
Geopolitica
Maltrattata dall’UE e presa in trappola dagli USA: dove va la Macedonia del Nord?
In Italia si parla tanto di Europa. E. Rusca è andata in uno dei paesi in rotta verso l’UE, la Macedonia del Nord, e ci racconta le tensioni etniche, la competizione USA-UE nei Balcani ancora segnati dalle guerre degli anni ‘90, cosa pensano politici di governo e di opposizione.
La Macedonia del Nord è un piccolo paese nato dalle ceneri della ex Jugoslavia di Tito. Messa sotto pressione dagli Stati Uniti da un lato e attratta dall’UE dall’altro, sembra un caso esemplare, nella sua situazione geopolitica, per comprendere quanto sta accadendo nella sfera politica globale. A differenza di un’UE indebolita, che deve affrontare un Trump fuori controllo e al momento non può prendere la necessaria distanza oggettiva da un’analisi di questa portata, qui possiamo prendere le distanze dal contesto e chiederci davvero: dove stiamo andando con questa politica?
La Macedonia del Nord confina a nord con la Serbia e il Kosovo, a ovest con l’Albania, a sud con la Grecia e a est con la Bulgaria. Solo nel 2018 il suo nome ha iniziato ad apparire sulle carte geografiche, in seguito a un accordo con la Grecia, l’Accordo di Prespa, che ha dato il nome “Macedonia” alla regione situata nel nord del paese ellenico.
Tuttavia, il paese esiste da 34 anni, subito dopo la disgregazione della ex Jugoslavia. La sua costruzione, come quella degli altri paesi balcanici, non è stata semplice. Bulgari, rom, turchi, albanesi, sono tanti i popoli che vivono ai piedi di queste colline. Le differenze etniche che coesistono in questo territorio non hanno reso agevole il compito di costruire un paese “unito”.
Durante la guerra del Kosovo del 1999, la Macedonia collaborò con la NATO. Circa 360.000 rifugiati albanesi del Kosovo entrarono in Macedonia, minacciando di compromettere l’equilibrio tra i gruppi etnici slavi e albanesi nel paese. Molti tornarono in Kosovo, ma le tensioni etniche aumentarono e portarono a un conflitto armato che fu risolto solo nel 2001, calmando temporaneamente le tensioni tra macedoni e albanesi.
Temporaneamente, perché il fragile equilibrio di questi territori, dopo la disgregazione della ex Jugoslavia, non ha ancora smesso del tutto di essere minacciato dalle diversità etniche e, forse, dal dominio di potenze straniere.
Ingresso nell’Unione Europea
Non è un segreto che la Macedonia del Nord abbia avviato le procedure per diventare membro dell’Unione Europea. Queste sono andate avanti senza grandi problemi fino al veto imposto dalla Bulgaria: questo Paese, infatti, già parte dell’UE, chiede al piccolo Stato balcanico di modificare la propria Costituzione e di riconoscere la minoranza bulgara presente sul suo territorio (che ufficialmente corrisponde a circa 3.500 persone). Solo così i bulgari accetteranno l’ingresso della Macedonia del Nord nell’UE.
Secondo Stevo Pendarovski, un politico che è stato il quinto presidente della Repubblica della Macedonia del Nord dal 2019 al 2024 (ed è membro dell’Unione Socialdemocratica di Macedonia), “La Macedonia del Nord ha bisogno dell’Unione Europea, proprio come Trump, in definitiva, ne ha bisogno”. Secondo lui, accettare l’accordo richiesto dai bulgari non sarebbe un problema, tanto più oggi che la politica di Trump negli Stati Uniti è sempre più imprevedibile.
La difficoltà nell’accettare questa condizione sta nel fatto che, se ciò dovesse accadere, molto probabilmente sul territorio macedone, dove già vivono senza dichiararlo, “apparirebbero” molti più bulgari. Ciò, da un lato, potrebbe danneggiare la minoranza albanese, che attualmente è la minoranza più numerosa nella Macedonia del Nord (ed è proprio per questo che la loro lingua è riconosciuta a livello nazionale come lingua ufficiale).
D’altro canto, il riconoscimento dei bulgari potrebbe avere un impatto ben maggiore e non limitato alla sola minoranza albanese: la Bulgaria, infatti, rivendica da tempo il territorio macedone come parte del proprio Paese. La presenza di un gran numero di bulgari sul suo territorio potrebbe minacciare la stabilità politica dei Balcani. La Bulgaria potrebbe pretendere di annettersi questa parte del mondo. L’instabilità potrebbe estendersi alimentando anche altre rivendicazioni che finora restano nascoste a queste latitudini: la “grande Albania”, per esempio.
