi: prima la Stasi a orchestrare il doping di Stato, ora l’Fsb – il sostituto del Kgb – a gestire la situazione in Russia. E tutto ciò accade mentre i rapporti tra Russia e Occidente sono tesi, al limite della guerra fredda. Così il 9 novembre, ricordato per la caduta del Muro di Berlino, si apre un fronte. Forse l’ennesima tappa del muro che si sta costruendo tra Mosca e le capitali occidentali.
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