L’attuale governo condivide l’intuizione di Pendaroski sull’importanza dell’ingresso effettivo della Macedonia del Nord nell’UE: per Izet Mexhiti, primo vice primo ministro della Repubblica di Macedonia e ministro dell’Ambiente e della Pianificazione territoriale della Repubblica di Macedonia, “dobbiamo collaborare con l’Unione europea e con gli Stati Uniti. Nel primo caso, per la vicinanza geografica, nel secondo, per la strategia politica.”
Un equilibrio fragile, forse minato dall’arrivo di Trump
In effetti, per la Macedonia del Nord sembra impossibile rompere la collaborazione con gli Stati Uniti. “Non saremo un futuro Stato membro degli USA, ma forse dell’UE”, dice scherzosamente il sindaco di Tetovo, Bilall Kasami. In questa frase è nascosta la dura realtà della Macedonia.
Se da un lato la vicinanza geografica rende naturale la richiesta dei macedoni di unirsi agli Stati membri dell’Europa, dall’altro il dominio americano nei Balcani conseguente all’intervento della NATO nella guerra degli anni Novanta non lascia dubbi a chi debbano la loro lealtà i popoli jugoslavi. Un equilibrio fragile che potrebbe essere alterato dall’arrivo di Trump (e ciò non sarebbe positivo).
“Non dimenticherò mai chi mi ha liberato”, afferma Ali Ahmeti, presidente dell’Unione Democratica per l’Integrazione, riferendosi agli Stati Uniti. Noto anche come leader politico dell’ex Esercito di Liberazione Nazionale nel conflitto macedone del 2001, Ahmeti non pensa che Trump voglia davvero dividere l’UE, perché ciò potrebbe portare a conseguenze davvero disastrose, come una terza guerra mondiale, aprendo il “vaso di Pandora” di Putin. Secondo lui, Trump è “flessibile” e ha una strategia economica piuttosto che politica.
In un paese in cui la bandiera americana compare accanto a quella albanese prima di quella dell’UE, è certamente molto difficile liberarsi di un’alleanza del genere. Anche il Ministero della Salute, ora al collasso, è stato creato nel 2019 con soldi americani.
“È storia nota che gli Stati Uniti abbiano contribuito a stabilire la pace nei Balcani”, afferma Denko Maleski, ex ministro degli Esteri dell’allora Repubblica di Macedonia dal 1991 al 1993 e ambasciatore presso le Nazioni Unite dal 1993 al 1997 (oggi professore presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Skopje e direttore degli studi post-laurea in “Politica internazionale e diritto internazionale”). “Ma è di dominio pubblico anche”, continua il professore, “che mentre gli Stati Uniti liberavano i Balcani, hanno piazzato qui le loro basi militari per continuare a controllarli”.
Aderire all’Unione Europea: una decisione saggia?
“Quello che sta accadendo oggi nel mondo è molto preoccupante: la politica ‘transatlantica’ di Donald Trump potrebbe destabilizzare il fragile equilibrio che attualmente esiste a queste latitudini”: sono queste le preoccupazioni di Denko Maleski.
Certamente la Macedonia del Nord, in un contesto politico ancora in divenire (stiamo parlando di una democrazia molto giovane e ancora in costruzione), nonché in un contesto economico devastato dalle politiche neoliberiste (centralizzazione e tagli a sanità, istruzione, cultura), con un’economia che dipende prevalentemente dalle rimesse provenienti dalla sua diaspora, naviga in una situazione geopolitica globale che non la aiuta a vedere un futuro stabile al di fuori del suo territorio.
“Non è certo che la soluzione per migliorare le condizioni della Macedonia del Nord sia l’adesione all’Unione Europea. Forse abbiamo bisogno di un’alleanza del genere, ma gli attuali cambiamenti geopolitici globali rendono la decisione se aderire o meno all’UE un vero punto interrogativo”, afferma il politologo Maleski. “Quel che è certo è che la Macedonia del Nord dovrebbe migliorare le sue relazioni coi paesi con cui condivide i confini. Una condizione fondamentale per contribuire a rafforzare l’equilibrio di questi territori”.
Un’opinione condivisa anche dall’opposizione guidata da Ali Ahmeti. Quel che è certo è che trent’anni non bastano per stabilizzare un Paese e che il cammino dei Balcani verso un equilibrio stabile potrebbe essere ancora lungo.
In questo senso, l’adesione all’Unione Europea potrebbe rappresentare in questo momento più una sfida che una soluzione, almeno finché l’Unione Europea stessa rimarrà fragile e sarà destabilizzata dal ciclone che sta devastando la politica transatlantica degli Stati Uniti.
Restano molte domande, mentre le risposte sono poche.
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